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21.12.2012 - lavori pubblici

LA CORTE EUROPEA CENSURA L’AUTORITA’ E AMMETTE AGLI APPALTI PUBBLICI ANCHE LE SOCIETA’ SEMPLICI

Il Collegio Costruttori di Brescia ha seguito l’istanza di una società semplice (patrocinata dall’avv. Davide Epicoco, corrente in Brescia), operante nel settore agricolo, nella sua richiesta di qualificazione SOA per la categoria del verde pubblico OS24.
Ottenuta la qualificazione, l’Autorità di vigilanza è intervenuta presso la SOA per imporre la revoca dell’attestazione che a, a parere dell’Autorità stessa, non poteva esser concessa ad una società semplice. La presa di posizione muoveva dall’assunto che il Codice degli appalti prevede tra i possibili assuntori di appalti pubblici solo le società commerciali, che, a suo dire, non comprendono la società semplice prevista dal Codice Civile.
Il TAR, chiamato ad esprimersi sulla questione, ha sposato il filone interpretativo dell’Autorità. Nel successivo ricorso, il Consiglio di Stato, pur condividendo la posizione del primo giudice, ha ritenuto sussistenti i motivi per richiedere il pronunciamento della Corte europea circa la disparita di trattamento in funzione della natura giuridica del concorrente.
La Corte Europea, con la sentenza che qui si pubblica, ha sostenuto che ogni offerente qualificabile come «imprenditore» ai sensi della direttiva 93/37,può partecipare ad appalti pubblici indipendentemente dalla sua natura giuridica. In conclusione la posizione dell’Autorità di Vigilanza perde di efficacia ed ogni società semplice potrà chiedere e conseguire la qualificazione SOA.

CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA ORDINANZA DELLA CORTE (Settima Sezione)
4 ottobre 2012 *

 «Appalti pubblici di lavori – Direttiva 93/37/CEE – Articolo 6 – Principi di parità di trattamento e di trasparenza – Ammissibilità di una normativa che limita la partecipazione delle gare d’appalto alle società che esercitano un’attività commerciale, con esclusione delle società semplici – Fini istituzionali e statutari – Imprese agricole»

Nella causa C 502/11, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Consiglio di Stato, con decisione del 21 settembre 2011, pervenuta in cancelleria il 30 settembre 2011, nel procedimento
Vivaio dei Molini Azienda Agricola Porro Savoldi (patrocinata da Davide Epicoco)
contro Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture con l’intervento di:
SOA CQOP Costruttori Qualificati Opere Pubbliche SpA,
Unione Provinciale Agricoltori di Brescia,
LA CORTE (Settima Sezione),
composta dal sig. J. Malenovský, presidente di sezione, e dai sigg. T. von Danwitz (relatore) e D. Šváby, giudici,
avvocato generale: sig. J. Mazák
cancelliere: sig. A. Calot Escobar
intendendo statuire con ordinanza motivata in conformità dell’articolo 104, paragrafo 3, primo comma, del suo regolamento di procedura,
sentito l’avvocato generale,
ha emesso la seguente

Ordinanza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 6 della direttiva 93/37/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori (GU L 199, pag. 54), come modificata dalla direttiva 2001/78/CE della Commissione, del 13 settembre 2001 (GU L 285, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva 93/37»).

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Vivaio dei Molini Azienda Agricola Porro Savoldi (in prosieguo: la «Savoldi»), società costituita nella forma di una società semplice, e l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (in prosieguo: l’«Autorità»), vertente sulla revoca dell’attestazione di cui beneficiava tale società al fine di poter partecipare alle gare d’appalto.
Contesto normativo

La normativa dell’Unione

3 L’articolo 6 della direttiva 93/37, che figurava al titolo primo della stessa, rubricato «Disposizioni generali», conteneva un paragrafo 6 che enunciava quanto segue:
«Le amministrazioni aggiudicatrici provvedono affinché non vi siano discriminazioni fra i vari imprenditori».

