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Servizio Tecnico - referente: ing. Angelo Grazioli
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11.12.2023 - urbanistica

Rassegna di giurisprudenza Edilizia e Urbanistica – ANCE Brescia 1 dicembre 2023

ARGOMENTO MASSIME SENTENZA
1)  Permesso di costruire – decadenza La decadenza del permesso di costruire costituisce un effetto che discende dall’inutile decorso del termine di inizio e/o completamento dei lavori autorizzati; condizione indispensabile perché  detto effetto diventi operativo è l’adozione di un provvedimento formale  da parte del competente organo comunale, ancorché meramente dichiarativo e con efficacia retroattiva (“ex tunc”), qualunque sia l’epoca  in cui è stato adottato e quindi anche se intervenuto molto tempo dopo che i termini  in questione siano inutilmente decorsi, e ancorché i suoi effetti retroagiscano  al momento dell’evento estintivo, da adottarsi  previa apposita istruttoria; la ragione che giudica l’obbligo per l’ente locale di adottare un atto che formalmente dichiari  l’intervenuta decadenza  del permesso di costruire, è stata individuata nella necessità di assicurare il contraddittorio con il privato in ordine all’esistenza  dei presupposti di fatto e di diritto che giustifichino la pronuncia stessa. TAR Campania, Salerno, sez. II, 13 novembre 2023, n. 2544
2)  Cambio di destinazione d’uso di un lastrico solare in terrazzo  calpestabile – permesso di costruire E’ legittimo il provvedimento con il quale il comune ha disposto la demolizione e il rispristino dello stato dei luoghi, nel caso di realizzazione di opere consistenti nella trasformazione e/o cambio di destinazione  d’uso di un lastrico solare, ovvero di un tetto di copertura, in terrazzo calpestabile e nella costruzione di un parapetto, motivato con riferimento al fatto che le medesime opere sono state realizzate senza il preventivo rilascio del permesso di costruire. Nel caso in cui si realizzi un cambio di destinazione d’uso trasformando un solaio di copertura, per il quale non è prevista la praticabilità, in terrazzo, è sempre necessario il permesso di costruire, non essendo tale trasformazione realizzabile tramite semplice SCIA né tramite CILA ai sensi dell’art. 6 dPR 380/01. Tar Campania, Salerno, sez. I, 27 novembre 2023, n. 2753
3)      Accertamento di conformità – sanatoria condizionata – inammissibilità L’accertamento di conformità non può essere subordinato  alla realizzazione di ulteriori interventi edilizi che rendano l’abuso conforme  agli strumenti urbanistici.

Questa conformità deve infatti già sussistere precedentemente e non all’esisto di una futura ed ulteriore attività da parte del richiedente. La c.d. “sanatoria condizionata”, caratterizzata dal fatto  che i suoi effetti vengono subordinati all’esecuzione di specifici interventi aventi il requisito della conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia che posseggono, non  è prevista dall’assetto normativo del dPR n. 380/01, in quanto l’art. 36 di riferisce esplicitamente ad interventi già ultimati.

Consiglio di Stato, sez. VI, 15 novembre 2023, n. 9776
4)  Realizzazione veranda con chiusura di un balcone – permesso di costruire Nel caso di realizzazione di una veranda con chiusura, totale o parziale, di un balcone, si determina un nuovo volume, che va a modificare la sagoma d’ingombro dell’edificio, per cui è necessario il previo rilascio del permesso di costruire. Il discorso non cambia nel caso in cui il balcone è incassato nella struttura dell’edificio, non è aggettante (sporgente) dal muro perimetrale  di esso e viene chiuso  nel suo  (dapprima aperto) lato, poiché in tal modo viene trasformato da spazio  aperto in nuovo locale chiuso (pur se arieggiato, come arieggiate sono pure le altre stanze interne) dell’appartamento. In tal caso, infatti, si ha la trasformazione del balcone in una veranda  chiusa (lo stesso sarebbe stato se vi fosse un bow-window, ecc.), in un nuovo locale autonomamente utilizzabile, che viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio e ne cambia l’uso, come se fosse una stanza in più. Tar Lazio, sez. IV ter, 27 novembre 2023, n. 17677
5)  Impianti di telefonia – natura giuridica

 

