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21.09.2017 - tecnica

È OPPORTUNO CHE IL PREVENTIVO SIA ACCOMPAGNATO DA UN CONTRATTO DI APPALTO

(Cassazione, II sezione civile, sentenza n. 14006 del 6 giugno 2017)
Il contratto di appalto è, in linea di principio, un contratto a forma libera non essendo soggetto ad alcun vincolo di forma. Questo principio oltre a trovare conferma nel codice civile è stato avvalorato dalla giurisprudenza:
“La stipulazione del contratto di appalto non richiede quale requisito la forma scritta”. (Cassazione civile, sez. II, 06/06/2003, n. 9077)
“In tema di contratto di appalto, non essendo richiesta la forma scritta ex lege, ove questa non sia stata convenuta dai contraenti o da uno di essi richiesta, deve trovare normale applicazione il principio di libertà di forma nella manifestazione della volontà negoziale, dal quale discende che il valutare se l’accordo sia stato o meno raggiunto per consenso manifestato in forma orale o anche tacitamente, per facta concludentia (ad. es. mediante l’inizio dell’esecuzione della prestazione).” (Tribunale Bari, sez. IV, 22/06/2015, n. 2815).
“Il contratto d’appalto non è soggetto a rigore di forme e, pertanto, per la sua stipulazione non è richiesta la forma scritta, né ad substantiam, né ad probationem, potendo dunque essere concluso anche per facta concludentia.” (Cassazione civile, sez. I, 26/10/2009, n. 22616)
Non essendoci requisiti di forma anche l’esecuzione di lavori edili privati (di qualsiasi tipo) può essere affidata, quindi senza la sottoscrizione di un contratto scritto oppure, come spesso accade, utilizzando e accettando semplicemente il preventivo dei lavori. Se ciò, come visto, è in linea teorica ritenuto giuridicamente ammissibile è, tuttavia, vero che la probabilità di un contenzioso tra le parti è potenzialmente più elevata. Questo deriva sia dalle naturali vicissitudini che possono interessare il rapporto contrattuale, anche per il sopraggiungere di eventi inattesi o comunque non regolati dall’inizio (eventi atmosferici eccezionali, varianti in corso d’opera, lavori extra contrattuali, ritardi ecc.), sia perché, anche in conseguenza di alcune norme civilistiche ovvero di altre discipline di settore (tra cui quella in materia di obblighi sulla sicurezza dei lavoratori), potrebbe essere necessario rispettare determinati requisiti di forma e contenuto. Basti solo pensare alla necessità di dover accertare il regime delle responsabilità delle diverse figure professionali che prendono parte all’appalto così come dello stesso committente.
Fatto questo breve inquadramento si richiama quanto affermato dalla Corte di Cassazione, II sezione civile, nella sentenza n. 14006 del 6 giugno 2017 proprio in ordine ad una questione relativa alla necessità di accertare se un semplice “preventivo” di spesa, recante anche la firma del destinatario ma senza alcuna indicazione su: data inizio lavori, modalità di esecuzione lavori, mancata indicazione dei termini di pagamento, potesse configurarsi come contratto di appalto dando con ciò diritto all’impresa ricorrente al risarcimento danni per recesso unilaterale dal contratto (da parte del presunto committente) ai sensi dell’articolo 1671 c.c..
Al di là del nome letterale dato ad un “documento”, ai fini del suo inquadramento in una delle figure contrattuali tipiche, occorre accertare la volontà negoziale delle parti. Ciò, oltre ad essere una precisa regola di diritto ai sensi dell’art. 1362 c.c., ha evidenziato la Corte rigettando il ricorso, è stato il percorso logico giuridico correttamente seguito dal Giudice di pace e dal Tribunale. In tal caso l’analisi condotta dai giudici ha rilevato non solo la mancanza di una descrizione analitica di tempi e modalità dell’esecuzione dell’opera e di pagamento del corrispettivo ma altresì di espressioni idonee ad evidenziare, in modo univoco, il sorgere del rapporto contrattuale, ritenendo al riguardo irrilevante la mera sottoscrizione del preventivo da parte del committente non accompagnata da alcuna espressione da cui potesse desumersi l’assunzione di una vera e propria obbligazione.
Il caso affrontato nella sentenza della Corte porta a suggerire l’utilizzo in forma scritta del contratto per l’affidamento di lavori edili specie laddove questi hanno una certa consistenza non solo in termini economici ma anche per la durata del cantiere, la necessità di ricorrere al subappalto per alcune lavorazioni, l’opportunità di regolare gli stati di avanzamento e i termini di pagamento ecc.

