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23.06.2025 - lavori pubblici

IL TAR LAZIO SULLA DIFFERENZA TRA CONTRATTI ESCLUSI ED ESTRANEI ALL’APPLICAZIONE DEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI

(TAR Lazio-Roma del 10/06/2025, n. 11371)

Il ricorso è stato proposto da Hera S.p.A. e AcegasApsAmga S.p.A. contro alcune delibere dell’ANAC. Le delibere impugnate imponevano l’obbligo di acquisizione del CIG (Codice Identificativo di Gara), la trasmissione di dati e il pagamento di un contributo anche per contratti esclusi dall’applicazione del Codice dei Contratti Pubblici.

In particolare, le società ricorrenti contestavano:

  • L’assenza di una base normativa che attribuisse ad ANAC il potere regolatorio su contratti esclusi o estranei al Codice.
  • La violazione del principio di proporzionalità e il rischio di gold plating (ossia l’introduzione di oneri superiori a quelli previsti dal diritto UE).
  • L’illegittimità dell’imposizione del contributo ANAC senza previa consultazione pubblica.
  • La lesione della libertà di iniziativa economica e dell’art. 23 della Costituzione (prestazioni patrimoniali imposte per legge).

La sentenza in commento ha ribadito la differenza tra contratti esclusi e contratti estranei,

In particolare, l’art. 13 d.lgs. n. 36/23 disciplina il relativo ambito di applicazione, individuando la categoria dei c.d. “contratti esclusi”.

Accanto alla categoria dei contratti “esclusi” di cui al citato art. 13 va affiancata quella di creazione giurisprudenziale dei c.d. “contratti estranei” all’applicazione del Codice, che, nel d.lgs. n. 36/23, è trattata dall’art. 141, comma 2. Nel dettaglio, si tratta di quei contratti aggiudicati da imprese pubbliche o soggetti titolari di diritti speciali o esclusivi (che sono tenuti ad applicare le regole dell’evidenza pubblica solamente se aggiudicano contratti nei settori speciali) che non sono strumentali da un punto di vista funzionale alle attività di cui ai suddetti settori speciali.

Venendo alla disamina delle singole disposizioni, il Collegio evidenzia che il Codice dei contratti si applica anche agli enti aggiudicatori (art. 1, lett. r), All. I.1), tra cui rientrano i soggetti titolari di diritti speciali o esclusivi (art. 1, lett. g), All.I.1) che opera nei settori speciali (Libro III del Codice), solo se l’appalto persegue una delle attività di cui agli artt. da 146 a 152 del Codice stesso.

Ai sensi dell’art. 141, co. 2, d.lgs. n. 36/23, infatti, le imprese pubbliche e i soggetti titolari di diritti speciali o esclusivi applicano le disposizioni relative ai settori speciali solo per i contratti strumentali da un punto di vista funzionale una delle attività di cui agli artt. da 146 a 152.

L’art. 143, d.lgs. n. 36/23 individua, quale ulteriore limite applicativo, che «le disposizioni del codice non si applicano ai contratti per svolgere un’attività di cui agli articoli da 146 a 152 se l’attività è direttamente esposta alla concorrenza su mercati liberamente accessibili».

Tale conclusione è stata da tempo accolta dalla giurisprudenza amministrativa che, al riguardo, ha chiarito che «l’assoggettabilità dell’affidamento di un servizio alla disciplina dettata per i settori speciali non può essere desunta sulla base di un criterio solo soggettivo, relativo cioè al fatto che ad affidare l’appalto sia un ente operante nei settori speciali, ma anche in applicazione di un parametro di tipo oggettivo, attento alla riferibilità del servizio all’attività speciale» (Cons. Stato, Ad. plen., 1 agosto 2011, n. 16).

Se ne ricava un sistema compiuto – coerente con quello già previsto dal precedente d.lgs. n. 50/2016 – in base al quale il soggetto privato che opera in virtù di diritti esclusivi è obbligato ad indire gare ad evidenza pubblica solo al ricorrere di due concorrenti presupposti: i) quando esso opera nei settori speciali; ii) quando oggetto dell’affidamento siano attività strumentali a quella svolta nei settori speciali (si veda, in proposito, di recente e con riferimento all’attuale Codice, Consiglio di Stato, 28 ottobre 2024 n. 8578).

Ciò posto, parte ricorrente opera nel settore speciale della gestione dei servizi a rete mediante rinnovo e sviluppo delle reti di distribuzione energetiche il cui perimetro è chiaramente delineato dagli artt. 146 e 147, d.lgs. n. 36/23; al di fuori di tale cornice, per attività che non sono strumentali da un punto di vista funzionale, non è tenuta ad applicare le disposizioni contenute nel Libro III del Codice, restando, quindi, attuale anche nel vigente apparato normativo la categoria giurisprudenziale dei c.d. “contratti estranei”.

Muovendo da tali coordinate normative e giurisprudenziali il TAR ha ritenuto il ricorso infondato.

