Print Friendly, PDF & Email
24.09.2012 - urbanistica

L’ACCESSIBILITÀ NEI LOCALI O SPAZI IN EDIFICI PRIVATI APERTI AL PUBBLICO

L’accessibilità NEI locali o spazi in edifici privati aperti al pubblico
(a cura del geom. Antonio Gnecchi)

Capo I –  Evoluzione della normativa.
Il D.M. n. 236 del 1989 definiva il campo di applicazione negli edifici privati (oltre all’ERP) di nuova costruzione o sottoposti a ristrutturazione totale, rimanendo esclusi quelli sottoposti ad interventi minori rispetto a quelli richiamati, quali la ristrutturazione parziale, il restauro e la manutenzione straordinaria.
La manutenzione ordinaria e le attività di edilizia libera non rientrano nel campi di applicazione della normativa sull’abbattimento delle barriere architettoniche, salvo quanto specificato nel successivo capo quarto.
Con la modifica introdotta con l’articolo 24 della legge quadro n. 104 del 1992, sono stati introdotti i seguenti concetti che riguardano gli edifici pubblici e privati aperti al pubblico:
– Indipendentemente dall’entità dell’intervento, risultano vietate tutte quelle opere di nuova realizzazione suscettibili di limitare la visitabilità e l’accessibilità,
– Subordinava l’autorizzazione al cambio di destinazione d’uso con uso finale come luoghi pubblici o aperti al pubblico, all’abbattimento delle barriere con le modalità previste dal D.M. 236/89.
La legge 104/92 quindi ha ampliato il campo di applicazione della normativa, sia in riferimento alla tipologia di edifici, che rispetto alle categorie di intervento.
In sostanza, la legge 104/92 prendeva in considerazione gli edifici pubblici, che non rientravano fra quelli considerati dalla legge 13/89, e sia per tali edifici che per quelli privati aperti al pubblico introduceva, già a partire dalla semplice manutenzione straordinaria, l’obbligo del rispetto del DM 236/89, anche se limitatamente alle opere che si intendono eseguire.
Quello che la legge 104/942 non definisce con chiarezza, lasciando quindi ampio margine di discrezionalità e di interpretazione, è il concetto di edificio privato aperto al pubblico: infatti, se non vi sono dubbi che il bar, il ristorante, il cinema, rientrano a pieno titolo in tale classificazione, non pare così scontato inserire in tale categoria gli studi professionali, gli esercizi commerciali di vendita o di tipo misto (es. riparazione e vendita).

Capo II – Deroghe ed interpretazioni sull’applicazione delle leggi.
In particolare, la concomitanza temporale del varo dei provvedimenti statale e regionale del 1989 ha creato, non essendo i due interventi correlati e non integrativi o sostitutivi l’un dell’altro, molte difficoltà applicative, specialmente dove esistono sovrapposizioni previsionali che non contemplino gli stessi minimi prestazionali o gli stessi campi di applicazione (es. limitazione all’applicazione della normativa nazionale in relazione alla superficie degli esercizi commerciali, all’esenzione dalla normativa sul collocamento obbligatorio nei luoghi di lavoro, alle pendenze delle rampe, etc.).
La differenza più vistosa e rilevante dal punto di vista pratico consiste nel fatto che la normativa nazionale è applicabile alle nuove costruzioni e alle ristrutturazioni di interi edifici, mentre quella regionale si applica anche ai casi di ristrutturazione di singole unità immobiliari, di restauro e di risanamento conservativo e perfino di manutenzione straordinaria, sia pure solo se riguardano specificatamente le parti della costruzione, gli elementi e le attrezzature oggetto delle prescrizioni stesse.
La GRL, constatate le serie difficoltà operative, ha deliberato una prima Circolare esplicativa di raccordo tra le due norme, con la quale sancisce dignità di “principio” alla legge n. 13 e di prescrizione tecnica del D.M 236/89, specificando che la legge regionale n. 6/89 nell’applicare le norme di principio della legge nazionale emana sue prescrizioni tecniche che prevalgono su quelle statali, ove vi sia concomitanza di intervento o vuoto da parte della normativa statale.
Tra i casi che maggiormente hanno reso controversa l’applicazione normativa, vi sono:
– mutamenti di destinazione d’uso  senza esecuzione di opere
– deroghe
– obbligo dell’installazione dell’ascensore
– accessibilità degli spazi esterni in edifici unifamiliari.
