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Servizio Sindacale - referenti: dott. Alessandro Scalvi - dott. Marco Tenca
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07.08.2012 - lavoro

LEGGE N. 92/2012 – RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO – PRIME INDICAZIONI – MINISTERO DEL LAVORO CIRCOLARE N. 18/2012

Sul Supplemento ordinario n. 136 della Gazzetta Ufficiale n.153 del 3 luglio 2012 è stata pubblicata la Legge n. 92 del 28 giugno 2012 recante”Disposizioni generali, tipologie contrattuali e disciplina in tema di flessibilità in uscita e tutele del lavoratore”.
Salvo quanto espressamente previsto per alcune disposizioni, la Legge è entrata in vigore lo scorso 18 luglio 2012. Di seguito si pubblica un primo commento sugli aspetti di immediato interesse, anche in considerazione dei chiarimenti forniti dal Ministero del Lavoro con circolare n. 18 del 18 luglio 2012.

1) Dimissioni – art. 4 commi da 16 a 23
La riforma prevede, per le dimissioni decorrenti dal 18 luglio 2012, una procedura specifica mirata a verificare la volontà del lavoratore di dimettersi o di prestare il proprio consenso alla risoluzione consensuale del rapporto. Tale procedura si realizza attraverso una delle due seguenti modalità:
– convalidare le dimissioni presso la competente Direzione Territoriale del Lavoro – DTL – ovvero al Centro per l’Impiego. Tale procedura consiste, a parere del Ministero, nella semplice verifica da parte della DTL, senza particolari formalità istruttorie, della genuina manifestazione di volontà del lavoratore a cessare il rapporto di lavoro;
– (ovvero) il lavoratore deve sottoscrivere una dichiarazione apposta in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro. Si tratta del modello Uni-Lav che il datore di lavoro deve obbligatoriamente inviare al Centro per l’Impiego per comunicare la cessazione del rapporto di lavoro.
Il Ministero, con circolare n. 18/2012, ha chiarito che la convalida non è richiesta nelle ipotesi in cui la cessazione del rapporto rientri nelle procedure di riduzione del personale effettuate in una sede qualificata istituzionale o sindacale, che garantiscono comunque la genuinità del consenso del lavoratore.
Nell’ipotesi in cui il lavoratore non proceda alla convalida ovvero alla sottoscrizione, il datore di lavoro, entro il termine di trenta giorni dalla data delle dimissioni o della risoluzione consensuale, deve inviare al lavoratore una comunicazione scritta, allegando la copia della ricevuta di trasmissione del modello Uni-Lav, al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dal lavoratore al datore di lavoro, ovvero consegnare tale comunicazione al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta. Nella comunicazione inviata deve essere contenuto l’invito, rivolto al lavoratore, a presentarsi presso la DTL ovvero il Centro per l’Impiego ovvero ad apporre la sottoscrizione in calce alla ricevuta del modello Uni-Lav.
Il rapporto di lavoro si intende risolto qualora il lavoratore non aderisca, entro sette giorni dalla ricezione, all’invito a presentarsi.
In questi sette giorni, che possono sovrapporsi con il periodo di preavviso, il lavoratore ha facoltà di revocare le dimissioni o la risoluzione consensuale. La revoca può essere comunicata in forma scritta. Il contratto di lavoro, se interrotto per effetto del recesso, torna ad avere corso normale dal giorno successivo alla comunicazione della revoca. Per il periodo intercorso tra il recesso e la revoca, qualora la prestazione lavorativa non sia stata svolta, il prestatore non matura alcun diritto retributivo. Alla revoca del recesso conseguono la cessazione di ogni effetto delle eventuali pattuizioni a esso connesse e l’obbligo in capo al lavoratore di restituire tutto quanto eventualmente percepito in forza di esse.
Qualora, in mancanza della convalida ovvero della sottoscrizione, il datore di lavoro non provveda a trasmettere al lavoratore la comunicazione contenente l’invito entro il termine di trenta giorni dalla data delle dimissioni o della risoluzione consensuale, le dimissioni si considerano definitivamente prive di effetto.
Da ultimo si segnala che la riforma è intervenuta modificando la disciplina in materia di dimissioni o di risoluzione consensuale effettuatedurante il periodo di gravidanza e nei primi anni di vita del bambino. E’ ora necessaria la convalida presso la DTL quando le dimissioni, o la risoluzione consensuale, intervengano entro i primi tre anni di vita del bambino, o di accoglienza nel caso di adozione o affidamento (prima era entro un anno).

