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01.09.2000 - tributi

BENEFICI ‘PRIMA CASA’ – ACCERTAMENTO – TERMINE DI DECADENZA DECENNALE

BENEFICI “PRIMA CASA” – ACCERTAMENTO – TERMINE DI DECADENZA DECENNALE BENEFICI “PRIMA CASA” – ACCERTAMENTO – TERMINE DI DECADENZA DECENNALE
(Dir. Reg. Entrate Lombardia,
Circ. 14/7/00, n. 24)

La Direzione regionale delle entrate della Lombardia ha fornito istruzioni in merito alle agevolazioni fiscali per l’acquisto della “prima casa, con particolare riguardo agli elementi che devono essere oggetto di controllo da parte degli Uffici e all’individuazione del termine entro cui può legittimamente essere richiesta la differenza d’imposta dovuta ed essere irrogate le relative sanzioni nell’ipotesi di decadenza dai benefici.
Si pubblica di seguito il testo della circolare regionale.

Direzione regionale delle Entrate per la Lombardia, Circ. 14/7/00, n. 24

Oggetto: Registro – IVA – Agevolazioni fiscali per l’acquisto della “prima casa”- Attività di controllo – Termine di decadenza per l’azione della finanza – Art. 1, nota II-bis, tariffa parte prima allegato “A”, D.P.R. n. 131/86 — Istruzioni –

1. Pervengono alla Scrivente numerosi quesiti, da parte dei dipendenti uffici, in ordine all’esatta individuazione del termine entro cui può legittimamente richiedersi la differenza d’imposta dovuta, ed irrogarsi le relative sanzioni, nell’ipotesi di decadenza dai benefici fiscali previsti per l’acquisto della “prima casa” (nota II-bis all’art. 1 della tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 131/86).
La questione prospettata è ben nota nei suoi aspetti generali, essendo già stata oggetto di pronunce ministeriali nonché di contrastanti orientamenti giurisprudenziali. Al fine di consentire, tuttavia, l’efficacia dell’attività di accertamento nonché la predisposizione di una idonea programmazione della stessa, a salvaguardia degli interessi erariali, si ritiene opportuno fornire i necessari chiarimenti nonché dettare le conseguenti istruzioni -anche in ordine all’attività di controllo- a cui gli uffici dovranno attenersi.

2. Al riguardo, è opportuno premettere quanto segue.
L’art. 1 della tariffa, parte prima, allegato “A”, D.P.R. n. 131/86, stabilisce che sono soggetti all’aliquota ridotta del quattro per cento (dal 1° gennaio 2000, tre per cento) gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e gli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, se hanno per oggetto “case di abitazione non di lusso secondo i criteri di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 agosto 1969, ove ricorrano le condizioni previste dalla nota II-bis”. Ai fini IVA, la cessione che abbia per oggetto i medesimi beni è soggetta all’aliquota del quattro per cento sempreché ricorrano le condizioni stabilite nella predetta nota II-bis (punto 21, tabella A, parte seconda, allegata al D.P.R. 633/72).