Alcuni comuni, per ovviare la discrezionalità e l’incertezza applicativa della normativa nazionale e regionale, hanno inserito nel proprio Regolamento Edilizio una precisa definizione del concetto di edificio privato aperto al pubblico, oltre a stabilire che:
– l’insediamento di attività aperte al pubblico, derivante da mutamento di destinazione d’uso, con o senza opere, sia subordinato alla verifica dell’accessibilità dei locali,
– l’accessibilità deve essere garantita anche nel caso di interventi minori, quali trasformazioni interne, installazione o trasformazione di vetrine,
– l’accessibilità anche nel caso di opere di manutenzione straordinaria su percorsi comuni, quali scale, cortili, ecc. di pertinenza dei fabbricati.
– è necessario attenersi ai concetti base espressi dalla normativa generale e da quella locale, cui attenersi nella progettazione e nella realizzazione degli interventi.
Qualora, però, i comuni non siano dotati del Regolamento edilizio che definisca le tipologie d’intervento e le  relative prescrizioni tecniche applicative, bisogna attenersi alla disciplina nazionale e regionale e alle relative norme tecniche di attuazione.
L’articolo 5, comma 2, della legge regionale n. 6 del 1989, individua il campo di applicazione e genericamente stabilisce, alla lettera a), che la disciplina riguarda “gli edifici e i locali pubblici e di uso pubblico, ivi compresi gli esercizi di ospitalità” e non anche “agli edifici privati aperti al pubblico”.
Le prescrizioni tecniche di attuazione per l’eliminazione delle barriere architettoniche della LR 6/89 non prevedono specifiche norme per l’edilizia privata aperta al pubblico (punto 6, mentre il D.M. 236 del 1989, all’articolo 3 (Criteri generali di progettazione) dispone che nelle unità immobiliari sedi di attività aperte al pubblico, di superficie inferiore a 250 mq., il requisito della visitabilità si intende soddisfatto se sono accessibili gli spazi di relazione, nei quali il cittadino entra in rapporto con la funzione ivi svolta. (vedasi Allegato A al decreto ministeriale)
L’accessibilità, per tali luoghi, viene garantita:
– per gli spazi esterni quando sia accessibile il percorso principale, costituito dallo spazio pubblico  e dall’ingresso alla proprietà,
– per gli spazi di relazione  quando siano accessibili gli spazi in cui gli utenti vengono a contatto con la funzione ivi svolta; non viene assicurato l’accesso al bagno qualora il luogo di lavoro non soggiace al collocamento obbligatorio.
Un aspetto significativo della legge regionale è rappresentato dalle deroghe dall’applicazione della normativa sul superamento delle barriere architettoniche.
Il D.M. n. 236/89, attuativo della legge n. 13 del 1989, infatti,  già con l’articolo 7.5 prevede che negli interventi di ristrutturazione, fermo restando il rispetto dell’art. 1, comma 3 della legge (previsioni della progettazione), ammette deroghe alle norme del decreto in caso di dimostrata impossibilità tecnica connessa agli elementi strutturali ed impiantistici.
Anche nella legge regionale n. 6/89 sono previste deroghe e più precisamente:
– l’articolo 19, che prevede il rilascio del titolo abilitativo in deroga ai PRG o PGT, ai fini dell’abbattimento delle barriere architettoniche, per interventi di manutenzione straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo, nonché di ristrutturazione edilizia, su richiesta motivata e documentata a firma dell’estensore del progetto, esclusivamente per garantire la fruibilità e l’accessibilità di quelle strutture o di quegli spazi interessati dall’intervento per i quali non sia possibile intervenire secondo le prescrizioni della legge a causa di vincoli e delle limitazioni stabilite dagli strumenti urbanistici vigenti stessi.
– l’articolo 20, regolamenta i casi in cui è possibile rilasciare il permesso di costruire, ovvero, ammettere la presentazione della Dia, senza rispettare la normativa per l’eliminazione delle barriere architettoniche.
Il primo caso è relativo agli interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, limitatamente ai casi in cui il rispetto della normativa sia impedito dall’esistenza di vincoli posti a tutela di beni ambientali, artistici, archeologici, storici e culturali, ai sensi delle norme vigenti (legge n. 1497/39, legge n. 431/85, legge n. 1089/39, ora decreto legislativo n. 42 del 2004;
Il secondo caso si riferisce a qualsiasi tipo di intervento qualora  sia reso tecnicamente impossibile a causa degli elementi statici ed impiantistici degli edifici oggetto di intervento; in tal caso deve essere valutato anche l’aspetto economico relativo al superamento di tale impedimento.
