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01.02.2012 - lavori pubblici

RITARDO NEI PAGAMENTI DI LAVORI PUBBLICI: INDEROGABILITA’ DEI TEMPI E RICONOSCIMENTO DEGLI INTERESSI PREVISTI DAL D.LGS. N. 231/2002

In relazione ai ritardati pagamenti delle pubbliche amministrazioni per appalti pubblici e al calcolo degli interessi per ritardato pagamento, i pronunciamenti qui riportati (fra i molti di univoco indirizzo) fissano due principi fondamentali:

1) non hanno alcuna validità le clausole predisposte dalla stazione appaltante in deroga ai tempi di pagamento previsti dal D.Lgs, 231 del 2002 (“Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”). Principio che rimane immutato anche laddove a corredo dell’offerta sia stata richiesta una dichiarazione contenente la previsione di termini differenti.
2) gli interessi per ritardato pagamento scattano oltre il termine di pagamento fissato dal citato D.Lgs. 231 del 2002 e sono da conteggiarsi secondo la metodologia fissata dal medesimo Decreto. Si può pertanto ritenere che il meccanismo di conteggio per appalti pubblici in vigore dal 1962, previsto nel Capitolato Generale dapprima approvato con il  DPR. 1063/1972 e poi con il D.M. 145/2000, sia superato.
3) i tempi di pagamento fissati dal D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 (in Gazz. Uff., 23 ottobre, n. 249) coincidono con quelli previsti dalla norma per appalti pubblici (art. 143 del DPR 207/2010 e precedentemente DM 145/2000 art. 29):

– dalla data in cui è stato raggiunto l’importo di lavori per il quale il capitolato prevede l’emissione dello stato di avanzamento (perciò di norma la data di “lavori a tutto il  . . . .”): 30 giorni è il tempo a disposizione dell’amministrazione per disporre il pagamento, in mancanza del quale iniziano a decorrere gli interessi.

Decorso inutilmente il termine per il pagamento, nasce automaticamente, e cioè senza necessità di previa costituzione in mora del debitore il diritto del creditore alla corresponsione degli interessi moratori (art.3), il cui saggio è determinato in misura pari al tasso stabilito periodicamente dalla Banca Centrale Europea per la più recente operazione di rifinanziamento principale, comunicato tempestivamente dal Ministero dell’Economia (art.5), maggiorato di sette punti percentuali (dal 1/7/2009 pari al 1% +7% = 8%)

Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici – Parere 06/10/2011 , n. 170

. . .omissis . .

Per altro verso, però, la direttiva n. 2000/35/CE, recepita in Italia con il D.Lgs. n. 231/2002, contiene norme imperative applicabili anche alle pubbliche amministrazioni, che non sono derogabili mediante la presentazione, nell’ambito di una gara di appalto, di una offerta che tacitamente accetti dichiarazioni difformi imposte dalla stazione appaltante. Pertanto, “devono ritenersi inique le clausole di un bando di gara che prevedono: il pagamento del corrispettivo a 60 giorni dal ricevimento della fattura, anziché ai 30 giorni, previsti dall’art. 4 del D.Lgs. n. 231/2002; la decorrenza degli interessi moratori dal 180° giorno, anziché dal 30° giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento, previsto dall’articolo 4; il saggio di interesse dell’1% anziché dell’8% (1% tasso BCE, più 7 punti di maggiorazione) previsto dall’art. 5” (cfr. sul punto, Consiglio Stato, sez. V, 1/4/2010, n. 1885; id., sez. IV, 2.2.2010, n. 469; T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 26/06/2009, n. 6277).

Consiglio Stato sez. IV,  02 febbraio 2010, n. 469

Con riguardo al merito della questione, si segnala Cons. Stato, Sez. V, 30 agosto 2005, n. 3892; TAR Piemonte, Torino, Sez. I, 4 dicembre 2009, n. 3260, secondo cui la normativa comunitaria di cui alla direttiva 2000/35/CE si applica anche agli appalti pubblici con la conseguente declaratoria di invalidità delle norme di capitolato che prevedono il pagamento della fatture oltre i 30 giorni e un saggio di interessi inferiore a quello prescritto dall’art. 5 del d.lgs. n. 231/2002, che ha recepito detta direttiva.
Ha poi precisato la sentenza in rassegna che la P.A., infatti, non ha il potere di stabilire unilateralmente le conseguenze del proprio inadempimento contrattuale (come gli interessi moratori o le conseguenze del ritardato pagamento), né può subordinare la possibilità di partecipare alle gare alla accettazione di clausole aventi simili contenuti, se non a costo di ricadere sotto le sanzioni di invalidità, per iniquità, vessatorietà e mancanza di specifica approvazione a seguito di trattative). Aggiunge la sentenza, con riferimento al contenuto delle statuizioni sintetizzate nella seconda massima, che tali clausole si pongono in modo indubbio nel senso di introdurre un ingiustificato vantaggio per l’Amministrazione predisponente, concretandosi nella aperta violazione della disciplina di riequilibrio delle diverse posizioni di forza, la cui tutela la direttiva comunitaria è proprio diretta a rafforzare.