Le condizioni previste dalla nota II-bis sono tre:
– che l’immobile acquistato sia ubicato in un luogo ben determinato
a) nel comune dove l’acquirente ha la propria residenza; b) o, se diverso, nel comune dove svolge la propria attività; c) nel comune dove ha sede o dove svolge la propria attività il soggetto da cui dipende, se trasferito all’estero per ragioni di lavoro; d) in qualunque altro luogo del territorio dello Stato, se sia cittadino italiano emigrato all’estero.
Quando l’immobile acquistato è situato in un luogo diverso da quelli prima menzionati, l’aliquota ridotta non può essere applicata, a meno che l’acquirente non dichiari in atto, a pena di decadenza, che l’immobile è situato nel comune presso il quale ha intenzione di stabilire la propria residenza entro un anno dall’acquisto;
– che l’acquirente dichiari in atto di non possedere a titolo di proprietà o altro diritto reale di godimento un’altra casa di abitazione nel comune ove è situato l’immobile acquistato;
– che l’acquirente dichiari in atto di non possedere a titolo di proprietà o altro diritto reale di godimento un’altra casa di abitazione (sia pure per quote indivise o in comunione legale) ovunque situata, se precedentemente acquistata usufruendo delle medesime agevolazioni fiscali pro tempore previste.
I fatti che originano la decadenza sono i seguenti:
– la mendacità delle dichiarazioni rese nei predetti punti. La mendacità consiste nella non rispondenza al vero dei “fatti” di cui ai punti 2 e 3 affermati dal contribuente. Per quanto concerne, invece, la dichiarazione a cui si è fatto cenno al punto 1) (e cioè l’intenzione di voler trasferire entro l’anno dall’acquisto la residenza nel comune ove è situato l’immobile acquistato), sembra prima facie che il mancato trasferimento della residenza non possa rifluire nell’ipotesi di mendacità. Trattandosi propriamente di una dichiarazione d’intento, infatti, non sarebbe mai possibile accertarne la mendacità giacché oggetto d’accertamento non sarebbe un fatto, ma la volontà espressa di porre in essere un determinato comportamento. Tuttavia, poiché impone un preciso termine (peraltro ragionevolmente ampio) entro cui la predetta volontà dichiarata deve concretizzarsi nel comportamento prescritto, si ritiene che la disposizione in esame esprima una norma implicita in base alla quale, scaduto inutilmente il termine ivi previsto, è ragionevolmente presumibile che la dichiarazione d’intento sia stata resa non seriamente o, detto altrimenti, che la dichiarazione sia stata resa in costanza di una riserva mentale equivalente -per ciò che concerne gli effetti- alla mendacità;
– il trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito dell’immobile acquistato prima del decorso di cinque anni dall’acquisto, a meno che entro un anno dal trasferimento non si proceda all’acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale.
Al verificarsi di uno dei due predetti fatti (mendacità di una qualunque dichiarazione o rivendita infraquinquennale) consegue l’inapplicabilità della norma agevolativa e si renderanno pertanto dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria (al netto di quanto già corrisposto). Inoltre, sarà applicabile una sanzione amministrativa pari al trenta per cento delle predette imposte. Se la cessione agevolata era soggetta ad IVA, l’ufficio del registro (o l’ufficio delle entrate ove istituito) provvede ad irrogare una sanzione amministrativa pari alla differenza tra l’IVA ordinariamente dovuta in assenza dell’agevolazione e l’IVA risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata, maggiorata del trenta per cento.
3. In merito alla questione prospettata, dopo aver esposto nei suoi aspetti essenziali l’attuale disciplina in materia di agevolazioni per l’acquisto della prima casa, ai fini dell’individuazione del termine entro cui effettuare i controlli, occorre tenere ben distinti due casi.
Primo caso. Affinché la fattispecie agevolativa si realizzi compiutamente occorrono tre elementi: a) il fabbricato ceduto deve essere una casa non di lusso; b) il fabbricato deve essere ubicato in un luogo ben determinato; c) l’acquirente deve rendere in atto le dichiarazioni indicate dalla norma.