In questi casi sarà possibile imporre, nell’atto autorizzativo, l’adozione di soluzioni tecniche che comunque salvaguardino le finalità della legge regionale 6/89, pur con riferimento a minimi prestazionali diversi da quelli previsti dall’Allegato alla legge stessa (comma 3).
Come si può notare sia il D.M. 236 del 1989 che le norme tecniche di attuazione della legge regionale n. 6 del 1989 ammettono deroghe per gli stessi motivi, qualora si parli di interventi edilizi di recupero edilizio, mentre gli interventi di cui all’articoli 6 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo Unico dell’Edilizia), quali appunto quelli di attività edilizia libera, sono esclusi dall’applicazione delle prescrizioni normative della legge  regionale n. 6 del 1989 nei limiti di cui al comma 2, dell’articolo 13 della stessa, che riguarda l’obbligo di applicare le prescrizioni dell’Allegato agli interventi di straordinaria manutenzione.
Il permesso edilizio in deroga all’Allegato tecnico alla legge  regionale n. 6/89 è, quindi, ammesso nei soli interventi di recupero edilizio e nei soli casi di impossibilità ad intervenire secondo le prescrizioni a causa di vincoli o di limitazioni del PRG (o PGT), ovvero di impossibilità tecnica connessa agli elementi statici ed impiantistici degli edifici oggetto dell’intervento.
Relativamente alla nozione di “edificio privato aperto al pubblico” è ragionevole  sostenere che comprenda tutti quegli ambienti  spazi o edifici privati dove si svolge un’attività professionalmente organizzata a scopo di lucro, diretta allo scambio ed alla produzione di servizi, quali, ad esempio, teatri, cinematografi, club privati, alberghi, ristoranti, centri commerciali, negozi, bar ed altri. Secondo la Corte Costituzionale (9 aprile 1970, n. 56) un locale deve considerarsi pubblico quando si accerti che in esso si svolge attività professionalmente organizzata a scopo di lucro diretta allo scambio e/o alla produzione di beni e servizi. La Cassazione ha attribuito il carattere pubblico ai locali che prevedono il pagamento di un biglietto d’ingresso, il rilascio di tessere, un biglietto d’ingresso, il rilascio di tessere associative a chiunque acquisti il biglietto, a quelli che pubblicizzano la propria attività o che abbiano una struttura tale da rendere evidente lo svolgimento di  un’attività imprenditoriale, nonché a quelli che consentano l’ingresso ad un rilevante numero di persone.
Sembra  pertanto pacifico che per le unità immobiliari che si identificano come sedi di attività aperte al pubblico, con superficie netta inferiore a mq. 250 mq. (in assenza di specifico regolamento comunale), devono risultare accessibili gli spazi di relazione nei quali il cittadino entra in rapporto con la funzione svolta (D.M. 236/89, art. 3.4-lett.e). Ne deriva che i locali aperti al pubblico, senza il collocamento obbligatorio, per gli interventi di ristrutturazione (e minori) sono subordinati al rispetto, in sede di presentazione del progetto, dei requisiti di visibitabilità e adattabilità. In queste unità immobiliari, sedi di attività aperte al pubblico, di superficie  netta inferiore a 250 mq, il requisito della visitabilità  si intende soddisfatto se, nei casi in cui sono previsti spazi di relazione nelle quali il cittadino entra in rapporto con la funzione ivi svolta, sono accessibili.
In tal caso l’accessibilità deve essere garantita per quanto riguarda:
a) gli spazi esterni; il requisito si considera soddisfatto se esiste almeno un percorso agevolmente fruibile anche da parte di persone con ridotte o impedite capacità motorie o sensoriali; si tratta, quindi di garantire un percorso esterno accessibile con la viabilità pubblica, che consenta l’accessibilità agli spazi di relazione.
b) le parti comuni (se ce ne sono).

Non deve essere, invero, richiesta l’accessibilità al servizio igienico per edilizia privata aperta al pubblico che abbia superficie inferiore a mq. 250.
L’accessibilità deve prevedere porte esterne allo stesso livello dei percorsi pedonali (marciapiede o sede stradale) o con essi raccordati mediante rampe e nel rispetto delle seguenti prestazioni minime:
– gli accessi devono avere una luce netta minima di mt. 1,50
– zone antistanti e retrostanti l’accesso devono essere in piano, estendersi per ciascuna zona per una profondità non inferiore a mt. 1,50 ed essere protette dagli agenti atmosferici,
– il piano dei collegamenti verticali deve essere allo stesso livello dell’accesso,
– eventuali differenze di quota non devono superare i cm. 2,5 ed essere sempre arrotondati; in caso contrario devono essere raccordati con rampe conformi a quanto previsto dallo stesso Allegato (punto 2.1.2)
Per interventi sul patrimonio edilizio esistente, pertanto, bisogna rispettare le prescrizioni sopra esposte, salvo richiedere la deroga prevista dalle norme citate nel caso di impossibilità tecnica documentata, ovvero, nel caso sia possibile, adottare sistemi o accorgimenti tecnici che, in linea con le prescrizioni tecniche previste, consentano di assolvere al requisito dell’accessibilità all’unità immobiliare e ai suoi spazi di relazione.