4 Il titolo IV di tale direttiva, dedicato alle «[n]orme comuni di partecipazione», conteneva un capitolo 1, intitolato «Disposizioni generali», che comprendeva l’articolo 21, così formulato:
«I raggruppamenti di imprenditori sono autorizzati a presentare offerte. La trasformazione di tali raggruppamenti in una forma giuridica determinata non può essere richiesta per la presentazione dell’offerta, ma il raggruppamento prescelto può essere obbligato ad assicurare tale trasformazione quando l’appalto gli è stato aggiudicato».

5 L’articolo 24 della suddetta direttiva, inserito nel capitolo 2 di detto titolo, rubricato «Criteri di selezione qualitativa», così disponeva al suo primo comma:
«Può essere escluso dalla partecipazione all’appalto ogni imprenditore:

a) che sia in stato di fallimento, di liquidazione, di cessazione d’attività, di regolamento giudiziario o di concordato preventivo o in ogni altra analoga situazione risultante da una procedura della stessa natura prevista dalle legislazioni e regolamentazioni nazionali;
b) relativamente al quale sia in corso una procedura di dichiarazione di fallimento, di amministrazione controllata, di concordato preventivo oppure ogni altra procedura della stessa natura prevista dalle legislazioni e regolamentazioni nazionali;
c) nei confronti del quale sia stata pronunziata una condanna, con sentenza passata in giudicato, per qualsiasi reato che incida sulla sua moralità professionale;
d) che, in materia professionale, abbia commesso un errore grave, accertato mediante qualsiasi mezzo di prova addotto dall’amministrazione aggiudicatrice;
e) che non sia in regola con gli obblighi relativi al pagamento dei contributi di sicurezza sociale secondo le disposizioni legali del paese dove egli è stabilito o del paese dell’amministrazione aggiudicatrice;
f) che non sia in regola con gli obblighi relativi al pagamento delle imposte e delle tasse secondo le disposizioni legali del paese dove egli è stabilito o del paese dell’amministrazione aggiudicatrice;
g) che si sia reso gravemente colpevole di false dichiarazioni nel fornire le informazioni che possono essere richieste in applicazione del presente capitolo».

6 Ai sensi dell’articolo 26 della direttiva 93/37, contenuto all’interno del medesimo capitolo:
«1. La prova della capacità finanziaria ed economica dell’imprenditore può essere fornita di norma mediante una o più delle referenze seguenti:

a) idonee dichiarazioni bancarie;
b) presentazioni di bilanci o di estratti dei bilanci dell’impresa quando la pubblicazione dei bilanci è prescritta dalla legislazione del paese dove l’imprenditore è stabilito;
c) dichiarazione concernente la cifra d’affari, globale e in lavori, dell’impresa per i tre ultimi esercizi.

2. Le amministrazioni aggiudicatrici precisano nel bando di gara o nell’invito a presentare l’offerta quale o quali delle referenze sopra menzionate hanno scelto e le altre referenze probanti, diverse da quelle di cui alle lettere a), b) e c), che intendono ottenere.

3. Se per una ragione giustificata l’imprenditore non è in grado di dare le referenze chieste dall’amministrazione aggiudicatrice, egli è ammesso a provare la propria capacità economica e finanziaria mediante qualsiasi altro documento considerato idoneo dall’amministrazione aggiudicatrice».
La normativa italiana

7 La legge quadro n. 109 in materia di lavori pubblici dell’11 febbraio 1994 (Supplemento ordinario alla GURI n. 41, del 19 febbraio 1994; in prosieguo: la «legge n. 109/1994»), come risulta dall’ordinanza di rinvio, all’articolo 10, rubricato «Soggetti ammessi alle gare», prevedeva quanto segue:
«1. Sono ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici i seguenti soggetti, salvo i limiti espressamente indicati:

a) gli imprenditori individuali, anche artigiani, le società commerciali, le società cooperative;
(…)».

8  Ai sensi dell’articolo 2082 del codice civile, intitolato «Imprenditore»:
«È imprenditore chi esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi».