                         La natura giuridica degli impianti di telefonia, rilevante anche ai fini urbanistici, non è quella  delle opere pubbliche, bensì delle opere private di pubblica utilità; trattasi, infatti, di manufatti realizzati da soggetti privati, destinati alla gestione di un servizio governato da logiche  imprenditoriali e, a differenza delle OO PP, che necessitano di un atto di autorizzazione. Inoltre, benché assimilati alle OO UU primaria, rimangono assoggettati al regime della proprietà privata. Tar Piemonte, Torino, 14 novembre 2023, n. 898

 

6)  Ampliamento di un balcone e congiungimento di sporti preesistenti  – permesso di costruire

 

 

 

La realizzazione di un intervento di ampliamento di un balcone ed il congiungimento di due sporti preesistenti per la realizzazione di un unico  e più ampio balcone costituiscono opere di ristrutturazione edilizia ai sensi degli artt. 3 e 10 del dPR n. 380/01, dal momento che realizzano un’oggettiva  trasformazione della facciata  del palazzo, comportante modifica della sagoma, dei prospetti e delle superfici. Il titolo  edilizio per la realizzazione di tale intervento risulta, quindi, essere il permesso di costruire e la  sanzione per la sua assenza è il ripristino dello stato dei luoghi ai sensi dell’art. 33 dPR n. 380/01. TAR Campania, Napoli, sez. IV,  13 novembre 2023, n. 6238

 

7)  Rimozione cancello su terreno comunale – potere  di autotutela esecutiva dell’amministrazione

 

 

Deve considerarsi illegittima l’ordinanza comunale mediante la quale  si dispone l’immediata rimozione di un cancello installato su un terreno comunale, nel caso in cui si tratti di immobile appartenente al patrimonio disponibile  dell’ente locale. Il potere di autotutela esecutiva, infatti,  non piò essere esercitato dalla pubblica amministrazione per la difesa dei beni rientrati nel patrimonio disponibile, per i quali la stessa dovrà avvalersi delle ordinarie azioni attribuite dall’ordinamento civilistico per la tutela della proprietà e del possesso.

 

TAR Calabria, Catanzaro, sez.  II, 6 novembre 2023, n. 1399

 

8)    Condono edilizio La normativa sul condono postula la permanenza dell’immobile da regolarizzare e non ammette, in pendenza del procedimento, né l’impiego di materiali di costruzione diversi da quelli originari; la diversità del materiale costruttivo impiegato comporta, infatti, la qualificazione dell’intervento come sostituzione edilizia, mancando la continuità tra vecchia e nuova costruzione, che caratterizza gli interventi di consolidamento, e la attuale riconoscibilità  del manufatto originario oggetto dell’istanza di condono; di conseguenza gli unici interventi edilizi consentiti su di esso sono quelli diretti a garantirne l’integrità e la conservazione e non possono spingersi sino alla demolizione e ricostruzione (né totale né parziale), salvo che essi risultino in qualche modo indispensabili. TAR Campania, sez. VI, 29 novembre 2023,  n. 6573

 

Annotazioni a cura di Antonio Gnecchi

Come sempre le sentenze in esame contengono molte conclusioni scontate, mentre per quanto riguarda il TAR Calabria (n.7), la massima non espone chiaramente il problema di genere, riferendosi ad un caso  particolare.

Da rilevare quanto affermato a proposito della sentenza n. 6 che evidenzia diversi aspetti già menzionati in alcune delle precedenti rassegne, ma che sono di fondamentale rilevanza per la gestione delle attività edilizie e urbanistiche che si vogliono intraprendere.

Di seguito comunque si espongono le seguenti annotazioni per ciascuna delle sentenze sopra riportate.

 

  • Permesso di costruire – decadenza

La sentenza mette giustamente in evidenza gli elementi preliminari preordinati alla decadenza del permesso di costruire, fermo restando la precisazione del concetto di “decadenza” previsto dal dPR n. 380 del 2001.

Quando i RUP degli UTC rilevano che i lavori previsti da un intervento a cui è stato rilasciato il  permesso di costruire non sono stati effettivamente iniziati, ovvero non sono stati neppure ultimati, mancando, per altro né la comunicazione  di inizio lavori e/o quelle della loro ultimazione, come prescritto dal dPR n. 380/01, la cosa principale da fare è  emettere  nei confronti degli interessati, una comunicazione con la quale si dichiara che il titolo edilizio  e decaduto.

