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18.05.2009 - tributi

RIVALUTAZIONE DEI BENI IMMOBILI D’IMPRESA – NUOVI CHIARIMENTI MINISTERIALI

RIVALUTAZIONE DEI BENI IMMOBILI D’IMPRESA – NUOVI CHIARIMENTI MINISTERIALI
(C.M. n.11/E del 19/3/09)
 
Nel caso in cui si effettui la rivalutazione solo ai fini civilistici dei beni immobili d’impresa, introdotta dall’art. 15, commi 16-23 del D.L. 185/2008, convertito con modificazioni in Legge 2/2009, il saldo attivo generato non sarà considerato in sospensione d’imposta e, pertanto, verrà tassato solo in caso di distribuzione in capo ai soci.
Inoltre, l’efficacia fiscale della rivalutazione si considera perfezionata con l’indicazione in dichiarazione dei redditi dei maggiori valori rivalutati e della relativa imposta sostitutiva, a prescindere dall’omesso, insufficiente e/o tardivo versamento della stessa (che, se non versata, verrà iscritta a ruolo, fermo restando la possibilità per il contribuente di avvalersi del ravvedimento operoso).
Queste alcune delle precisazioni contenute nella Circolare Ministeriale n. 11/E del 19 marzo 2009, con la quale l’Agenzia delle Entrate affronta nuovamente il tema della disciplina riguardante la rivalutazione dei beni immobili delle imprese, già trattato dalla C.M. n. 8/E del 13 marzo 2009.
Si riporta, quindi, un quadro riepilogativo alla luce dei nuovi chiarimenti ministeriali.

1. Soggetti ammessi
2. Beni rivalutabili e condizioni di applicabilità
3. Effetti della rivalutazione
3.1 Effetti fiscali: imposta e decorrenza
4. Aspetti contabili: il saldo attivo
5. Affrancamento del saldo attivo
1. Soggetti ammessi
Il D.L. 185/2008 all’art. 15, comma 16, enuncia i soggetti ammessi a fruire della rivalutazione, rientranti nell’art. 73, comma 1, lettere a) e b) del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.917.
Tra gli altri, si tratta di:
• Società per azioni e in accomandita per azioni;
• Società a responsabilità limitata;
• Società cooperative e società di mutua assicurazione;
• Società europee di cui al regolamento (CE) n.2157/2001 e le società cooperative europee di cui al regolamento (CE) n 1435/2003 residenti nel territorio dello Stato;
• Enti pubblici e privati diversi dalle società nonchè i trust, residenti nel territorio dello stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali.
Sono altresì ammessi, ai sensi dell’art. 15, comma 16, del D.L. 185/2008, le società in nome collettivo e le società in accomandita semplice ed equiparate, che non adottano i principi contabili internazionali nella redazione del bilancio.
Tra i soggetti ammessi al beneficio, la C.M. 8/E/2009 conferma la possibilità di rivalutare i beni anche per le imprese individuali e per le società di persone in contabilità semplificata, come già espressamente previsto all’art. 15 della Legge 342/2000 (richiamato dall’art. 15, comma 23, del D.L. 185/2008)
Per tali soggetti, però, la rivalutazione è consentita a condizione che venga redatto un apposito prospetto bollato e vidimato dal quale risultino i prezzi di costo del bene e la rivalutazione compiuta. Inoltre, per l’assenza di un bilancio formale nel quale emergono i maggiori valori rivalutati, la C.M. 11/E/2009 sottolinea che tali soggetti debbano necessariamente operare la rivalutazione ai fini fiscali, mediante versamento obbligatorio dell’imposta sostitutiva.
Diversamente, risultano esclusi i soggetti che determinano il reddito su base forfetaria e le società semplici e gli enti ad esse equiparate.
L’Agenzia delle Entrate ha precisato, nella C.M. 11/E/2009, le modalità di applicazione della rivalutazione dei beni immobili in presenza di particolari ipotesi.
In particolare:
– in caso di bene oggetto di un diritto di superficie, la facoltà di rivalutazione spetta al titolare di tale diritto reale, qualora il bene sia comunque relativo all’impresa;
– nell’ipotesi di affitto e usufrutto di azienda con obbligo di conservazione dell’efficienza dei beni ammortizzabili (art. 2561 del c.c.), la rivalutazione può essere eseguita solo dall’affittuario o usufruttuario, quale soggetto che calcola e deduce gli ammortamenti. Nell’ipotesi in cui, invece, le parti abbiano previsto che il concedente continui a calcolare gli ammortamenti, la rivalutazione potrà essere effettuata solo da quest’ultimo;
– in caso di conferimento d’azienda effettuato in neutralità fiscale nel corso del 2008, il conferitario può rivalutare i beni oggetto di conferimento, anche se questi erano iscritti nel bilancio del conferente relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2007[1];
– in caso di operazioni di fusione o scissione realizzate nel corso del 2008, la società incorporante o risultante dalla fusione e la società beneficiaria possono rivalutare i beni acquisiti se gli stessi figuravano iscritti nei bilanci della società incorporata o della scissa al 31 dicembre 2007.