9 L’articolo 2135 dello stesso codice, nel testo risultante dall’articolo 1 del decreto legislativo n. 228 del 18 maggio 2001, così dispone sotto la rubrica «Imprenditore agricolo»:
«È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività
connesse.
(…)».

10 L’articolo 2195 del codice civile, rubricato «Imprenditori soggetti a registrazione», fornisce l’indicazione delle categorie di imprenditori che si considerano esercitare attività commerciali. Esso è del seguente tenore:
«Sono soggetti all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese gli imprenditori che esercitano:

1) un’attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi;
2) un’attività intermediaria nella circolazione dei beni;
3) un’attività di trasporto per terra, per acqua o per aria;
4) un’attività bancaria o assicurativa;
5) altre attività ausiliarie delle precedenti.

Le disposizioni della legge che fanno riferimento alle attività e alle imprese commerciali si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate in questo articolo e alle imprese che le esercitano».

11 L’articolo 2249 del codice civile, rubricato «Tipi di società», dispone quanto segue:
«Le società che hanno per oggetto l’esercizio di un’attività commerciale devono costituirsi secondo uno dei tipi regolati nei capi III e seguenti di questo titolo.
Le società che hanno per oggetto l’esercizio di un’attività diversa sono regolate dalle disposizioni sulla società semplice, a meno che i soci abbiano voluto costituire la società secondo uno degli altri tipi regolati nei capi III e seguenti di questo titolo.
Sono salve le disposizioni riguardanti le società cooperative e quelle delle leggi speciali che per l’esercizio di particolari categorie d’imprese prescrivono la costituzione della società secondo un determinato tipo».

12 Gli articoli 2251 2290 del codice civile disciplinano la società semplice. Secondo una consolidata interpretazione di diritto interno, la società semplice può essere costituita soltanto per l’esercizio di attività non commerciali – ossia per attività diverse da quelle menzionate dall’articolo 2195 del codice civile –, nel cui ambito viene tradizionalmente ricondotto l’esercizio delle attività agricole. Quindi, nella prassi nazionale, la forma della società semplice è solitamente riferita, anche se in modo non esclusivo, alla figura dell’imprenditore agricolo di cui all’articolo 2135 di detto codice.

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

13 La Savoldi è un «imprenditore agricolo» ai sensi dell’articolo 2135 del codice civile, costituito nella forma della società semplice ai sensi degli articoli 2251 e seguenti dello stesso codice.

14 Durante il periodo in cui l’ordinamento italiano prevedeva, ai fini della partecipazione alle gare per appalti pubblici di lavori, l’iscrizione all’albo nazionale dei costruttori, in applicazione della legge n. 57 del 10 febbraio 1962, la Savoldi aveva ottenuto l’iscrizione a tale albo nella categoria S1, avente ad oggetto opere di «movimento terra, demolizioni, sterri, sistemazione agraria e forestale, verde pubblico e relativo arredo urbano».

15 A seguito della soppressione, il 1° gennaio 2000, del sistema basato sull’albo, è stato istituito un sistema diffuso di qualificazione delle imprese che intendono partecipare alle pubbliche gare d’appalto. La gestione di tale sistema è stata affidata a società private, le società organismi di attestazione (in prosieguo: le «SOA»), che, fra l’altro, verificano ex ante la sussistenza in capo a ciascun operatore dei requisiti per la partecipazione alle pubbliche gare d’appalto. Le SOA sono sorvegliate dall’Autorità.

16 Con comunicazione n. 42/04, del 24 novembre 2004, l’Autorità ha vietato alle SOA di rilasciare l’attestazione per la partecipazione alle pubbliche gare d’appalto in favore delle società semplici.

17 Con atto del 3 agosto 2005, l’Autorità ha chiesto alla SOA CQOP Costruttori Qualificati Opere Pubbliche SpA le ragioni per cui aveva ritenuto di poter rilasciare alla Savoldi un’attestazione, nonostante il contenuto della comunicazione n. 42/04, che vieta in maniera generale la concessione di una siffatta attestazione a società costituite in tale forma.