Quanto sopra con efficacia retroattiva rispetto all’epoca in cui è stato adottato, anche a distanza di tempo dopo la scadenza dei termini stabiliti per l’inizio e/o la fine dei lavori, facendo una istruttoria circostanziata dalla quale si rilevano gli elementi oggettivi di tali circostanza. Questi elementi sono riscontrabili sul posto di cantiere, sia per l’inizio dei lavori, relazionando  quanto riscontrato, allegando la documentazione fotografica atta a giustificare l’adozione della decadenza del titolo. Lo stesso dicasi per il termine di fine lavori, dopo un sopralluogo all’immobile interessato relazionando tutte le parti, i lavori e le opere non ancora ultimate, anche con il contributo della documentazione fotografica  dimostrativa.

Questa comunicazione è stata da noi di Unitel sempre considerata un’azione tecnico-amministrativa che consente ai RUP degli UTC, di dimostrare e di giustificare, in contraddittorio con gli interessati, l’intervenuta decadenza del permesso di costruire.

Sia l’istruttoria che la comunicazione preventiva consentono all’ente locale di aver agito nel rispetto della trasparenza amministrativa e di assicurare di non aver tralasciato la valutazione dei presupposti che giustifichino la dichiarazione di decadenza dell’atto, anche in sede giudiziaria a fronte di un eventuale ricorso del privato.

 

  • Cambio di destinazione d’uso di un lastrico solare in terrazzo calpestabile – permesso di costruire

Questa disanima mette in evidenza due cose. La prima riguarda la tipologia di intervento che viene realizzato e il relativo titolo abilitativo ai sensi del dPR n. 380/01. In particolare  si precisa che avviene una trasformazione edilizia, accompagnata dal cambio d’uso, da superficie non praticabile a terrazza in luogo di un solaio di copertura, delimitata da un parapetto.

La seconda è correlata alla prima dal titolo abilitativo a cui soggiace tale intervento. Infatti, in base alla tipologia di intervento che prevede la trasformazione edilizia dell’edificio, il TUE prescrive l’obbligo di rilascio del permesso di costruire in quanto qualificabile all’interno degli interventi di cui all’art. 10, escludendo, di conseguenza, l’assoggettamento alla SCIA (art. 22), o alla CILA (art. 6– bis). Quanto sopra comporta, quindi, la compatibilità edilizia e urbanistica di questa trasformazione che conduca al rilascio del permesso di costruire.

Quest’ultima conclusione, che spesso si è ripetuta all’interno delle sentenze sin qui esaminate nelle precedenti rassegne, fa emergere come gli interventi edilizi ammessi con la CILA e la SCIA ordinaria, sono davvero limitati a circoscritti interventi, ben individuati all’interno dei rispettivi articoli del TUE. Spesso e volentieri, invece, i privati, o meglio i rispettivi tecnici incaricati, tendono a utilizzare questi due titoli abilitativi mal interpretando le norme e per accelerare i tempi della loro efficacia rispetto a quelli del permesso di costruire.

Questo comportamento induce i RUP degli UTC a interrompere le attività edilizie intraprese, interrompendone i termini, o peggio, perseguendo le violazioni edilizie degli interventi intrapresi.

A mio giudizio non c’è più largo margine di interpretazione delle norme quali si deve far riferimento per intraprendere ogni attività edilizia sul territorio e questa mia lettura vale sia per i committenti che per i professionisti, nonché, e soprattutto, per i RUP dei competenti uffici comunali.

Confermano queste conclusioni le continue sentenze della giurisprudenza amministrativa ai vari livelli, in modo univoco, costante e consolidato, da non lasciare spazio a diverse interpretazioni.

 

  • Accertamento di conformità – sanatoria condizionata – inammissibilità

E’ pacifico che la c.d. “sanatoria condizionata” non esiste all’interno del TUE e tanto basta per chiudere il discorso.

L’art. 36 del dPR n. 380/01 è chiaro nello stabilire che l’accertamento di conformità (e non la “sanatoria condizionata”) si concretizza solo qualora l’abuso, nello stato di fatto in cui si trova al momento della sua rilevazione, deve risultare conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al omento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda. Quando si afferma che deve essere conforme al momento della sua  realizzazione, sembra ovvio che si riferisca ad uno stato di fatto consolidato nel tempo e che non può essere modificato per renderlo conforme alle norme dell’epoca della sua realizzazione né, tanto meno, al momento della presentazione della domanda di sanatoria.

