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26.05.2006 - urbanistica

ABUSO EDILIZIO – IL RIPRISTINO SALVA DALLA CONDANNA SE L’INIZIATIVA PRECEDE L’EMISSIONE DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO

ABUSO EDILIZIO – IL RIPRISTINO SALVA DALLA CONDANNA SE L’INIZIATIVA PRECEDE L’EMISSIONE DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO ABUSO EDILIZIO –  IL RIPRISTINO SALVA  DALLA CONDANNA  SE L’INIZIATIVA PRECEDE L’EMISSIONE  DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO
(Corte di Cassazione, III Sezione Penale, 01 febbraio 2006, n. 3945)

Le condanne penali per abusi edilizi possono essere annullate a patto che la demolizione delle opere arrivi prima dell’ordinanza comunale. Dall’interpretazione letterale del Codice dei beni ambientali e paesaggistici (il Codice Urbani), la Corte di Cassazione consente l’estinzione del reato solo se l’autore della costruzione illegale “si attivi spontaneamente e, quindi, prima che la Pubblica Amministrazione disponga la distruzione dei manufatti”. Il monito è contenuto nella sentenza n. 3945 del 1 febbraio 2006 con cui la Corte ha respinto il ricorso di un imprenditore marchigiano che aveva realizzato un piccolo bar in cemento armato in zona vincolata, senza autorizzazione. Il Tribunale di Ancona lo ha processato e condannato all’arresto, pena poi convertita in ammenda. A quel punto l’imprenditore ha abbattuto le strutture abusive e chiesto alla Corte d’Appello di dichiarare estinto il reato. Nonostante la demolizione fosse avvenuta da tre anni, i giudici di secondo grado hanno confermato la condanna e, nei giorni scorsi, la Cassazione ha ribadito le precedenti decisioni. I giudici si sono richiamati alle prescrizioni del Codice Urbani (decreto legislativo 41/2004), in particolare all’articolo 181 quinquies che recita: “Il ripristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici, da parte del trasgressore, prima che venga disposta d’ufficio dall’autorità amministrativa e comunque prima che intervenga la condanna, estingue il reato previsto dal comma 1”. In questo caso l’imputato è corso ai ripari troppo tardi e la terza sezione penale della Corte (presidente Ernesto Lupo, relatore Alfredo Teresi), non gli ha riconosciuto l’ “effetto premiale”, perché la demolizione avrebbe dovuto “realizzarsi prima dell’emissione del provvedimento amministrativo” del Comune.
Non possono essere accettate le ipotesi difensive “secondo cui l’effetto estintivo si configurerebbe anche nel caso in cui l’ordine sia stato disposto d’ufficio e il proprietario abbia effettuato il ripristino, anticipando l’esecuzione materiale da parte della Pubblica Amministrazione”.
Il Codice per il paesaggio ha voluto “salvare” quanti si ravvedono immediatamente degli errori commessi, evitando alle autorità locali di intervenire e riportando la situazione nella legalità nel più breve tempo possibile. In presenza di un’ordinanza del sindaco, originata da uno o più sopralluoghi, scattano immediatamente denuncia penale e processo, senza che si possa ottenere un provvedimento giudiziario di “non punibilità”.
Nella vicenda esaminata in Cassazione, il ricorrente è stato condannato a un’ ammenda di 500 euro e al pagamento delle spese processuali.
Si ritiene opportuno pubblicare di seguito la sentenza in parola.

La Corte suprema di Cassazione, Terza Sezione Penale, ha pronunciato la seguente sentenza sul ricorso proposto da D.M., avverso la sentenza pronunciata dalla Corte di Appello di Ancona in data 01/06/2005 che ha confermato la condanna alla pena dell’arresto (convertendola in quella pecuniaria corrispondente) e dell’ammenda inflittagli nel giudizio di primo grado per il reato di cui agli articoli 81 codice penale, 163, 146 e 151 d. lgs. n. 490/1999;
Visti gli atti, la sentenza denunciata e il ricorso;
Sentita in pubblica udienza la relazione del Consigliere dott. Alfredo Teresi;
Sentito il P.M. nella persona del P.G., dott. Angelo Di Popolo, il quale ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza perché il reato è estinto per prescrizione;
Sentito il difensore del ricorrente, avv. Pasquale Coppola, il quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