2. Beni rivalutabili e condizioni di applicabilità
Come enunciato nell’art. 15, comma 16, D.L. 185/2008, la rivalutazione è concessa per i beni immobili dell’impresa risultanti dal bilancio in corso al 31 dicembre 2007 e va eseguita con riferimento al bilancio relativo all’esercizio successivo.
Sono ammessi, dunque, alla rivalutazione:
• i fabbricati strumentali, iscritti in bilancio tra le immobilizzazioni materiali, non destinati alla vendita;
• i fabbricati non strumentali, iscritti in bilancio tra le immobilizzazioni materiali, non destinati alla vendita.
Come già precisato nella C.M. n. 18/E del 13 giugno 2006, e ribadito dalla citata C.M. 11/E/2009, la rivalutazione è applicabile anche ai beni completamente ammortizzati e alle immobilizzazioni in corso, risultanti dall’attivo dello Stato Patrimoniale del bilancio relativo all’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2007.
Sono rivalutabili, inoltre, anche i beni acquisiti in leasing, a patto che su di essi sia stato esercitato il diritto di riscatto entro la chiusura dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2007 (C.M. 8/E/2009). Diversamente, come ribadito dalla C.M. 11/E/2009, la rivalutazione non può essere effettuata dall’impresa concedente, in quanto, per questa, i beni concessi in leasing sono considerati come immobilizzazioni finanziarie, come tali escluse dalla rivalutazione.
Non possono invece essere rivalutati:
• i beni merce (ossia i beni alla cui produzione o scambio è diretta l’attività, per esempio il magazzino delle imprese edili);
• le aree fabbricabili.
In tal ambito, l’Amministrazione, nella C.M. 8/E/2009, ribadisce che i beni oggetto della rivalutazione devono risultare iscritti tra le immobilizzazioni sia nel bilancio 2007 che in quello dell’esercizio successivo (relativamente, cioè, all’esercizio in corso al 31 dicembre 2008, nel quale la rivalutazione deve essere effettuata).
È quindi esclusa la possibilità di rivalutare i beni che risultassero iscritti tra i “beni merce” nel bilancio dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2007 e che, solo nel 2008, venissero iscritti tra le immobilizzazioni.
Inoltre, si ricorda che, come precisato dall’art. 15, comma 17, del D.L. 185/2008, la rivalutazione deve avvenire nel bilancio o rendiconto successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007, e non può essere eseguita per singoli cespiti, ma deve riguardare tutti i beni appartenenti alla stessa categoria omogenea.
In particolare, il comma 17 dell’art. 15 del DL 185/2008, individua due categorie di immobili in base ai quali effettuare la rivalutazione.
In particolare, tali categorie omogenee si suddividono in:
– beni ammortizzabili;
– beni non ammortizzabili.
I requisiti di appartenenza alle categorie omogenee vanno verificati alla data di chiusura del bilancio nel quale la rivalutazione è stata eseguita (C.M. 57/E/2001), quindi, in caso di esercizio coincidente con l’anno solare, al 31 dicembre 2008.