18 Con decisione el 9 settembre 2005, la SOA CQOP Costruttori Qualificati Opere Pubbliche SpA ha revocato l’attestazione rilasciata alla Savoldi, che, di conseguenza, ha proposto un ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio.

19 Quest’ultimo, con sentenza n. 1206/06, ha respinto tale ricorso, ritenendo che l’articolo 10 della legge n. 109/1994 consenta la partecipazione alle pubbliche gare d’appalto solamente alle società commerciali e non anche alle società semplici, le quali non svolgono in via ordinaria e prevalente attività commerciale. Infatti, queste ultime non possono essere considerate «imprese», in quanto non esercitano, in generale, le attività commerciali previste all’articolo 2195 del codice civile.

20 La Savoldi ha proposto appello avverso detta sentenza dinanzi al Consiglio di Stato, facendo valere argomenti vertenti sulla violazione del diritto interno e del diritto dell’Unione.

21 Dopo aver respinto gli argomenti relativi al diritto interno, il Consiglio di Stato ritiene che l’esito della controversia ad esso sottoposta dipenda dall’interpretazione che occorre fornire all’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 93/37.

22 A tale riguardo, esso ritiene che il diritto dell’Unione osti, in linea di principio, a una disposizione quale l’articolo 10 della legge n. 109/1994, che vieta a una persona giuridica avente natura di «imprenditore» ai sensi del diritto dell’Unione di partecipare alle gare d’appalto.

23 Per contro, il Consiglio di Stato si chiede, facendo riferimento alla sentenza del 16 dicembre 2008, Michaniki (C 213/07, Racc. pag. I 9999), se l’esclusione discussa nella fattispecie non possa considerarsi conforme al diritto dell’Unione alla luce della giurisprudenza della Corte che riconosce agli Stati membri un certo margine discrezionale nell’adozione delle misure destinate a garantire il rispetto dei principi della parità di trattamento e di trasparenza.

24 A tale riguardo, il Consiglio di Stato ricorda che, secondo la giurisprudenza nazionale, il divieto per le società semplici di partecipare alle pubbliche gare d’appalto è considerato ragionevole e non discriminatorio, in quanto giustificato dalla natura e dalla particolare disciplina di tali società.

25 Infatti, secondo tale giudice, la normativa nazionale non prescrive, anzitutto, per la società semplice, il possesso di un capitale o di un patrimonio minimo. Inoltre, nei confronti dei creditori di una simile società, risponderebbero dei debiti solamente, da un lato, il patrimonio della società – il quale può, tuttavia, essere di ammontare ridottissimo e del tutto insufficiente a soddisfare le pretese dei creditori – e, dall’altro, salvo patto contrario, i soci che hanno agito in nome e per conto della società. Infine, la normativa fallimentare italiana escluderebbe in linea di principio la società semplice dal fallimento, in quanto essa non esercita attività commerciale.

26 Il Consiglio di Stato si chiede altresì, richiamandosi alla sentenza del 23 dicembre 2009, CoNISMa (C 305/08, Racc. pag. I 12129), se il legislatore nazionale possa limitare la capacità giuridica di determinati operatori – come quelli costituiti nella forma di una società semplice, che dovrebbero essere considerati «imprenditori» ai sensi della direttiva 93/37 –, non consentendo loro di partecipare a gare d’appalto riguardanti diverse prestazioni, in ragione del fatto che tali prestazioni sarebbero incompatibili con i fini istituzionali e statutari di tali operatori.

27 In tali circostanze, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’ordinamento comunitario e, segnatamente, l’articolo 6 della direttiva 93/37 (…) osti in via di principio a una previsione normativa nazionale [quale l’art. 10, comma 1, lettera a), della legge [n. 109/1994] (…)], il quale limita alle sole società che esercitano attività commerciali la possibilità di partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici, in tal modo escludendo taluni imprenditori (quali le società semplici) che non esercitano in via ordinaria e prevalente siffatta tipologia di attività; ovvero se il divieto in questione risulti ragionevole e non discriminatorio alla luce della particolare disciplina e del peculiare regime patrimoniale delle società semplici.