2) Contratto a tempo determinato – art. 1 commi da 9 a 13
Secondo l’art. 1 del D.Lgs. n. 368/2001, in via generale, è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato solo a fronte della chiara esplicitazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro, che fondano la apposizione del termine (il c.d. “causalone”).
La Legge in parola introduce a questo principio due importanti eccezioni.
E’ ora possibile stipulare contratti a tempo determinato senza indicare le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo in due casi:
a) nell’ipotesi del primo rapporto a tempo determinato, di durata non superiore a dodici mesi, concluso fra un datore di lavoro e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione.
La deroga all’esplicitazione della causa – e dunque la stipula di un contratto a tempo determinato acausale – trova applicazione una e una sola volta tra due medesimi soggetti stipulanti il contratto a tempo determinato. In altre parole, nel caso in cui il lavoratore venga assunto a tempo determinato da un datore di lavoro con cui ha, precedentemente, intrattenuto un primo rapporto lavorativo di natura subordinata è necessario indicare la causa.
Poiché il Ministero ha chiarito che il termine di 12 mesi non costituisce una franchigia – o comunque un periodo in qualche modo frazionabile – ne deriva che il contratto a termine senza l’indicazione della causa:
– non può essere oggetto di proroga, nemmeno se il primo rapporto acausale ha avuto durata inferiore a 12 mesi;
– nel caso di un primo rapporto a tempo determinato di durata inferiore a 12 mesi – e dunque senza l’indicazione della causa – per una successiva assunzione a tempo determinato devono essere indicate le ragioni che lo giustificano, anche se la durata complessiva dei due rapporti è inferiore a 12 mesi.

b) al ricorrere di specifiche previsioni che verranno dettate dai contratti collettivi di lavoro. Tale ipotesi, dunque, al momento non è operativa.
La Legge in commento conferma che il periodo massimo di occupazione a tempo determinato, presso lo stesso datore di lavoro e per lo svolgimento di mansioni equivalenti, è di 36 mesi, comprensivo di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro. Qualora tale periodo sia superato, il rapporto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza del predetto termine. Nel computo di tale periodo di 36 mesi si deve tener conto anche dei periodi di somministrazione a tempo determinato.
La riforma, inoltre, modifica la disciplina prevista sia per il caso in cui il rapporto di lavoro continui dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, sia per il caso di successione di contratti a tempo determinato. Più precisamente:

– il contratto si considera a tempo indeterminato qualora il rapporto di lavoro continui oltre il trentesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, ovvero oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi (prima il periodo di tolleranza era, rispettivamente, di 20 e 30 giorni);

– qualora il lavoratore venga riassunto a termine entro un periodo di sessanta giorni dalla data di scadenza di un precedente contratto di durata fino a sei mesi, ovvero novanta giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato (prima l’intervallo da rispettare era, rispettivamente, di 10 e 20 giorni).
Viene, infine, stabilito che l’impugnazione del contratto per nullità del termine apposto deve avvenire entro 120 giorni a decorrere dalla cessazione del contratto, mentre il deposito del ricorso dovrà avvenire entro i successivi 180 giorni.
Dal 1° gennaio 2013, è prevista l’introduzione di un contributo Inps addizionale pari all’1,4% a carico del datore di lavoro ai rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato, fatti salvi, per quanto di interesse del settore, i lavoratori assunti a termine in sostituzione di lavoratori assenti o lavoratori assunti come apprendisti. Tale contributo, nei limiti delle ultime 6 mensilità, sarà restituito al datore di lavoro in caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato anche qualora tale assunzione avvenga entro un termine di 6 mesi dalla cessazione del precedente contratto a termine.

3) Apprendistato – art.1 commi da 16 a 19
La riforma rispetta sostanzialmente l’impianto del D.Lgs. n. 167/2011 – c.d. Testo Unico sull’apprendistato – apportando però talune modifiche già in vigore dal 18 luglio 2012 (altre invece entreranno in vigore successivamente) quali:
– la previsione della durata minima del contratto di apprendistato che non potrà essere inferiore a sei mesi, fatte salve le eccezioni previste dal testo unico sull’apprendistato;
– la previsione che, durante il periodo di preavviso, decorrente dal termine del periodo di formazione, continua ad applicarsi la disciplina dell’apprendistato in materia di trattamento economico, normativo e contributivo;
– la previsione che, con riguardo ai soli datori di lavoro con più di 10 lavoratori, l’assunzione di nuovi apprendisti è subordinata alla prosecuzione del rapporto di lavoro, nei trentasei mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il 50% degli apprendisti dipendenti dal datore di lavoro. Per un periodo di tre anni decorrente dal 18 luglio 2012, data di entrata in vigore della legge in esame, la predetta percentuale di stabilizzazione è però fissata nel 30%. Pertanto la percentuale del 50% andrà verificata in relazione alle assunzioni effettuate a decorrere dal 18 luglio 2015. Dal computo della percentuale sono esclusi i rapporti cessati per recesso durante il periodo di prova, per dimissioni o per licenziamento per giusta causa. Qualora non sia rispettata la prevista percentuale, è consentita l’assunzione di un ulteriore apprendista rispetto a quelli già confermati, ovvero di un apprendista nell’ipotesi di totale mancata conferma degli apprendisti pregressi. Gli apprendisti assunti in violazione dei limiti sopra richiamati saranno considerati lavoratori subordinati a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto.