Consiglio di Stato, Sezione Quarta, N. 00469/2010

. . . . omissis . . . . .

4.Non è accoglibile la censura, consistente nel sostenere una pretesa inapplicabilità della direttiva in questione, sulla celerità dei pagamenti nelle transazioni commerciali, alla pubblica amministrazione.
Anzi, vale il richiamo specifico dell’articolo 2 del D.Lgs., che definisce la nozione di pubblica amministrazione, ritenendo anche essa imprenditore forte ai sensi e per i fini del medesimo decreto.
Inoltre, proprio la presenza di alcune clausole contrattuali contrastanti con le previsioni imperative della direttiva e in conflitto con lo spirito del D.Lgs.231 del 2002, che tutela la posizione presuntivamente debole dei creditori fornitori della P.A., dimostra come la fattispecie si attagli alla situazione di “esorbitanza” di poteri, tipica del soggetto che si pone in modo autoritativo (autorità pubblica o privata che sia).
In effetti tale condotta dell’amministrazione (che può essere contestata dai partecipanti sia nella fase antecedente che in quella del rapporto contrattuale e che nella specie viene contestata in via preventiva ai sensi del citato articolo 8 da associazioni rappresentative di imprese medie e piccole) integra e concreta proprio uno di quei comportamenti abusivi della parte contrattualmente più forte che il legislatore ha inteso contrastare attraverso la introduzione di un “diritto diseguale”, mirante a stabilire un equilibrio giuridico antitetico rispetto al potere reale dei paciscenti (in tal senso, Consiglio di Stato, V, 11 gennaio 2006, n.43).
5.Con riguardo all’altra deduzione del Ministero appellante, il Collegio osserva che non può sostenersi, come pretende l’amministrazione, che tali regole imperative sarebbero derogabili e che sarebbe consentito un diverso accordo, rinvenibile, nella specie, nella presentazione della offerta, che implicherebbe acquiescenza-accettazione alla sostanziale iniquità.
L’amministrazione pubblica, infatti, non ha il potere di stabilire unilateralmente le conseguenze del proprio stesso inadempimento contrattuale (come gli interessi moratori o le conseguenze del ritardato pagamento) né potrebbe subordinare la possibilità di partecipare alle gare alla accettazione di clausole aventi simili contenuti, se non a costo di ricadere sotto le sanzioni di invalidità, per iniquità, vessatorietà, mancanza di specifica approvazione a seguito di trattative, sanzioni sopra descritte (in tal senso, Consiglio Stato, V, 30 agosto 2005, n.3892).
Non può sostenersi la prevalenza di tali clausole rispetto a quanto previsto dal decreto legislativo di recepimento della direttiva comunitaria: a parte il valore di supremazia della disciplina di derivazione comunitaria, oltre che della normativa nazionale imperativa, vale il principio per cui il contratto obbliga le parti non solo alle regole previste dal medesimo, ma anche al rispetto delle regole imperative e a tutto ciò che deriva dalla legge, dagli usi o dalla equità (articoli 1339, 1419, 1418 e 1374 del codice civile).
Le norme imperative hanno pertanto un valore anche sostitutivo (arttt. 1339 e 1419 c.c.) di quanto previsto in violazione di esse.
Conseguentemente: 1) è invalida ogni clausola contrattuale che preveda regole diverse e inique rispetto alle regole imperative, che automaticamente si sostituiscono a quelle invalide; 2) sarebbe illegittima ogni esclusione basata sulla non-accettazione o sull’espresso dissenso, da parte di una partecipante, di una clausola contrattuale iniqua; 3) in sede di esecuzione contrattuale, le clausole invalide si porrebbero nel nulla a richiesta di parte o di ufficio (ai sensi del terzo comma dell’art. 7 il giudice dichiara anche di ufficio la nullità e applica i termini di legge o riconduce ad equità il contenuto dell’accordo medesimo: si tratta di una cosiddetta nullità speciale di derivazione comunitaria); 4) infine, e ciò rileva nel caso di specie, in caso di azione inibitoria intentata da associazioni di categoria a tutela di interessi collettivi le clausole da ritenersi inique sono poste nel nulla e quindi non applicabili, anche se comunque mantiene la sua funzione l’ordine inibitorio, a causa dell’effetto dissuasivo che tali clausole inique, per quanto insuscettibili di produrre effetti, potrebbero avere sulla volontà a partecipare delle imprese medie e piccole.
Lo scopo del particolare strumento di tutela individuato dalla legge è quello di impedire l’inserimento di tali clausole, prima ancora della loro applicazione o invalidazione.
6.Con altro mezzo di appello il Ministero della Difesa sostiene, la non iniquità nei contenuti delle clausole contestate, che invece ai sensi dell’articolo 7, sarebbero motivate giustamente sulla base delle ragioni oggettive dell’amministrazione pubblica e in particolare a causa della lunghezza della procedura di pagamento.
Il motivo svolto dalla Amministrazione è infondato.
Le clausole contestate e ritenute nulle perché inique dal primo giudice riguardano: il pagamento del corrispettivo a 60 giorni dal ricevimento della fattura, anziché ai 30 giorni, previsti dall’art. 4 del D.Lgs.231 del 2002; la decorrenza degli interessi moratori dal 180° giorno anziché dal 30° giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento, previsto dall’articolo 4; il saggio di interesse dell’1% anziché dell’8% (1% tasso BCE, più 7 punti di maggiorazione) previsto dall’art. 5.
Le clausole suddette si pongono in diretta violazione degli articolo 4 e 5 del D.Lgs.231 del 2002, la cui deroga non è ammessa dalla legge né nella presentazione della offerta può rinvenirsi il diverso accordo contrattato dalle parti solo a seguito di apposita contrattazione e trattativa sul punto, che evoca un concetto di contatto di tipo pararapportuale (o precontrattuale) che non può rinvenirsi certo nel binomio “bando- presentazione dell’offerta”, che già integra (quantomeno in parte) la conclusione del contratto.
Inoltre, tali clausole si pongono in modo indubbio nel senso di introdurre un ingiustificato vantaggio per la amministrazione predisponente, concretandosi nella aperta violazione della disciplina di riequilibrio delle diverse posizioni di forza, la cui tutela la direttiva comunitaria è proprio diretta a rafforzare.