OSSERVA
Con sentenza in data 01/06/2005 la Corte di Appello di Ancona confermava la condannava alla pena dell’arresto (convertendola in quella pecuniaria corrispondente) e dell’ammenda inflitta nel giudizio di primo grado a D.M. quale responsabile di avere, senza la prescritta autorizzazione, realizzato, in zona vincolata, un bar costituito da tre strutture di cemento armato, nonché una parete divisoria lunga oltre 10 metri, opere successivamente demolite.
Rilevava la Corte che l’intervenuta demolizione non era idonea a produrre l’effetto estintivo di cui all’art. 181, comma quinquies, del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 41, introdotto dalla legge 15 dicembre 2004 n. 308 perché la demolizione era stata effettuata dopo l’ingiunzione a demolire emessa dal Comune di Pedaso in data 16 luglio 2001, e, comunque, oltre il termine prefissato del 26 luglio 2001, essendo stata accertata con verbale dell’8 novembre 2001 l’omessa demolizione.
Proponeva ricorso per cassazione l’imputato denunciando violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla negata applicazione della causa estintiva del reato a seguito dell’avvenuta demolizione delle opere perché “non si comprende se la Corte d’Appello abbia considerato ostativa al riconoscimento della speciale causa estintiva l’ordinanza in sé ovvero l’infruttuoso decorso del tempo concesso per l’adempimento della stessa”.
Mancando negli atti la relazione di notifica del provvedimento amministrativo, non è possibile stabilire il dies a quo ai fini dell’accertamento dell’inadempimento.
Inoltre, la rimessione in pristino era stata tempestivamente eseguita prima che la P.A. l’effettuasse d’ufficio e a proprie spese.
Deduceva, altresì, il ricorrente che la pena inflittagli doveva essere ridotta perché l’eliminazione delle opere aveva sanato ogni danno ambientale. Chiedeva l’annullamento della sentenza.
Con memoria del 30/11/2005 il ricorrente eccepiva la prescrizione del reato. Il ricorso è manifestamente infondato.
Dispone l’art. 181 quinques del decreto legislativo n. 41/2004 che “la rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici, da parte del trasgressore, prima che venga disposta d’ufficio dall’autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna, estingue il reato di cui al comma 1”.
L’ordine impartito dall’autorità amministrativa è l’intimazione di ripristinare lo stato dei luoghi che è rivolto all’autore dell’abuso e che, ove rimanga inadempiuto, dà luogo ad esecuzione d’ufficio a spese dell’obbligato.
La nuova fattispecie estintiva può configurarsi soltanto se l’autore dell’abuso si attivi spontaneamente alla rimessione in pristino e, quindi, prima che la P.A. la disponga perché l’effetto premiale può realizzarsi solo in presenza di una condotta che anticipi l’emissione del provvedimento amministrativo ripristinatorio.
Non merita, pertanto, adesione l’assunto difensivo secondo cui l’effetto estintivo conseguirebbe anche nel caso in cui l’ordine sia stato disposto d’ufficio e l’imputato abbia effettuato il ripristino anticipando l’esecuzione materiale da parte della P.A.
Nel caso in esame, risulta
– che, con provvedimento 16 luglio 2001, l’Ufficio tecnico comunale ha ingiunto all’imputato di procedere, a sua cura e spese, alla demolizione delle opere abusive entro il termine di giorni 90 dalla notifica;
– che, con verbale dell’8 novembre 2001, la Polizia municipale ha costatato l’inadempimento;
– che la demolizione è stata accertata il 14 maggio 2002.
Essendo la rimessione in pristino avvenuta dopo l’emissione dell’ingiunzione, non ricorrono le condizioni per applicare la causa estintiva.
La determinazione della pena in prossimità del minimo edittale non richiedeva una più diffusa motivazione sul punto.
Il reato non è prescritto perché l’inammissibilità del ricorso, vertente su erronee argomentazioni giuridiche e su questioni in fatto correttamente esaminate in sede di merito, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. Grava sul ricorrente l’onere delle spese del procedimento e del versamento alla cassa delle ammende di una somma che va equitativamente fissata in €. 500,00.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di €. 500,00 in favore della cassa delle ammende. Cosi deciso in Roma nella pubblica udienza del 19/12/2005.
 
 


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