2) [In caso di risposta negativa alla prima questione: s]e l’ordinamento comunitario e, segnatamente, l’articolo 6 della direttiva 93/37 (…) nonché il principio della libertà della forma giuridica dei soggetti ammessi a partecipare alle gare consenta al legislatore nazionale di limitare la capacità giuridica di un imprenditore (…), in considerazione delle peculiarità che caratterizzano la disciplina nazionale di tale imprenditore, precludendo allo stesso di partecipare alle gare pubbliche di appalto, ovvero se una tale limitazione risulti violativa dei principi di ragionevolezza e non discriminazione».

Sulle questioni pregiudiziali

28 Ai sensi dell’articolo 104, paragrafo 3, primo comma, del suo regolamento di procedura, qualora la risposta ad una questione pregiudiziale possa essere chiaramente desunta dalla giurisprudenza, la Corte, dopo aver sentito l’avvocato generale, può statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata.

29 Con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto dell’Unione, e segnatamente l’articolo 6 della direttiva 93/37, osti ad una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che vieta a una società semplice, qualificabile come «imprenditore» ai sensi della direttiva 93/37, di partecipare alle gare d’appalto esclusivamente a causa della sua forma giuridica.

30 A tale riguardo, il giudice del rinvio si interroga, più precisamente, sulla possibilità di giustificare una siffatta esclusione generale dalla partecipazione alle gare d’appalto alla luce dei principi di parità di trattamento e di trasparenza, o sulla base della circostanza che la partecipazione alle gare d’appalto dovrebbe considerarsi incompatibile con i fini istituzionali e statutari di una società semplice.

31 Per fornire una risposta a tali interrogativi, occorre rammentare che la Corte ha dichiarato che uno degli obiettivi della normativa dell’Unione in materia di appalti pubblici è costituito dall’apertura alla concorrenza nella misura più ampia possibile e che è nell’interesse del diritto dell’Unione che venga garantita la partecipazione più ampia possibile di offerenti ad una gara d’appalto. È d’uopo aggiungere, in proposito, che tale apertura alla concorrenza più ampia possibile è prevista non soltanto con riguardo all’interesse dell’Unione alla libera circolazione dei prodotti e dei servizi, bensì anche nell’interesse stesso dell’amministrazione aggiudicatrice considerata, la quale disporrà così di un’ampia scelta circa l’offerta più vantaggiosa e più rispondente ai bisogni della collettività pubblica interessata (sentenza CoNISMa, cit., punto 37 e la giurisprudenza ivi citata).

32 Analogamente, la Corte ha dichiarato che la normativa dell’Unione osta a qualsiasi normativa nazionale che escluda dall’aggiudicazione di appalti pubblici di servizi, il cui valore superi la soglia di applicazione delle direttive, candidati od offerenti autorizzati, in base alla normativa dello Stato membro nel quale sono stabiliti, ad erogare il servizio in questione per il solo motivo che tali candidati od offerenti non hanno la forma giuridica corrispondente ad una determinata categoria di persone giuridiche (sentenza CoNISMa, cit., punto 39 e la giurisprudenza ivi citata).

33 Infine, in base alla giurisprudenza della Corte, la normativa dell’Unione non richiede che il soggetto che stipula un contratto con un’amministrazione aggiudicatrice sia in grado di realizzare direttamente con mezzi propri la prestazione pattuita perché il medesimo possa essere qualificato come imprenditore, ossia come operatore economico. È sufficiente che tale soggetto abbia la possibilità di fare eseguire la prestazione di cui trattasi, fornendo le garanzie necessarie a tal fine (sentenza CoNISMa, cit., punto 41 e la giurisprudenza ivi citata).