Quando uno qualunque di questi tre elementi difetti e ciò nonostante l’ufficio abbia per errore applicato l’aliquota ridotta anziché quella ordinaria, si dovrà senz’altro procedere al recupero dell’imposta (da qualificarsi come imposta suppletiva), senza applicazione di sanzioni ed interessi. Le imposte suppletive dovranno essere richieste, a pena di decadenza, entro tre anni dalla data di registrazione dell’atto. Qualora, ricorrendo la medesima situazione, la cessione è assoggettata ad IVA, l’ufficio del registro dovrà segnalare l’insussistenza delle condizioni previste, al fine di consentire a quest’ultimo la rettifica entro gli ordinari termini di decadenza in capo al cedente (in quanto, nel caso prospettato, si tratta di un recupero di imposta sul valore aggiunto). In sede di registrazione dell’atto, pertanto, l’ufficio, ai fini dell’applicazione della norma agevolativa, dovrà appurare (per quanto sia possibile desumere dal medesimo atto o dai documenti a questo allegati) che: (a) oggetto del trasferimento sia una casa non di lusso; (b) che la parte acquirente renda le dichiarazioni prescritte; (c) che la casa acquistata sia ubicata nei luoghi prescritti. Va da sé che tutte le volte in cui ciò non sia immediatamente possibile in sede di registrazione dell’atto – ovviamente per i requisiti di cui ai precedenti punti a) e c) – l’ufficio dovrà procedere all’appuramento in una fase successiva, ferma restando la qualificazione come suppletiva della maggiore imposta dovuta e il termine triennale di decadenza, ove il requisito non sussista.
Secondo caso. Allorquando i tre elementi sopra menzionati sussistono, l’ufficio dovrà senz’altro applicare l’agevolazione richiesta e provvederà ad iscrivere apposito articolo sul campione unico, riservandosi di verificare che le dichiarazioni rese non siano mendaci e/o che l’immobile acquistato non venga trasferito nel successivo quinquennio. A tale riguardo, si ritiene opportuno precisare che il registro di campione unico, attualmente non fungibile con le liste di ausilio fornite dal Centro Informativo, può essere validamente sostituito, soprattutto in presenza di numerosi articoli di memoria, con qualunque altro sistema purché risponda alle medesime funzioni del campione unico e garantisca l’attendibilità delle informazioni richieste per il successivo controllo.
4. Ove uno dei due fatti si verifichi, si pone il problema del termine entro cui l’ufficio è legittimato a richiedere la differenza d’imposta.
Al riguardo, stante l’assenza nell’ambito della nota II-bis di qualsivoglia norma ad hoc (assenza peraltro registrata in ogni legge speciale emanata in materia dal 1982 in avanti), valgono le norme generali contenute nella legge di registro. Innanzitutto è da ribadire che la maggiore imposta richiesta a seguito dell’intervenuta decadenza è da qualificare come imposta complementare, stante la chiara definizione residuale che di essa ne dà l’art. 42, D.P.R. n. 131/86, in base al quale è complementare l’imposta che non sia né principale né suppletiva (e quindi quella che non è applicata né in sede di registrazione -imposta principale- né per ovviare ad un errore dell’ufficio -imposta suppletiva-). Del resto in senso conforme si è da sempre espresso il Ministero delle finanze (ex pluribus, C.M. n. 43/3153 dell’1177/86, R.M. n. 310650 del 13/3/89, R.M. n. 260211 del 20/12/90). La corretta qualificazione dell’imposta assume rilevanza, tra l’altro, per individuare i termini di decadenza entro cui l’imposta complementare può essere legittimamente richiesta, così come individuati dall’art.76, D.P.R. n. 131/86. Vi è però che, a causa del difettoso coordinamento tra la definizione residuale dell’imposta complementare di cui all’art. 42 e le ipotesi regolate dal successivo art. 76 (che riguardano solo l’imposta complementare dovuta sul maggior valore accertato, l’imposta complementare liquidata a seguito della presentazione della denuncia prevista dall’art. 19 e l’imposta complementare dovuta sul corrispettivo occultato), rimane senza una specifica disciplina l’ipotesi dell’imposta complementare applicata per motivi diversi da quelli espressamente ivi contemplati, tra cui appunto l’imposta complementare applicata a seguito della decadenza dalle agevolazioni richieste (ma anche quella applicata a seguito dell’attribuzione della rendita ex art. 12 del D. L. n. 70/88, allorquando il valore catastale sia superiore a quello dichiarato). Per colmare la lacuna normativa può essere utilizzato l’argomento a contrario, ritenendosi perciò che la mancata espressa previsione della fattispecie considerata, nell’ambito dell’art. 76, esprima una norma implicita in base alla quale non vi è alcun termine di decadenza per recuperare l’imposta in questione.