Inoltre, la C.M. 11/E/2009 ricorda che, in base all’art.36, commi 7, 7-bis e 8 del D.L. 223/2006 (convertito con modificazioni nella legge 248/2006), il costo dei fabbricati strumentali per l’esercizio dell’impresa deve essere assunto, ai fini del calcolo delle quote di ammortamento e dei canoni di leasing deducibili, al netto del costo delle aree occupate dalla costruzione e di quelle che ne costituiscono pertinenza.
Quindi, in base a quanto precisato nelle Circolari ministeriali n.1/E/2007 e n.11/E/2007 (nelle quali si è affermata la necessità di scorporare il valore del terreno da quello del fabbricato), l’Amministrazione finanziaria ritiene che il medesimo scorporo debba essere effettuato anche ai fini della rivalutazione in esame, con la conseguenza che il valore delle aree occupate dalla costruzione e quelle che ne costituiscono pertinenza va compreso nella categoria degli immobili non ammortizzabili.
Nel caso in cui dovessero essere oggetto di rivalutazione, non tutti, ma solo alcuni dei beni appartenenti alla stessa categoria omogenea, vengono disconosciuti gli effetti fiscali della rivalutazione (C.M. 57/E/2001).
A conferma di quanto già chiarito con la C.M. 18/E/2006, la C.M. 11/E/2009 precisa che il contribuente può, però, impedire la decadenza dalla rivalutazione sui beni rimanenti qualora, anche in sede di accertamento, provveda al versamento dell’imposta sostitutiva non versata con riferimento al bene illegittimamente escluso, maggiorata di sanzioni ed interessi previsti per legge. Resta inteso che l’assolvimento di tale onere non comporta anche il riconoscimento del maggior valore relativo ai beni esclusi dalla rivalutazione.
Il valore attribuito ai singoli beni, a seguito della rivalutazione, non può risultare in nessun caso superiore (art. 11, comma 2, Legge 342/2000 e art. 6, D.M. 162/2001) al:
• valore realizzabile nel mercato, tenuto conto dei prezzi di mercato;
• maggiore valore che può essere fondatamente attribuito in base alla valutazione della capacità produttiva;
• maggior valore che può essere fondatamente attribuito in base alla valutazione della possibilità di utilizzazione economica dell’impresa.
Sulla base di tali affermazioni, è possibile individuare due criteri di valutazione:
– uno interno, che tiene conto del degrado fisico e dell’obsolescenza del bene;
– un secondo criterio che dipende, invece, dal mercato.
Il limite massimo entro cui può essere effettuata la rivalutazione è rappresentato dal maggiore tra le due suindicate grandezze.
Deve inoltre essere utilizzato un unico criterio (tra quelli appena elencati) per i beni appartenenti alla stessa categoria omogenea (art. 4, comma 8, D.M. 162/2001).
Per le modalità di esecuzione della rivalutazione, l’art. 5 del D.M. 162/2001 prevede tre metodi alternativi:
1. rivalutazione contestuale del costo storico del cespite unitariamente alla rivalutazione del relativo fondo;
2. la sola rivalutazione del costo storico del cespite;
3. la riduzione del fondo di ammortamento.
Inoltre, nella C.M. 11/E/2009, si ribadisce che la rivalutazione di tutti i beni appartenenti a ciascuna categoria omogenea, va eseguita utilizzando un unico criterio di valutazione, ferma restando la possibilità di utilizzare, all’interno della medesima categoria, uno o più metodi di rivalutazione precedentemente illustrati.