Questo potrebbe essere il caso di modesti dislivelli tra la sede stradale o il marciapiede e il pavimento d’accesso dei locali privati aperti al pubblico, per i quali  può essere consentita, nei casi in cui l’esecuzione delle opere per rendere accessibili i locali, oltre a  compromettere le strutture o gli impianti dell’edificio non possono occupare il suolo pubblico, consentano di installare una rampa in legno che abbia le caratteristiche di quelle prescritte dal punto 2.1.2 dell’Allegato. In questo caso, però è necessario un meccanismo di chiamata secondo le prescrizioni delle stesse norme tecniche.
Si tenga conto infatti che per gli interventi sul patrimonio edilizio esistente (esclusa la ristrutturazione edilizia) è possibile invocare la “visitabilità condizionata” prevista dall’articolo 5.7 del D.M. n. 236 del 1989.
La norma sopra richiamata infatti  stabilisce che, negli edifici, unità immobiliari o ambientali aperti al pubblico esistenti, che non vengano sottoposti a ristrutturazione e che non siano in tutto o in parte rispondenti ai criteri per l’accessibilità  contenuti nel decreto, ma nei quali esista la possibilità di fruizione mediante personale di aiuto anche per le persone a ridotta o impedita capacità motoria, deve essere posto in prossimità dell’ingresso un apposito pulsante di chiamata al quale deve essere affiancato il simbolo internazionale di accessibilità di cui all’articolo 2 del dPR 384 del 1978.
Il tutto deve essere rappresentato sul progetto e contenuto nella relazione tecnica da allegare alla richiesta del permesso di costruire o alla presentazione della Dia, quale soluzione alternativa alle prescrizioni di legge, ma pur sempre conformi ad esse.

Capo III –  Mutamento della destinazione d’uso senza esecuzione di opere.
Nel caso di modifica della destinazione d’uso le norme di riferimento sono contenute nell’articolo 24.6 della legge n. 104 del 1992, nell’articolo 1.3 del dPR n. 503 del 1996 e nell’articolo 21.1 della legge regionale n. 6 del 1989.
Le tre norme sopra citate riguardano sostanzialmente le modifiche  destinate ad un utilizzo di carattere collettivo, con obbligo di osservare le prescrizioni della legge regionale n. 6 del 1989 e articolo 24 della legge n. 104 del 1992, mentre per la residenza e altra attività non aperte al pubblico, non viene previsto alcun adempimento
Ne consegue che, fermo restando gli obblighi prescritti per i luoghi pubblici di dimostrare l’accessibilità dell’intera struttura, per gli spazi aperti al pubblico (non rientranti nella precedente categoria (quali negozi, banche, assicurazioni, etc), deve essere  dimostrata l’accessibilità della parte della struttura in cui si entra in relazione con la specifica destinazione d’uso.
Fermo restando le norme sopra richiamate, vale quanto sopra già detto e cioè che i comuni possono inserire nel  proprio Regolamento Edilizio le tipologie d’intervento e le  relative prescrizioni tecniche applicative, anche per i casi che prevedano la modifica della destinazione d’uso senza opere, che riguardano l’abbattimento delle barriere architettoniche.
In sintonia con l’articolo 25 della legge n. 47 del 1985, il legislatore regionale doveva provvedere a dettare la disciplina di regolamentazione della destinazione d’uso.  Il legislatore nazionale, con la legge 104 del 1992 ha previsto che la richiesta di modifica di destinazione d’uso sia accompagnata dalla dichiarazione sull’accessibilità e superamento delle barriere architettoniche (questo anche nel caso di modificazioni d’uso senza opere).
Prima con l’articolo 3 della legge regionale n. 19 del 1992 e successivamente con l’articolo 52 della legge regionale n. 12 del 2005, il legislatore regionale ha stabilito che i mutamenti di destinazione d’uso di immobili, anche non comportanti la realizzazione di opere edilizie, purché conformi alle previsioni urbanistiche comunali, sono soggette esclusivamente a preventiva comunicazione dell’interessato al comune.