Ma, poiché un termine purchessia non può non ammettersi, si deve allora necessariamente far ricorso all’ordinario termine di prescrizione decennale, richiamato dal’art. 78 del D.P.R. n. 131/86, decorrente dalla data di registrazione dell’atto. E’ questa la soluzione prospettata nella riunione degli Ispettori Compartimentali delle Tasse tenutasi a Roma nei giorni 8, 9 e 10 dell’ottobre 1985.
Sul punto, di recente, la Corte di Cassazione ha manifestato un orientamento contrastante. Infatti, con sent. n. 9280 del 17 settembre 1998, ha affermato che, nell’ipotesi considerata, le imposte devono essere richieste entro il termine triennale di decadenza previsto dall’art. 76, decorrente dalla registrazione dell’atto. Con successiva sent. n. 4944 del 21 maggio 1999, invece, si è affermata l’applicabilità del termine decennale di prescrizione previsto dall’art. 78 del D.P.R. n. 131/86. Infine, con la sent. n. 7947 del 23 luglio 1999, si è riaffermata l’applicabilità del termine triennale di decadenza di cui all’art. 76 della legge di registro.
5. Salva l’eventuale soluzione del contrasto interpretativo emerso in senso alla prima sezione della Corte di Cassazione con una pronuncia a sezioni unite e/o salvo un diverso orientamento del Ministero delle finanze, gli uffici continueranno a coltivare le controversie in atto, insistendo sull’applicabilità del termine decennale ordinario.
Per quanto riguarda, invece, l’attività di controllo, stante la controversa individuazione del termine entro cui richiedere l’imposta (e le sanzioni correlate, in considerazione della recente modifica dell’art. 20 del D. Lgs. 472/97, intervenuta a seguito dell’emanazione del D. Lgs. 99/2000), è oltremodo opportuno -a salvaguardia degli interessi dell’erario, che potrebbero risultare pregiudicati ove l’interpretazione da ultimo assunta dalla Corte di Cassazione dovesse prevalere- che gli uffici programmino la propria attività di appuramento degli articoli di memoria, tenendo presente il termine triennale di decadenza (così come peraltro suggerito già dal 1986 con circolare del soppresso Ispettorato Compartimentale di Milano n. 2 del 22 gennaio 1986, prot. 3073/III).
A tal fine, si precisa che il termine triennale decorre:
– dalla registrazione dell’atto, se oggetto di accertamento è la mendacità delle dichiarazioni previste dalle lettere b) e c) della nota II-bis (dichiarazioni di non possidenza);
– dallo spirare dell’anno successivo alla data di registrazione dell’atto, se oggetto di accertamento è la “mendacità” della dichiarazione prevista nella lettera a) della predetta nota;
– dallo spirare dell’anno successivo al trasferimento a titolo oneroso o gratuito dell’immobile acquistato, se oggetto di accertamento è la rivendita infraquinquennale.Le conclusioni raggiunte, peraltro, trovano ulteriore suffragio nella circolare ministeriale n. 112 del 17/4/97. In quella occasione il Ministero delle finanze ha affermato, per una fattispecie del tutto analoga (riguardante il recupero della maggiore dovuta a seguito della attribuzione della rendita catastale ex art. 12 D.L. n. 70/88, ritenuta imposta complementare non dovuta sul maggior valore accertato) l’applicabilità del termine triennale decorrente dalla data di registrazione dell’atto (rimanendo peraltro ininfluente, in questa sede, la qualificazione prescrizionale anziché decadenziale del termine).
6. Nell’ambito dell’attività di controllo programmata per l’anno 2000 (punto E5..5.3 della direttiva del piano delle attività per il 2000), si invitano gli uffici a voler procedere all’appuramento degli articoli di memoria, tenendo presenti i termini di decadenza come sopra individuati nonché valutando l’entità del recupero e il grado di sostenibilità della pretesa. Solo a conclusione del predetto controllo, l’ufficio potrà eventualmente destinare una parte della propria capacità operativa residua al controllo delle situazioni pregresse, controllo che dovrà comunque essere effettuato secondo i criteri di efficienza come sopra individuati.
La presente circolare è stata predisposta dall’Ufficio Fiscalità generale di concerto con l’Ufficio Governo dell’accertamento e con l’Ufficio Contenzioso tributario.


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