3. Effetti della rivalutazione
La C.M. 8/E/2009 ribadisce che la possibilità di riconoscere maggior valore ai beni oggetto della rivalutazione può avere efficacia solamente a livello civilistico e non necessariamente anche a livello fiscale.
In sostanza, mentre nei precedenti provvedimenti, l’efficacia della rivalutazione, sia ai fini civilistici che fiscali, era subordinata al pagamento dell’imposta sostitutiva, nell’attuale previsione, gli effetti civilistici e quelli fiscali risultano autonomi.
L’impresa, quindi, potrà valutare diverse alternative per la rivalutazione degli immobili:
– rivalutare ai soli fini civilistici, senza il pagamento dell’imposta sostitutiva;
– rivalutare ai fini civilistici e fiscali, versando l’imposta sostitutiva sui maggiori valori attribuiti agli immobili;
– rivalutare sia ai fini civilistici che fiscali, versando l’imposta sostitutiva in relazione ai maggiori valori attribuiti agli immobili, ed affrancare il saldo attivo di rivalutazione con un ulteriore imposta sostitutiva.

3.1 Effetti fiscali: imposta e decorrenza
Circa il costo fiscale della rivalutazione, il comma 20, dell’art. 15 del D.L. 185/2008 (come modificato dal D.L. 5/2009) prevede il pagamento di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi (IRPEF/IRES) e dell’IRAP, da applicare sul maggior valore attribuito ai beni, con aliquota pari al:
• 1,5% per i beni non ammortizzabili;
• 3% per i beni ammortizzabili.
L’imposta sostitutiva può essere versata, a scelta dal contribuente, o in un’unica soluzione entro il termine di versamento delle imposte relative all’esercizio nel corso del quale la rivalutazione è effettuata, ovvero in tre rate, con la corresponsione degli interessi legali nella misura del 3% sulla seconda e sulla terza rata (art. 15, comma 22, D.L. 185/2008). Quindi, se la rivalutazione è effettuata nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2008, l’intero ammontare dell’imposta sostitutiva, ovvero la prima rata della stessa, dovrà essere versata entro il prossimo 16 giugno 2009.
Inoltre, il contribuente può versare l’imposta sostitutiva entro il trentesimo giorno successivo a tale termine, maggiorandola dello 0,4% a titolo di interesse[2].
Per espressa previsione normativa (art. 15, comma 22, del D.L. 185/2008) viene altresì previsto che l’imposta sostitutiva possa essere oggetto di compensazione, ai sensi del D.Lgs. 241/1997.
La C.M. 8/E/2009 specifica che, in assenza di liquidazione dell’imposta sostitutiva, la rivalutazione non produce alcun effetto fiscale, neppure ai fini dell’IRAP.
Circa l’efficacia fiscale della rivalutazione, inoltre, la C.M. 11/E/2009 precisa (anche in conformità a quanto affermato nella R.M. 362/E/2008) che la stessa deve ritenersi perfezionata con l’indicazione in dichiarazione dei redditi dei maggiori valori rivalutati e della relativa imposta sostitutiva. Pertanto, l’omesso, insufficiente e/o tardivo versamento dell’imposta sostitutiva non compromette il perfezionamento della rivalutazione. In tal caso, l’imposta sostitutiva non versata è iscritta a ruolo[3], fermo restando la possibilità per il contribuente di avvalersi del ravvedimento operoso, semprechè la violazione non sia stata già constatata e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento[4].
Per espressa previsione normativa (art. 15, commi 20-21, D.L. 185/2008), gli effetti fiscali della rivalutazione, ai fini delle imposte sul reddito (IRES/IRPEF) e dell’IRAP, decorrono:
– dal quinto esercizio successivo a quello in cui è stata effettuata la rivalutazione (in sostanza, dal 2013), per il riconoscimento del maggior valore di tali beni, ai fini dell’ammortamento fiscale.
Prima del riconoscimento fiscale, i maggiori ammortamenti iscritti in bilancio e imputati a conto economico in misura superiore a quella fiscalmente deducibile, devono essere recuperati a tassazione attraverso una variazione in aumento dal reddito imponibile.
In tal ambito, l’Amministrazione Finanziaria ha inoltre precisato che anche l’efficacia ai fini del plafond per il calcolo delle spese di manutenzione delle immobilizzazioni materiali, deducibili nel limite del 5%del costo di tutti i beni materiali ammortizzabili[5], decorre dal quinto esercizio successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione è stata eseguita;
– dal sesto esercizio successivo a quello nel cui bilancio la rivalutazione è stata eseguita (in sostanza, dal 2014), ai fini del calcolo della plusvalenza imponibile nell’ipotesi di cessione degli immobili.
Tale disposizione comporta che, qualora l’immobile sia ceduto (o assegnato ai soci o destinato a finalità estranee all’esercizio d’impresa o al consumo personale o familiare dell’imprenditore) prima dell’inizio del sesto periodo d’imposta successivo a quello in cui è stata effettuata la rivalutazione (in sostanza, prima del 1° gennaio 2014, in caso di periodo d’imposta coincidente con l’anno solare), la plusvalenza imponibile sarà determinata in base al costo del bene prima della rivalutazione.
In tal caso, così come precisato anche nella C.M. 18/E/2006, trova applicazione l’art.3, comma 3, del D.M. 86/2002, che stabilisce che al soggetto che ha eseguito la rivalutazione è attribuito un credito d’imposta (ai fini delle imposte sul reddito) pari all’ammontare dell’imposta sostitutiva pagata riferibile ai beni ceduti.
In tal ambito, la C.M. 8/E/2009, con riferimento ad operazioni di “sale and lease-back”, chiarisce che la stipula di un contratto di lease-back nel periodo di sospensione dell’efficacia fiscale, concretizzandosi in un’operazione che comporta il trasferimento giuridico del diritto della proprietà del bene, determina la decadenza dal beneficio, con il conseguente riconoscimento del credito d’imposta di cui al citato art.3, comma 3, del D.M. 86/2002.
Diversamente, il conferimento di azienda contenente beni rivalutati, effettuato in neutralità fiscale durante il periodo di sospensione dell’efficacia fiscale (ai sensi dell’art.176 del TUIR – D.P.R. 917/1986), non provoca la decadenza dagli effetti fiscali della rivalutazione.