4) Lavoro a progetto – art.1 commi da 23 a 25
Per i contratti stipulati successivamente al 18 luglio 2012 la riforma prevede che il progetto deve essere collegato a un determinato risultato finale, non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente, avuto riguardo al coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa, non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi. La contrattazione collettiva nazionale potrà individuare quali siano tali mansioni.
Ai fini della prova, il contratto di lavoro dovrà contenere una puntuale descrizione del progetto, con l’individuazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato finale. In assenza di tale progetto il rapporto si intende di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Il compenso corrisposto ai collaboratori a progetto deve essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro eseguito e non può essere inferiore ai minimi stabiliti dai contratti collettivi per mansioni equiparabili.
In tema di recesso la legge in commento dispone che il committente può recedere prima della scadenza del termine solo quando siano emersi oggettivi profili di inidoneità professionale del collaboratore tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto. Il collaboratore può recedere prima della scadenza del termine, dandone preavviso, nel caso in cui tale facoltà sia prevista nel contratto individuale di lavoro. Entrambe le parti possono poi recedere dal contratto, prima della scadenza del termine, per giusta causa.
Salvo prova contraria, a carico del committente, si presume che il rapporto di lavoro sia di natura subordinata, sin dalla data di costituzione del rapporto stesso, se l’attività del collaboratore è svolta con modalità analoghe a quella svolta dai lavoratori dipendenti dell’impresa committente, fatte salve le prestazioni di elevata professionalità che possono essere individuate dai contratti collettivi stipulati al livello nazionale.

5) Altre prestazioni rese in regime di lavoro autonomo – commi 26 e 27
La norma introduce la presunzione in base alla quale le prestazioni lavorative rese da persona titolare di partita IVA sono considerate, salvo prova contraria da parte del committente, rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, in presenza di almeno 2 dei seguenti presupposti:
a) la durata della collaborazione sia complessivamente superiore agli 8 mesi nell’arco dell’anno solare;
b) il corrispettivo costituisca più dell’80% dei corrispettivi percepiti nell’arco dell’anno solare (anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro di imputazione di interessi);
c) il collaboratore abbia una postazione fissa presso una delle sedi del committente.

La presunzione non opera se la prestazione è connotata da elevate competenze teoriche o tecnico-pratiche, o sia svolta da un soggetto con un reddito annuo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali (che per l’anno 2012 è pari a circa 18.700 euro) o, infine, richieda, per il suo svolgimento, l’iscrizione ad un ordine professionale.
Per i rapporti instaurati successivamente al 18 luglio 2012, laddove manchi il progetto, il rapporto sarà considerato subordinato a tempo indeterminato, a partire dalla data di stipulazione del contratto.
Per i rapporti instaurati prima del 18 luglio 2012 il legislatore ha concesso 12 mesi di tempo per procedere ai necessari ed eventuali aggiustamenti. Pertanto dal 18 luglio 2013 la medesima disciplina – conversione in contratto a tempo indeterminato – si applicherà anche ai rapporti instaurati prima del 18 luglio 2012.

6) Associazione in partecipazione – art.1 commi da 28 a 31
E’ stato introdotto un limite di 3 associati impegnati in una medesima attività, escludendo associati legati con l’associante da rapporto coniugale, vincoli di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo.
In caso di violazione di tale limite o nel caso di mancata partecipazione agli utili dell’impresa da parte dell’associato ovvero in caso di mancata consegna del rendiconto, il rapporto di lavoro si considererà subordinato a tempo indeterminato.

7) Lavoro accessorio – art. 1 commi 32-33
La riforma prevede una limitazione alla possibilità di ricorrere a questa tipologia contrattuale.
Dal 18 luglio 2012 sono considerate prestazioni di lavoro accessorio quelle che non danno luogo a compensi superiori:
– a 5.000 euro per anno solare con riferimento alla totalità dei committenti;
– a 2.000 euro per anno solare con riferimento ad un singolo committente, imprenditore commerciale o professionista.

