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28.11.2011 - urbanistica

LA CANNA FUMARIA DEVE SUPERARE IL COLMO DELL’EDIFICIO

LA CANNA FUMARIA DEVE SUPERARE IL COLMO DELL’EDIFICIO
(Consiglio di Stato, Sentenza n. 5474 del 05/10/2011)

La canna, nel caso in esame – proprio in ragione della particolare architettura del fabbricato – non supera il colmo dell’edificio, come emerge chiaramente dalla documentazione fotografica, ponendosi, conseguentemente, a distanza inferiore a quanto disposto, dalle aperture e finestre prospicienti. La ratio della norma è quella di evitare che le canne fumarie provochino immissioni nocive o comunque disturbo a terzi e pertanto, laddove, come nel caso in esame, per la peculiare configurazione architettonica a scaloni, lo stabile abbia due o più piani di copertura di diverso livello, le canne fumarie debbono innalzarsi oltre l’ultimo piano al fine di evitare immissioni nocive a terzi.
                     . . .  omissis . . .
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso in primo grado il dottor Francesco Paolo Fulci, proprietario dell’appartamento sito in Roma, via Bruxelles n. 34, terzo piano, int. 7, esponeva che in data 15.9.2006, accortosi di un’occlusione della canna fumaria dell’appartamento di sua proprietà, aveva provveduto ad inoltrare alla Asl RM/A una nota con cui richiedeva un intervento al fine di accertare le cause del predetto evento. All’ esito del sopralluogo, la Asl, con la nota prot. 407 del 29.11.2006, inibiva l’uso del camino perché la canna non superava il colmo dell’edificio. Pertanto, con la d.i.a. protocollata al II° Municipio del Comune di Roma in data 19.6.2007, il ricorrente provvedeva a richiedere il nulla osta per i lavori di innalzamento della canna fumaria predetta e, trascorsi 30 giorni, nel silenzio dell’amministrazione, avviava i relativi lavori. Con successiva nota prot. n. 411/07Ei/SISP II del 17.1.2008, l’amministrazione, preso atto dell’innalzamento della canna fumaria, informava l’istante del venir meno delle cause dell’inibizione all’uso del camino. Tuttavia, con la successiva nota prot. 203 del 24.7.2008, infine, l’amministrazione nuovamente comunicava, a rettifica del precedente provvedimento, che poiché la canna fumaria, anche se rialzata, non risultava superare il colmo dell’edificio, come previsto dalla normativa vigente in materia, che si intendeva come confermata la nota del 2006, di inibizione dell’uso della canna fumaria sino all’adeguamento della stessa.
Pertanto, l’interessato impugnava dinanzi al Tar il provvedimento predetto, deducendo i seguenti vizi:
– violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 7, 8 e 10, l. n. 241 del 1990 e s.m.i., eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche ed in particolare per difetto di motivazione, di istruttoria e contraddittorietà;
– eccesso di potere anche per travisamento dei fatti, sviamento di potere, perplessità dell’azione amministrativa.
Il Tar con la sentenza appellata respingeva il ricorso.
L’appellante censura la sentenza per avere superficialmente valutato le circostanze di fatto e di diritto concernenti la vicenda e in particolare per avere fondato il proprio convincimento sulle disposizioni, non già del Regolamento edilizio del Comune di Roma, ma del Comune di Albano Laziale, erroneamente depositato dalla Asl nel corso del giudizio di primo grado. Evidenzia inoltre come la canna fumaria supera il piano di copertura dell’edificio tenuto conto che l’immobile al cui interno è ubicato l’appartamento ha due distinti piani di copertura posti ad altezze diverse.
Si è costituita la Azienda Usl RM A chiedendo con dovizia di argomentazioni il rigetto del ricorso.
Sono state depositate ulteriori memorie difensive.
La causa è stata trattenuta per la decisione all’udienza del 24 giugno 2011.
2. Si puo’ prescindere dall’esame della eccezione di inammissibilità per mancata notifica al controinteressato, sollevata dalla difesa della Azienda Usl RM/A (peraltro infondata mancando nel provvedimento impugnato alcun elemento per la esatta individuazione del soggetto controinteressato) in quanto nel merito l’appello è infondato.
3. La sentenza di primo grado, pur richiamando erroneamente il Regolamento edilizio del Comune di Albano, ha correttamente accertato la oggettiva situazione fattuale e cioè che “.. la canna – proprio in ragione della particolare architettura del fabbricato – non supera il colmo dell’edificio, come emerge chiaramente dalla documentazione fotografica, ponendosi, … conseguentemente, a distanza inferiore a quanto disposto, dalle aperture e finestre prospicienti”.
In concreto è stata data quindi applicazione all’articolo 64 del Regolamento di Igiene del Comune di Roma, approvato con deliberazione n.7.395 del 12.11.1932 e succ. modifiche e integrazioni, secondo il quale “Nella città e nei centri abitati i fumaioli dovranno essere elevati al di sopra del fabbricato e, ove questo sia più basso di quelli contigui, prolungati sino ad una altezza sufficiente per evitare danno o incomodo ai vicini”.
Risulta evidente che la ratio di tale norma sia quella di evitare che le canne fumarie provochino immissioni nocive o comunque disturbo a terzi e pertanto, laddove, come nel caso in esame, per la peculiare configurazione architettonica a scaloni, lo stabile abbia due o più piani di copertura di diverso livello, le canne fumarie debbono innalzarsi oltre l’ultimo piano al fine di evitare immissioni nocive a terzi.
Nel caso in esame, come risulta evidente dalla documentazione fotografica depositata, il comignolo dell’appellante, pur elevandosi oltre il piano in cui è ubicato l’appartamento di sua pertinenza, ha però sbocco proprio all’altezza del terrazzo dell’appartamento sito al piano superiore, determinando quindi la concreta possibilità di immissioni nocive nell’appartamento medesimo.
Con l’effetto che i rilievi contenuti nel ricorso in appello sono ininfluenti e strumentali dal momento che il provvedimento impugnato non si è basato sulla erronea applicazione del Regolamento Edilizio del Comune di Albano Laziale, ma sull’esatto rilievo che la canna fumaria non supera il colmo dell’edificio.
Ne deriva che il provvedimento di inibizione, a seguito di più approfondito esame, da parte dell’amministrazione, della documentazione prodotta, appare giustificato dalla necessità di adeguamento, come indicato, peraltro nella stessa nota, a tutela delle disposizioni igieniche sanitarie vigenti ed idoneamente motivato, a seguito della attività di verifica operata dall’amministrazione e dell’apporto partecipativo dell’interessato, senza che possano trovare accoglimento i vizi dedotti da parte istante.
Infondate in particolare sono le censure relative ad una asserita carenza di attività istruttoria della Azienda che a contrario, come emerge dalla documentazione depositata, ha effettuato sopralluoghi acquisendo due relazioni redatte da un tecnico di fiducia del dottor Fulci al quale ha assicurato la partecipazione al procedimento.
4. Per quanto sopra esposto, l’appello deve essere respinto.
5. Sussistono motivi, data la peculiarità della fattispecie e l’andamento della vicenda amministrativa, per compensare le spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,
lo respinge.
Spese compensate.


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