 Consiglio di Stato, Sezione Quinta,n. 01885/2010

Ritenuto di poter definire il giudizio con sentenza succintamente motivata come da avviso dato alle parti all’odierna camera di consiglio;
Rilevato che con l’impugnata sentenza il Tar ha accolto il ricorso proposto da alcune associazioni di categoria avverso un bando di gara indetto da una azienda sanitaria, ritenendo inique e illegittime – perché in contrasto con il d. lgs. n. 231/2002 – le clausole aventi ad oggetto un termine dilatorio per i pagamenti e una misura degli interessi moratori difformi e peggiorative rispetto alle previsioni degli artt. 4 e 5 del citato d. lgs. n. 231/02;
Ritenuto che il ricorso in appello proposto dall’azienda ospedaliera con riguardo alla legittimazione al ricorso e alla erroneità della tesi accolta dal Tar è privo di fondamento, in quanto:

a) la censura attinente la presunta assenza di legittimazione al ricorso, peraltro riferita solo a una delle associazioni appellate, non è condivisibile, tenuto conto che non sussiste alcuna situazione di conflitto tra l’associazione e i propri associati per il mero fatto che l’azione tende a migliorare le clausole contrattuali e, quindi, ad ottenere un potenziale beneficio per tutti gli associati, a prescindere dalla eventuale partecipazioni di questi a questa o analoghe procedure di gara;
b) nel merito, non si ritiene di doversi discostare dai precedenti di questo Consiglio di Stato, con cui è stato ritenuto che la direttiva n. 2000/35/CE (556), recepita in Italia con il d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, sulla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, contiene norme imperative, applicabili anche alle p.a., che non sono derogabili mediante la tacita accettazione delle condizioni difformi con la presentazione di una offerta in una gara pubblica di appalto, con conseguente iniquità delle clausole di un bando di gara che prevedono: 1) il pagamento del corrispettivo a 60 giorni dal ricevimento della fattura, anziché ai 30 giorni, previsti dall’art. 4 del d.lgs. n. 231/2002; 2) la decorrenza degli interessi moratori dal 180° giorno anziché dal 30° giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento, previsto dall’articolo 4; 3) il saggio di interesse dell’1% anziché dell’8% (1% tasso BCE, più 7 punti di maggiorazione) previsto dall’art. 5 (Consiglio Stato , sez. IV, 2 febbraio 2010 , n. 469);
c) nella sostanza, non possono le stazioni appaltanti inserire autoritativamente nei bandi di gara clausole che prevedono il pagamento entro un termine superiore a quello fissato dall’art. 4, del d.lgs. 9 ottobre 2002 n. 231 o una misura degli interessi difforme da quella ex art. 5 dello stesso decreto, al quale è possibile derogare non per atto unilaterale ed autoritativo della stazione appaltante, ma a seguito di accordo o comunque libera accettazione delle parti interessate (Consiglio Stato, sez. V, 28 settembre 2007 , n. 4996);
Ritenuto, pertanto, di dover respingere il ricorso in appello, con compensazione delle spese di giudizio in considerazione della parziale novità della questione;

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.
Compensa tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.


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