Svolgimento del processo
P.M., in qualità di titolare della ditta Edil P. di P.M., convenne innanzi al Giudice di Pace di Trinitapoli M.A., esponendo che in data 16.08.2008 le parti avevano concluso un contratto di appalto, avente ad oggetto la realizzazione di opere di manutenzione ordinaria e straordinaria dell’alloggio di proprietà del M. sito in (OMISSIS), a fronte di un corrispettivo di Euro 10.200,00 (oltre iva). Il committente aveva peraltro esercitato recesso unilaterale dal contratto rifiutando la corresponsione di qualsivoglia cifra.
Tanto premesso, chiedeva la condanna del convenuto al pagamento di 1.122,00 Euro, equitativamente determinata ex art. 1671 c.c., in ragione del 10% dell’ammontare del corrispettivo dell’appalto.
Si costituiva in giudizio M.A., il quale deduceva che la scrittura in oggetto, compilata da parte attrice, doveva qualificarsi come semplice “preventivo” e non anche come contratto.
Con la sentenza n. 859/2009 del 5.12.2009 il Giudice di Pace di Trinitapoli dichiarava che tra le parti non era intervenuto alcun contratto di appalto avente ad oggetto l’esecuzione di lavori di manutenzione di un appartamento e, per l’effetto, rigettava la domanda dell’attore, condannandolo al pagamento delle spese processuali.
Il Tribunale di Foggia, con la sentenza n. 166/13 dell’8.8.2013, ha rigettato l’appello proposto dal P., confermando la natura di mero preventivo di spesa della scrittura in oggetto, ed escludendo, conseguentemente, che da essa derivasse alcuna obbligazione a carico delle parti.
Il Tribunale dava rilievo anzitutto alla stessa intestazione del documento, espressamente qualificato dalle parti come mero “preventivo di spesa”.
Rilevava inoltre che in esso non risultavano indicati la data di inizio e la durata dei lavori, né gli elementi necessari ad identificare il sinallagma contrattuale, né versati acconti, dovendo ritenersi irrilevante la mera sottoscrizione del committente, che non recava la dicitura “per accettazione”, o altra equivalente, idonea ad attestare l’intenzione di accettare una proposta contrattuale, assumendo le relative obbligazioni.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso P.M., sulla base di nove motivi.
M.A. non ha svolto difese.

Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 116 c.p.c., (con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3), per aver il giudice d’appello omesso di considerare, nella lettura del preventivo-contratto per lavori edili del 16.8.2008, che nelle penultime parole era indicata l’espressione “Il Committente” e che la firma del M. era posizionata esattamente sotto le parole “il Committente”, in tal guisa manifestando l’accettazione del preventivo.
Con il secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione dell’art. 116 c.p.c., e art. 1363 c.c. (con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3), per aver il tribunale omesso di interpretare complessivamente le clausole contrattuali, escludendo, per l’effetto, che la sottoscrizione apposta dal M. esattamente sotto la dizione “Il Committente” (da intendersi per “appellante”) esprimesse la volontà di accettare il preventivo.
Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 116 c.p.c., e artt. 1340 e 2078 c.c. (con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3), per non aver il tribunale considerato che, in base all’uso negoziale avente valore di legge e confermato dall’indirizzo della Corte di cassazione, la firma pura e semplice di un preventivo, da parte del destinatario, esprime accettazione del preventivo stesso, pur in assenza della dizione “per accettazione”.
Con il quarto motivo il ricorrente denunzia la violazione dell’art. 116 c.p.c., e artt. 1326 e 1342 c.c. (con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3), per aver il tribunale negato che la firma del preventivo da parte del destinatario, introducendo la “clausola di accettazione”, abbia provocato la sua trasformazione in contratto d’appalto.
Con il quinto motivo si lamenta la violazione dell’art. 116 c.p.c., art. 1657 c.c., e art. 1665 c.c., u.c., (con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3), per aver il tribunale ritenuto che la mancata indicazione delle modalità di determinazione del corrispettivo e di esecuzione dei lavori precludesse la commutazione del preventivo in contratto d’appalto, nonostante esistano norme suppletive per determinare la misura del corrispettivo (art. 1657 c.c.) ed il momento della sua corresponsione (art. 1665 c.c., u.c.) e senza considerare che, da un lato, il corrispettivo complessivo delle opere era stato determinato nella misura di Euro 10.200,00 oltre IVA e che, dall’altro, le modalità di esecuzione ed il riparto dei compiti tra appaltante ed appaltatore fossero stati specificati.
Con il sesto motivo si denunzia la violazione dell’art. 116 c.p.c., e art. 1183 c.c. (con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3), per aver il tribunale escluso la configurabilità di un contratto di appalto a causa della mancata indicazione della data di inizio dei lavori, nonostante in base alla legislazione edilizia ed all’art. 1183 c.c., tale termine iniziale dovesse individuarsi, comportando detti lavori la modifica della suddivisione interna, “subito dopo l’autorizzazione comunale” (e, in particolare, dopo aver conseguito la concessione edilizia ed il decorso del termine di legge dalla presentazione della D.I.A.).
Con il settimo motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 116 c.p.c., e da artt. 1655 a 1677 c.c. (con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3), per aver il tribunale ritenuto che il preventivo del 16.8.2008 non fosse commutabile in contratto d’appalto per la mancanza di una fase precontrattuale, la quale, invece, esisteva (come era desumibile dalle deduzioni in fatto contenute nei nn. da 1 a 11 della scrittura) e non era, comunque, necessaria.
Con l’ottavo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 116 c.p.c., e da artt. 1655 a 1677 c.c. (avuto particolare riguardo all’art. 1665 c.c., u.c., e art. 1666 c.c.), con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, per aver il tribunale ritenuto che il preventivo del 16.8.2008 non fosse commutabile in contratto d’appalto per l’omessa corresponsione di un acconto e per la mancata indicazione dei termini di pagamento, nonostante nessuna norma del codice civile condizionasse la validità del contratto al versamento di acconti e l’art. 1665 c.c., u.c., e art. 1666 c.c., rimediassero alla mancanza di convenzione sul momento del pagamento.
Con il nono motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 116 c.p.c., e artt. 1326 e 1342 c.c. (con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3), per aver il tribunale ritenuto la inconvertibilità in contratto del preventivo lavori, senza considerare che le firme apposte dai due soggetti del negozio giuridico fossero tipiche del contratto ed incompatibili con il mero preventivo.
I motivi, che, per la loro intima connessione, vanno trattati congiuntamente, sono infondati, in quanto tendono, in sostanza, ad un riesame dell’accertamento di fatto riservato al giudice del merito, che con statuizione fondata su argomentazione logica ed adeguata ed in applicazione dei criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c., ha qualificato il documento per cui è causa quale semplice preventivo dei lavori e non anche come atto avente contenuto negoziale. Si osserva al riguardo che, in tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima – consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti – è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione, in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 c.c. e ss., mentre la seconda – concernente l’inquadramento della comune volontà, come appurata, nello schema legale corrispondente – risolvendosi nell’applicazione di norme giuridiche può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità (Cass. 420/2006).
Del pari costituisce accertamento riservato all’apprezzamento del giudice di merito, che non è sindacabile in sede di legittimità, se non per vizio di motivazione, valutare se l’intesa raggiunta abbia ad oggetto un vero e proprio regolamento definitivo del rapporto ovvero un documento con funzione meramente preparatoria di un futuro negozio. Per tale valutazione, ben può il giudice far ricorso ai criteri interpretativi dettati dall’art. 1362 c.c. e segg., i quali mirano a consentire la ricostruzione della volontà delle parti, operazione che non assume carattere diverso quando sia questione, invece che di stabilirne il contenuto, di verificare anzitutto se le parti abbiano inteso esprimere un assetto d’interessi giuridicamente vincolante, dovendo il giudice accertare, al di là del “nomen iuris” e della lettera dell’atto, la volontà negoziale con riferimento sia al comportamento, anche successivo, comune delle parti, sia alla disciplina complessiva dettata dalle stesse, interpretando le clausole le une per mezzo delle altre (Cass. 2720/2009).
Orbene, nel caso di specie il Tribunale non si è limitato a dare rilievo al nomen iuris di “preventivo” attribuito dalle parti alla scrittura, ma ha evidenziato la mancanza di una descrizione analitica di tempi e modalità dell’esecuzione dell’opera e di pagamento del corrispettivo, nonchè di espressioni idonee ad evidenziare, in modo univoco, il sorgere del reciproco sinallagma contrattuale, ritenendo al riguardo irrilevante la mera sottoscrizione del preventivo da parte del committente, non accompagnata da alcuna espressione da cui potesse desumersi l’assunzione di una vera e propria obbligazione.
Il ricorso va dunque respinto e, considerato che l’intimato, nel presente giudizio, non ha svolto difese, non deve provvedersi sulle spese.
Sussistono i presupposti, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dà atto della sussistenza dei presupposti D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

 


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