Per di più non si concretizza attraverso opere o lavori idonei a conformare l’abuso  alla disciplina edilizia ed urbanistica che consentano il rilascio del permesso di costruire in sanatoria.

Il comune, quindi, deve esaminare la richiesta edilizia, valutando le condizioni ed i presupposti stabiliti dall’art. 36 del TUE in base al progetto presentato che non indichi eventuali opere o lavori tesi a rendere conforme l’abuso alle previsioni e prescrizioni dello strumento urbanistico.

Se ciò non si concretizza, il RUP può legittimamente negare la sanatoria edilizia, senza che siano prescritti interventi edilizi che rendano l’abuso conforme allo strumento urbanistico.

 

  • Realizzazione veranda con chiusura di un balcone – permesso di costruire

Come al solito si giunge ai soliti risultati e cioè che la chiusura di un balcone determina la creazione di un nuovo volume (anche se definibile come ampliamento) e la conseguente circostanza per cui l’intervento è subordinato al rilascio del permesso di costruire. Poco importa se la nuova volumetria va a modificare la sagoma dell’edificio e comunque indipendentemente dal fatto che la chiusura sia effettuata sul balcone incassato all’interno dell’edificio.

Quanto sopra mi sembra ormai scontato e applicabile qualora si presenti un caso di intervento simile, sia per gli “utenti privati, che per i liberi professionisti, ma soprattutto per coloro che devono far rispettare le norme. Ho ripetuto innumerevoli volte come tutti questi soggetti coinvolti abbiano a rispettare queste semplici “regole” che conducono a non allungare i tempi per la conclusione del procedimento, assicurano la buona riuscita del risultato (rilascio permesso di costruire o SCIA alternativa) e soprattutto non conducono a contenziosi tra i privati ed il comune perché, alla fine sarà quest’ultimo ad avere ragione, in tutte le sedi di tribunali, sia amministrativi che penali.

Aggiungerei che le stesse cose anzidette valgono anche per tutti gli altri interventi edilizi per i quali risulta evidente l’individuazione della tipologia edilizia, il relativo titolo edilizio e ciò che ne consegue (regime economico, l’assenza di violazioni edilizie e di controversie tra privati ed amministrazioni pubbliche).

 

  • Impianti di telefonia – natura giuridica

La normativa italiana sugli impianti di telefonia mobile parte dalla legge quadro n. 36 del 2001 (Decreto delle comunicazioni elettroniche CCE), art. 8 – competenze  regionali, provinciali e comunali sulla protezione dalle esposizioni  a campi elettrici,  dal DLGS n. 259/03 (Norme di semplificazione per reti e servizi di comunicazioni elettroniche) e dal D.L. n. 76 del 16 luglio 2020, convertito dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, di modifica al DLGS n. 259/03 (art. 38).

L’art. 8 della legge Quadro, al comma 6 stabilisce che: “i comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici” ed ha aggiunto quanto segue: “ con riferimento  ai siti sensibili individuati in modo specifico, con esclusione della possibilità di introdurre limitazioni alla localizzazione  in aree generalizzate del territorio di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche di qualsiasi tipologia e, in ogni caso, di incidere, anche in via indiretta, o mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti  di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità,, riservati  allo Stato ai sensi dell’art. 4”.

E’ quindi esplicitamente riconosciuto nel quadro legislativo quanto già ampiamente delineato dal quadro giurisprudenziale negli anni: non è possibile porre divieti su aree generalizzate del territorio, e nessun provvedimento contingibile e urgente può dettare limiti di esposizione  differenti da quelli stabiliti dallo Stato.

Rilevano, tra le numerose sentenze, le seguenti più significative:

  • Consiglio di Stato n. 3679 del 3 giugno 2019;
  • TRGA Trento n. 87 del 16 aprile 2018;
  • Corte di Cassazione n. 24740 del 5 dicembre 2016, conferma della sentenza di Consiglio di Stato n. 306 del 23 gennaio 2015.