34 Di conseguenza, sia dalla normativa dell’Unione sia dalla giurisprudenza della Corte risulta che è ammesso a presentare un’offerta o a candidarsi qualsiasi soggetto o ente che, considerati i requisiti indicati in un bando di gara, si reputi idoneo a garantire l’esecuzione di detto appalto, in modo diretto oppure facendo ricorso al subappalto, indipendentemente dal suo status nonché dal fatto di essere attivo sul mercato in modo sistematico oppure soltanto occasionale. L’effettiva capacità di detto ente di soddisfare i requisiti posti dal bando di gara è valutata durante una fase ulteriore della procedura (v. sentenza CoNISMa, cit., punto 42 e la giurisprudenza ivi citata).

35 Dalle suesposte considerazioni risulta che non si può vietare, per principio, a un «imprenditore» ai sensi della direttiva 93/37 di partecipare a gare d’appalto esclusivamente a causa della sua forma giuridica.

36 Orbene, il giudice del rinvio si chiede se dalle citate sentenze Michaniki e CoNISMa emerga che, in deroga al principio secondo cui non può essere imposta alcuna forma giuridica determinata, l’esclusione delle società semplici dalla partecipazione alle gare d’appalto sia ammissibile. A tale proposito il giudice del rinvio si interroga, da un lato, sulla portata dei principi di parità di trattamento e di trasparenza e, dall’altro, sull’importanza dei fini istituzionali e statutari delle società semplici per determinare la loro capacità a partecipare alle gare d’appalto.

37 Quanto ai principi di parità di trattamento e di trasparenza, secondo costante giurisprudenza, l’elenco tassativo di cui all’articolo 24, primo comma, della direttiva 93/37 delle cause di esclusione di un imprenditore dalla partecipazione ad un appalto fondate su elementi oggettivi, concernenti le qualità professionali di tale soggetto, non esclude la facoltà degli Stati membri di mantenere o di adottare norme materiali dirette, in particolare, a garantire, in materia di appalti pubblici, il rispetto del principio di parità di trattamento, nonché del principio di trasparenza che quest’ultimo implica, i quali s’impongono alle amministrazioni aggiudicatrici in tutte le procedure di aggiudicazione di un siffatto appalto (sentenza Michaniki, cit., punto 44 e la giurisprudenza ivi citata).

38 Detti principi, che implicano, in particolare, che gli offerenti debbano trovarsi su un piano di parità sia al momento in cui preparano le loro offerte sia al momento in cui queste ultime sono valutate dall’amministrazione aggiudicatrice, costituiscono, infatti, la base delle direttive relative ai procedimenti di aggiudicazione degli appalti pubblici, e l’obbligo delle amministrazioni aggiudicatrici di assicurarne il rispetto corrisponde all’essenza stessa di tali direttive (sentenza Michaniki, cit., punto 45 e la giurisprudenza ivi citata).

39 L’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 93/37 precisa del resto che le amministrazioni aggiudicatrici provvedono affinché non vi siano discriminazioni tra i vari imprenditori (sentenza Michaniki, cit., punto 46).

40 Ne consegue che uno Stato membro ha il diritto di prevedere, in aggiunta alle cause di esclusione fondate su considerazioni oggettive di qualità professionale, tassativamente elencate all’articolo 24, primo comma, della direttiva 93/37, misure di esclusione destinate a garantire il rispetto dei principi di parità di trattamento di tutti gli offerenti, nonché di trasparenza, nel contesto delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici (sentenza Michaniki, cit., punto 47).

41 In tale contesto, quindi, occorre riconoscere a ciascuno Stato membro un certo margine di discrezionalità ai fini dell’adozione di provvedimenti destinati a garantire i principi di parità di trattamento degli offerenti e di trasparenza (sentenza Michaniki, cit., punto 55).

42 Infatti, ogni Stato membro è nella osizione migliore per individuare, alla luce di considerazioni di ordine storico, giuridico, economico o sociale che gli sono proprie, le situazioni favorevoli alla comparsa di comportamenti idonei a provocare violazioni del rispetto di tali principi (v. sentenza Michaniki, cit., punto 56).

