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30.01.2015 - lavori pubblici

ESCLUSIONE DALLE GARE DI APPALTO: E’ SUFFICIENTE LA FALSA DICHIARAZIONE

(Consiglio di Stato, sezione V del 2 ottobre 2014, n. 4896)

Deve escludersi il falso ‘innocuo’ qualora il bando di una gara d’appalto preveda una dichiarazione dal contenuto completo, anche sui ‘carichi pendenti’, e il partecipante renda una autodichiarazione non veritiera. Rimane dubbia, invece, l’utilità della richiesta degli stessi carichi pendenti.
E’ quanto si desume dalla sentenza che la sezione V del Consiglio di Stato (2 ottobre 2014, n. 4896) ha costruito attorno alla configurabilità, o meno, un falso ‘innocuo’ nelle procedure di evidenza pubblica.
Il giudice amministrativo ha, infatti, chiarito che negli appalti pubblici la completezza delle dichiarazioni sul possesso dei requisiti generali è già di per sé un valore da perseguire, perché consente, anche in ossequio al principio di buon andamento dell’amministrazione e di proporzionalità, la celere decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla gara.
Ne consegue che una dichiarazione inaffidabile (perché, al di là dell’elemento soggettivo sottostante, è falsa) deve ritenersi già di per sé stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma, a prescindere dal fatto che l’impresa meriti sostanzialmente di partecipare alla gara (cfr. anche Consiglio di Stato, sez. V, 21 giugno 2013, n. 3397).
Inoltre, in tali casi non si può ritenere sussistente un ‘falso innocuo’, poiché non si verte in materia di mancata attestazione della sussistenza di requisiti generali in concreto esistenti, ma nella attestazione, rivelatasi non corrispondente alla realtà, della insussistenza di carichi pendenti; ciò ha inciso sugli interessi tutelati, avendo impedito che la commissione di gara fosse posta nella condizione di poter immediatamente effettuare la valutazione complessiva circa la moralità professionale della società offerente (dovendo la commissione valutare la rilevanza di tutti i dati da fornire).
Peraltro l’art. 45, par. 2, lett. g), della direttiva 2004/18/Ce consente di escludere dalle pubbliche gare l’operatore “che si sia reso gravemente colpevole di false dichiarazioni nel fornire le informazioni che possono essere richieste a norma della presente sezione o che non abbia fornito dette informazioni”.

La Sezione osserva, peraltro, che il disciplinare ha effettivamente previsto l’obbligo delle partecipanti di dichiarare i ‘carichi pendenti’ e che “il Codice dei contratti – come rilevato più volte da questo Consiglio – consente alla stazione appaltante di richiedere la relativa dichiarazione”.
Quest’ultima affermazione non è, tuttavia, pacifica, considerato che la sezione III dello stesso Consiglio di Stato, appena un anno fa, ha chiarito la sufficienza del certificato penale del casellario attestante le sole condanne penali, ai fini delle verifiche di cui all’art. 38, 1° comma, lett. c), d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, Codice dei contratti(Consiglio di Stato Sez. III – sentenza 13 marzo 2013, n. 1494).
Inoltre, la giurisprudenza aveva già rilevato che l’assenza di tali procedimenti pendenti non condiziona l’ammissione alla procedura d’appalto (Consiglio di Stato, sez. III, 13/03/2013, n. 14949) essendo detti certificati inadeguati a provare i requisiti di moralità e affidabilità dei concorrenti alle gare pubbliche (Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd. 25/10/2012, n. 1014; T.A.R. Sicilia Catania, sez. IV, 19 marzo 2008, n. 501; Tar Palermo, sez. III, sentenza 17 giugno 2008, n. 817).
Alla luce di quanto sopra, il TAR Lombardia, sede di Milano, Sez. I, con ordinanza 26 luglio 2013 n. 1982, ha infatti rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea le seguenti questioni pregiudiziali:
• se sia conforme al diritto comunitario che la stazione appaltante possa decidere di non procedere all’aggiudicazione definitiva di un appalto sulla base della mera pendenza di un’indagine penale nei confronti del legale rappresentante della società provvisoriamente aggiudicataria;
• se sia conforme al diritto comunitario una deroga del principio di definitività dell’accertamento della penale responsabilità, così come espresso dall’art. 45 della Direttiva 2004/18/CE, e ciò per motivi di opportunità amministrativa, riconducibili ad un’area di riserva amministrativa e/o nell’ipotesi in cui l’indagine penale pendente riguardi la commissione di delitti relativi proprio alla procedura di gara revocata.
Spetterà, pertanto, al giudice comunitario decidere sulla legittimità della richiesta, in relazione all’accertamento della moralità professionale del concorrente; ciò considerato che, sotto un diverso profilo, i carichi pendenti non sono previsti neppure tra gli strumenti che le stazioni appaltanti possono utilizzare per effettuare i riscontri di cui all’art. 38, comma 1, lett. b) del Codice dei contratti, concernenti l’esclusione dalle procedure di affidamento disposta per i soggetti sottoposti a procedimenti per l’irrogazione di misure di prevenzione di cui all’art. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (ora riferibili all’art. 6 del d.lgs. n. 159/2011, il c.d. Codice delle leggi Antimafia).
Al riguardo, si richiama alla posizione espressa dall’abolita Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (cfr. determinazione n. 2/2012), recentemente confermata dall’Autorità nazionale anticorruzione, ANAC, nella Determinazione n. 2 del 2 settembre 2014.
In tale occasione, venne infatti chiarito che il riscontro della citata lett. b) avviene attraverso la verifica dell’iscrizione nell’apposito registro della cancelleria del tribunale, della proposta di applicazione della misura, personale o patrimoniale, formulata da uno dei soggetti legittimati: Procuratore nazionale antimafia, Procuratore della repubblica, Direttore della direzione investigativa antimafia, Questore (cfr. a riguardo le indicazioni fornite dal Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli Affari di Giustizia, Direzione Generale della Giustizia Penale, nella nota circolare, riferimento 027.002.003-20, del 9 dicembre 2011).

 


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