Dalla ricostruzione sopra riportata si evince, infatti, che il potere di vigilanza di Anac, trova il suo fondamento normativo nell’art. 222, co. 3, d.lgs.n. 36/23 e si estende anche ai contratti “esclusi dall’ambito di applicazione del codice”.

La necessità che la vigilanza si esplichi nel settore degli “appalti pubblici” come definiti nell’art. 3 dell’Allegato I.1 al Codice, trova la sua ratio giustificatrice nell’esigenza di garanzia dell’osservanza dei principi del c.d. “accesso al mercato” di cui all’art. 3 (concorrenza, imparzialità, non discriminazione, etc.), di trasparenza e di tracciabilità. Il suddetto potere giustifica, quindi, la pretesa di un obbligo di contribuzione e la trasmissione di una serie di informazioni cui è correlata l’attribuzione del CIG e costituisce il frutto di una scelta pro-concorrenziale più ampia che è stata ritenuta non contraria alla disciplina euro unitaria.

Ciò in quanto, ai sensi del già citato art. 13 del Codice, l’affidamento di contratti c.d. “esclusi” che offrono opportunità di guadagno economico, anche indiretto, avviene tenendo conto dei principi di cui agli artt. 1, 2 e 3 (recanti i principi di risultato, della fiducia e di accesso al mercato).

In altri termini gli obblighi imposti dalle delibere impugnate trovano il loro fondamento nella circostanza che, a prescindere dal metodo di scelta del contraente, in tali casi si verte in ogni caso nell’ambito della definizione di “appalto pubblico” fornita dal Codice (cfr. il già citato art. 3, co. 1, lett, b), Allegato I.1. che li definisce come “contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più stazioni appaltanti e aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di beni o la prestazione di servizi”). È stato chiarito, in proposito, che il contratto stipulato va comunque considerato un “appalto pubblico” nella misura in cui consenta il perseguimento di un interesse di matrice pubblicistica anche in assenza di una procedura ad evidenza pubblica per la selezione del contraente.

Dalle considerazioni che precedono si ricava la sussistenza, con riferimento ai contratti c.d. “esclusi”, della fonte normativa primaria idonea a giustificare la pretesa di Anac di sottoporre anche tali contratti agli adempimenti stabiliti della Delibera impugnata.

Diversamente, i contratti c.d. “estranei”, come definiti dall’art. 141, co. 2, d.lgs. n. 36/23 non sono sottoposti a tali adempimenti, né potrebbe essere altrimenti posto che, secondo il consolidato orientamento espresso dalla giurisprudenza amministrativa sul punto, qualora non siano funzionali ad una delle attività previste per i settori speciali, non rientrano nell’ambito applicativo del Codice.

Né si possono trarre conclusioni diverse dalla Delibera impugnata, dove nessun riferimento a tali tipologie contrattuali viene inserito.

A riprova di ciò le stesse “Linee guida sulla tracciabilità dei flussi finanziari ai sensi dell’articolo 3 della Legge 13 agosto 2010, n. 136 aggiornate con la Delibera n. 585 del 19 dicembre 2023” affermano senza rischio di fraintendimento che: «Sono soggetti agli obblighi di tracciabilità i flussi finanziari derivanti dai contratti stipulati dalle imprese pubbliche nell’ambito dei settori “speciali “individuati dalla direttiva 2004/17/CE e dal Codice, parte III, mentre sono da ritenersi esclusi i contratti di diritto privato stipulati dalle imprese pubbliche al di fuori di tali attività».

Si è già detto che l’attribuzione del CIG è strumentale, tra le altre cose, al monitoraggio dei flussi finanziari e che tale attività è a sua volta destinata a garantire l’impermeabilità del settore dei contratti pubblici dal rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata.

Ciò posto è, pertanto, ragionevole e proporzionato rispetto alle finalità dell’esercizio del potere di vigilanza imporre tali incombenze anche a settori “esclusi” dall’ambito di applicazione del Codice, non prescrivendoli, invece, per i contratti che, non essendo strumentali da un punto di vista funzionale ai settori speciali, sono “estranei” alla relativa disciplina.

Del resto, la stessa difesa erariale ha rimarcato, nelle sue difese, che le Delibere impugnate non hanno inteso estendere nessuna incombenza a carico degli operatori nei c.d. “contratti estranei”, non ravvisandosi, in tal senso la dedotta contraddittorietà tra quanto contenuto nella Delibera e quanto sostenuto nella memoria difensiva.

Pertanto, nei casi in cui la parte ricorrente agisce quale operatore economico in regime di libera concorrenza, non le è imposto alcun onere (contributivo e di comunicazione) derivante dalle Delibere impugnate.

Gli uffici di Ance Brescia rimangono a disposizione per ulteriori chiarimenti.

 

ALLEGATO: TAR Lazio-Roma del 10 GIUGNO 2025, n. 11371


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