43 Tuttavia, gli obiettivi perseguiti nel caso di specie dalla normativa italiana non possono giustificare, a titolo dei principi di parità di trattamento e di trasparenza, l’esclusione, per principio, delle società semplici dalla partecipazione alle gare d’appalto.

44 Infatti, nessun elemento del fascicolo consente di concludere che determinate caratteristiche delle società di cui al procedimento principale possano essere idonee a ledere, nel corso della procedura di aggiudicazione degli appalti pubblici, i principi di trasparenza e di parità di trattamento.

45 A tale riguardo occorre sottolineare che dalla decisione di rinvio emerge che le società semplici si caratterizzano, rispetto alle società commerciali, per l’assenza di un capitale minimo, per la responsabilità, in linea di principio, limitata ai soci che hanno agito in nome e per conto della società nonché per l’esclusione dalle procedure fallimentari. Orbene, non può ritenersi che, a causa di tali caratteristiche, la partecipazione delle società semplici alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici possa essere idonea a ledere i principi di trasparenza e di non discriminazione.

46 Quanto alla questione della possibilità di ammettere una deroga al principio secondo cui non può essere imposta alcuna forma giuridica determinata per la partecipazione alle gare d’appalto, a causa di un’eventuale incompatibilità derivante dai limiti inerenti agli obiettivi istituzionali e statutari di società quali le società semplici, occorre richiamare la giurisprudenza pertinente della Corte.

47 Secondo tale giurisprudenza, è pur vero che gli Stati membri possono disciplinare le attività di soggetti, quali le università e gli istituti di ricerca, non aventi finalità di lucro, ma volte principalmente alla didattica e alla ricerca. In particolare, essi possono autorizzare o non autorizzare tali soggetti ad operare sul mercato in funzione della circostanza che l’attività in questione sia compatibile, o meno, con i loro fini istituzionali e statutari (sentenza CoNISMa, cit., punto 48).

48 Tuttavia, occorre sottolineare che l’attività degli imprenditori agricoli costituiti nella forma della società semplice consiste, conformemente all’articolo 2135 del codice civile, nella «coltivazione del fondo, [nella] selvicoltura, [nell’]allevamento di animali e [nelle] attività connesse». Inoltre, secondo le osservazioni scritte del governo italiano, le società semplici possono altresì svolgere attività «commerciale», purché essa sia accessoria e complementare all’attività principale, come emerge dal citato articolo 2135.

49 Tali società, quindi, perseguono incontestabilmente una finalità di lucro, ragion per cui non possono essere assimilate ad enti quali le università e gli istituti di ricerca, oggetto della citata sentenza CoNISMa, per i quali la Corte ha riconosciuto la facoltà degli Stati membri di autorizzarli o meno ad operare sul mercato.

50 In tali circostanze, la giurisprudenza derivante dalla citata sentenza CoNISMa non può consentire di derogare, per società quali le società semplici, al principio secondo cui non può essere imposta alcuna forma giuridica determinata ai fini della partecipazione alle gare d’appalto.

51 Alla luce dell’insieme delle suesposte considerazioni, occorre rispondere ai quesiti posti che il diritto dell’Unione, e segnatamente l’articolo 6 della direttiva 93/37, osta ad una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che vieta a una società quale una società semplice, qualificabile come «imprenditore» ai sensi della direttiva 93/37, di partecipare alle gare d’appalto esclusivamente a causa della sua forma giuridica.

Sulle spese

52 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Settima Sezione)

dichiara:

Il diritto dell’Unione, e segnatamente l’articolo 6 della direttiva 93/37/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, come modificata dalla direttiva 2001/78/CE della Commissione, del 13 settembre 2001, osta ad una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che vieta a una società quale una società semplice, qualificabile come «imprenditore» ai sensi della direttiva 93/37, di partecipare alle gare d’appalto esclusivamente a causa della sua forma giuridica.

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