4. Aspetti contabili: il saldo attivo
La differenza tra il nuovo ed il precedente valore, a livello contabile, dà luogo ad un saldo attivo che, ai sensi dell’art. 15, comma 18, del D.L. 185/2008 deve essere imputato a capitale o accantonato in una speciale riserva in sospensione d’imposta (con la dicitura “riserva ex D.L. 185/2008”), escludendo così ogni diversa forma di utilizzazione o destinazione.
Nell’ipotesi in cui la rivalutazione venga effettuata solo ai fini civilistici, la C.M. 11/E/2009 precisa che il saldo attivo non costituisce riserva in sospensione d’imposta, con la conseguenza che lo stesso verrà tassato solo in caso di distribuzione in capo ai soci.
Diversamente, il predetto saldo costituisce riserva in sospensione d’imposta, nell’ipotesi in cui il contribuente abbia optato per dare rilievo anche fiscale alla rivalutazione, mediante il pagamento dell’imposta sostitutiva.
In tal caso, come ribadito nella C.M. 11/E/2009, in base all’art. 13, comma 3, della Legge 342/2000, qualora il saldo attivo risultante dalla rivalutazione venga attribuito ai soci, lo stesso, aumentato dell’imposta sostitutiva, concorre a formare il reddito imponibile della società che ha eseguito la rivalutazione, partecipando così alla formazione del reddito imponibile.

5. Affrancamento del saldo attivo
L’art. 15, comma 19, del D.L. 185/2008 prevede la possibilità di svincolare fiscalmente la riserva generata a seguito della rivalutazione attraverso l’affrancamento, con il pagamento di un’imposta sostitutiva delle imposte sul reddito e dell’IRAP, pari al 10%[6].
Come precisato nella C.M. 11/E/2009, l’affrancamento del saldo attivo riguarda esclusivamente l’ipotesi in cui il contribuente abbia dato rilevanza fiscale alla rivalutazione, con il versamento dell’imposta sui maggiori valori rivalutati.
Nella diversa ipotesi di rivalutazione con rilevanza solo civilistica, infatti, il saldo attivo non costituisce riserva in sospensione d’imposta, con la conseguenza che lo stesso non rientra nella disciplina dell’affrancamento in esame.
Con l’affrancamento, l’attribuzione ai soci del saldo attivo non genera più materia imponibile per la società, ferma restando la tassazione in capo al socio, secondo le regole previste per la tassazione dei dividendi.
Ai sensi dell’art. 15, comma 22, il versamento dell’imposta sostitutiva può avvenire o in un’unica soluzione entro il termine di versamento delle imposte relative all’esercizio nel corso del quale la rivalutazione è effettuata, ovvero in tre rate, con la corresponsione degli interessi legali nella misura del 3% sulla seconda e sulla terza rata.
Nella C.M. 11/E/2009, viene precisato che l’imposta pagata per l’affrancamento è comunque indeducibile e, circa le modalità di versamento, si ribadiscono le considerazioni già evidenziate per il pagamento dell’imposta sostitutiva dovuta per la rivalutazione fiscale dei beni.

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[1] In base all’art.176 del TUIR – D.P.R. 917/1986, infatti, le aziende si considerano possedute dal soggetto conferitario anche per il periodo di possesso del soggetto conferente, in applicazione del principio di continuità del possesso aziendale tra conferente e conferitario.
[2] Art. 17 del D.P.R. n. 435 del 2001.
[3] Ai sensi degli articoli 10 e seguenti del DPR 29 settembre 1973, n. 602.
[4] Articolo 13 del Decreto Legislativo n. 472 del 1997.
[5] Ai sensi dell’art. 102, comma 6 del D.P.R. 917/1986, secondo il quale “le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione, che dal bilancio non risultino imputate ad incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono, sono deducibili nel limite del 5% del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili quali risulta all’inizio dell’esercizio dal registro dei beni ammortizzabili […]”.
[6] Riprendendo quanto già chiarito con la C.M. 18/E/2006, l’Agenzia delle Entrate precisa nuovamente che l’imposta sostitutiva va calcolata sull’intero importo del saldo attivo di rivalutazione, al lordo dell’imposta sostitutiva versata per il riconoscimento dell’efficacia fiscale della rivalutazione.


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