Il cambio di destinazione d’uso degli immobili è di fatto tuttora regolamentato, sul territorio regionale, dall’articolo 21 della legge regionale Lombardia n. 6 del 1989 che prevede che il  Sindaco accerti il possesso, da parte dell’immobile, delle caratteristiche previste in materia di barriere architettoniche, (in caso di richiesta di modificazione d’uso) quando sia necessaria o “la concessione” o “l’autorizzazione”, rimanendo, pertanto esclusi i mutamenti di destinazione d’uso, senza effettuazione di opere, demandati alla semplice comunicazione al comune in base all’articolo 52 della LR 12/05.
Di particolare importanza ed interesse, al fine di rendere gli edifici e le unità immobiliari ed ambientali accessibili, superando pertanto l’ostacolo rappresentato dalle barriere architettoniche, è quanto previsto dall’articolo 5.7 del D.M. n. 236 del 1989.
Con questo disposto di legge, avente ad oggetto: «Visitabilità condizionata», si consente, in sostanza, al proprietario di un edificio privato di uso pubblico che sia in tutto o in parte non rispondente ai criteri per l’accessibilità, di rendere il manufatto edilizio pienamente usufruibile anche alle persone con ridotta o impedita capacità motoria, attraverso interventi molto semplici e poco costosi.
E’ sufficiente che in prossimità dell’accesso venga posto un apposito pulsante di chiamata al quale venga affiancato il simbolo internazionale della disabilità e che all’interno dell’edifico ci sia personale in grado di aiutare il disabile a superare la barriera architettonica esistente.
L’unica condizione affinché ci si possa avvalere dell’istituto della visitabilità condizionata è che l’edifico o unità immobiliare o ambientale non venga sottoposta a ristrutturazione, ma rientri nei casi di manutenzione ordinaria, di manutenzione straordinaria,  di restauro e di risanamento conservativo previsti dall’articolo 3 del dPR n. 380 del 2001.
Da quanto sinora esposto ne discende un quadro legislativo e normativo che, per quanto riguarda la regione Lombardia, gradua i possibili e necessari interventi per rendere gli edifici privati aperti al pubblico nel seguente modo:
– cambi di destinazione d’uso senza opere: applicare la visitabilità condizionata ex art. 5.7 del D.M. 236/89,
– cambi di destinazione d’uso con interventi che ricadono nell’articolo 27, comma 1, lettere a), b) e c) della LR n. 12 del 2005: applicazione dell’istituto della visitabilità condizionata, ex articolo 5.7 del D.M. n. 236 del 1989,
– cambi di destinazione d’uso con interventi di ristrutturazione: applicazione delle disposizioni antibarriere vigenti.

Capo IV – Attività edilizia libera.
E’ rappresentata dagli  interventi edilizi previsti dall’articolo 6 del dPR n. 380 del 2001 che possono essere eseguiti senza alcun titolo abilitativo (permesso di costruire o Dia).
Alcuni di questi sono subordinati alla sola preventiva comunicazione di inizio lavori al comune, con l’obbligo per quelli di manutenzione straordinaria (lettera a)comma 2) di ulteriori adempimenti.
Il comma 1 dell’articolo 6 fa salve, però, le previsioni dello strumento urbanistico comunale e il rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia (quindi, aggiungerei a quelle elencate dal testo, anche quella in materia  di barriere architettoniche).
Alle regioni spetta il compito di regolamentare ulteriormente tale disciplina.
La regione Lombardia ha adeguato le proprie normative all’articolo 5, comma 2, del DL 70/2011 e all’articolo 19 della legge 241 del 1990, ribadendo, di fatto, l’esecuzione degli interventi di cui all’articolo 6, comma 1, lettera a), b), c), d) ed e), dPR 380/01 senza obbligo di titolo abilitativo e alla semplice preventiva comunicazione di inizio lavori al comune per quelli elencati al successivo comma 2.
Gli interventi di manutenzione straordinaria, pertanto, che rientrano nella fattispecie di cui all’articolo 6, comma 2, lettera a), dPR 380/01, sono ammessi all’inizio dei lavori, previa semplice comunicazione o, in alternativa, alla SCIA o alla DIA.
Resta però il problema di valutare, per quanto riguarda  l’aspetto degli obblighi derivanti dall’osservanza delle norme in materia di barriere architettoniche, dei requisiti della visitabilità e accessibilità, come sopra esposto.


ANCE Brescia - Riproduzione e utilizzazione riservata ai sensi dell’art. 65 della Legge n. 633/1941