Tornando all’articolato della sentenza, relativamente alla natura giuridica degli impianti di telefonia (mobile o fissa),  rilevante anche ai fini urbanistici, non risulta di particolare novità il fatto che si debbano considerare opere private destinate alla gestione di un servizio di utilità pubblica, assimilate alle OO UU primaria e non OO PP assoggettate ad autorizzazione preventiva. Queste condizioni, infatti, si rilevano chiaramente delle norme legislative in materia sopra menzionale.

 

  • Ampliamento di un balcone e congiungimento di sporti preesistenti – permesso di costruire

Anche in questo caso non ci sono cose da dire, se non ribadite, ancora una volta, che la sentenza non fa altro che affermare come un intervento venga escluso da quelli ammessi con la SCIA ordinaria (art. 22 del TUE), ma in quelli definiti dall’art. dello stesso decreto e, più precisamente all’interno del co. 1, lett. d), ossia la RE che, a sua volta, è subordinata al previo rilascio del permesso di costruire.

Questa intervento ha, di fatto, creato un “ampliamento del balcone” derivato dal congiungimento dei due sporti laterali, ampliando lo stesso rispetto a quello preesistente, identificato tra gli interventi di RE ai sensi del dPR n. 380/01. Di conseguenza, andando a modificare i prospetti, la sagoma e le superfici dell’edificio, a fronte di quanto stabilisce l-art. 10 dello stesso TUE, il titolo edilizio a cui [ sottoposto [ il permesso di costruire.

Ne consegue che l’assenza del titolo comporta l’applicazione della sanzione di cui all’art. 33 del dPR n. 380/01.

Non ci sono altre annotazioni da fare, se non ritornare sulle consuete  citazioni delle sentenza che parlano di “trasformazioni edilizie”, di “trasformazioni permanenti del territorio”, di “nuovo volume”, tutte riconducibili al preventivo rilascio del permesso di costruire, e non a titoli abilitativi diversi, coma la CILA o la SCIA ordinaria, a cui sono associate la manutenzione, la conservazione o il rinnovamento delle parti costitutive degli edifici.

 

  • Rimozione cancello su terreno comunale – potere di autotutela esecutiva dell’amministrazione

La sentenza tratta un caso del tutto particolare in quanto il terreno in questione era in passato di proprietà dei ricorrenti e solo dopo è divenuto di proprietà del comune, sul quale era esistente un cancello che l’amministrazione vuole far rimuovere. L’area viene rivendicata dai ricorrenti come propria  per mancanza di errori e imprecisioni, mancando l’impegno del comune per l’esatta definizione dei confini, come risulta dalla delibera di approvazione  del piano delle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare comunale.

I ricorrenti contestavano inoltre il fatto che il comune non poteva adottare ordinanze di quel genere in considerazione del fatto che il comune può ordinanze di ripristino ex art. 107, co. 3, lett. g), DLGS n. 207 del 2008,  soltanto per la tutela  di beni demaniali o patrimoniali indisponibili, dovendo altrimenti avvalersi delle normali azioni civilistiche per il recupero della disponibilità del bene.

E’ evidente, quindi, che la massima della sentenza, non è estendibile a situazioni in cui i terreni oggetto di costruzione di manufatti, sono di esclusiva e certa proprietà comunale, per cui tali  ordinanze sono del tutto legittime.

Quanto sopra mette in evidenza come non è sufficiente leggere le massime delle sentenze per inquadrare esattamente il problema, ma l’intero testo del dispositivo.

 

  • Condono edilizio

L’argomento è già stato trattato in altra precedente rassegna nella quale era stato precisato che il condono edilizio di un abuso si riferisce allo stato di fatto in cui si trova l’immobile al momento dell’istanza e che non potevano essere eseguiti altri e successivi lavori o opere che ne modificassero l’aspetto e le caratteristiche costruttive, compreso i materiali di finitura ed ogni altro intervento come l’installazione di impianti, ecc.

La sentenza in argomento mette in luce un altro aspetto di questa eventuale modificazione, ovvero che, diversificando il materiale costruttivo impiegato sull’immobile, comporterebbe una diversa qualificazione dell’intervento, mediante una sostituzione edilizia.

Precisato quanto sopra, la sentenza afferma che gli unici interventi edilizi possibili su tali manufatti sono quelli diretti a garantire l’integrità e la conservazione degli stessi.

E’ categoricamente vietata la demolizione e ricostruzione  di tali manufatti condonati, a meno che siano concretamente  indispensabili.

 

 


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