8) Licenziamento individuale – art. 1 commi da 37 a 41
La riforma non modifica il regime delle causali che possono giustificare il licenziamento (giusta causa o giustificato motivo, soggettivo o oggettivo), che rimangono quelle note, ma oltre a ritoccare significativamente alcuni aspetti, modifica il regime degli effetti che conseguono ad un licenziamento illegittimo come si dirà nel successivo punto.
Le modifiche sono operative per i licenziamenti intimati dal 18 luglio 2012.

a) Indicazione dei motivi del licenziamento
Si rileva in primo luogo che è stato esteso a tutte le ipotesi di licenziamento l’obbligo di indicare i motivi del licenziamento contestualmente alla comunicazione del licenziamento medesimo.

b) Applicabilità della procedura disciplinare per i licenziamenti per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo
La riforma ha modificato l’art. 7, comma 1, della Legge n. 604/1966 che ora prevede l’applicabilità dell’art. 7 della Legge n. 300/1970 per i licenziamenti per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo.
Ad una prima lettura, che dovrà essere confermata, con tale previsione pare che il legislatore abbia inteso chiarire, definitivamente, che anche per queste tipologie di licenziamenti trovi applicazione la disciplina prevista per le contestazioni disciplinari. Il mancato rispetto di tali formalità è sanzionato, come si dirà, con la condanna del datore di lavoro ad un risarcimento in forma ridotta.

c) Comunicazione preventiva alla DTL – Imprese con più di 15 dipendenti
La legge in commento introduce un nuovo adempimento a carico del datore di lavoro con più di 15 dipendenti che voglia procedere ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo (licenziamento per motivi economici; ad esempio: soppressione del posto di lavoro, ristrutturazione di reparti, terziarizzazione ed esternalizzazione di attività, ultimazione cantiere, fine fase produttiva). In questa ipotesi il datore di lavoro deve inviare una comunicazione preventiva alla Direzione Territoriale del Lavoro – DTL – e per conoscenza al lavoratore. La comunicazione deve indicare i motivi per i quali si procede al licenziamento e le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore. Con tale comunicazione si avvia una procedura di tentativo di conciliazione volta ad esaminare anche eventuali soluzioni alternative al recesso che terminerà nei 20 giorni successivi alla comunicazione dal momento che la DTL ha trasmesso la convocazione per l’incontro, salvo il caso in cui le parti non ritengano di dover proseguire la discussione per raggiungere un accordo.
Se la conciliazione riesce, il rapporto cessa per mutuo consenso e si applicano le disposizioni in materia di Aspi – Assicurazione sociale per l’impiego – che entrerà in vigore dal gennaio 2013 ma sarà a pieno regime solo dal 2016.
Se invece la conciliazione fallisce ovvero se la DTL non provvede a convocare le parti entro 7 giorni dalla ricezione della comunicazione del datore di lavoro, l’impresa potrà comunicare il licenziamento al lavoratore che ha comunque effetto dal momento della comunicazione iniziale del procedimento.

9) Conseguenze del licenziamento illegittimo
Con la riforma in commento è stato riscritto l’art. 18 della Legge n. 300/1970 con la nuova rubrica “Tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo”.
Come detto sono rimaste invariate le causali che legittimano il ricorso al licenziamento, ma sono state modificate le conseguenze connesse alla illegittimità del licenziamento del medesimo prevedendo cinque diversi tipi di effetti. L’attuale quadro normativo – in vigore dal 18 luglio 2012 – si sintetizza come segue:

A) Per tutte le imprese indipendentemente dal numero di lavoratori in forza

– 1 – Reintegrazione piena (art. 18, commi 1, 2 e 3)
Si applica al licenziamento viziato in quanto, ad esempio, intimato in forma orale, ovvero perché discriminatorio, intimato in concomitanza con periodi di “tutela rafforzata” a seguito di matrimonio o per esigenze di tutela e sostegno della maternità e della paternità, ovvero perché riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge.
In questa ipotesi, il giudice oltre che dichiarare nullo il licenziamento, condanna il datore di lavoro:
– alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro. Al lavoratore è data la facoltà di chiedere, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro e non è assoggettata a contribuzione previdenziale. A seguito dell’ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l’indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro;
– al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito dal lavoratore, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. Il datore di lavoro è condannato inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

 B) Per le sole imprese con meno di 15 dipendenti

– 2 – Imprese con meno di 15 dipendenti (art. 8 Legge n. 604/1966)
Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro é tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti.

C) Per le sole imprese con più di 15 dipendenti

– 3 – Reintegrazione depotenziata o attenuata (art. 18, commi 4 e 7) – Imprese con più di 15 dipendenti
Si applica al licenziamento viziato perché, ad esempio, intimato non ricorrendo gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni del contratto collettivo, o intimato in violazione della disciplina sul comporto di malattia, ovvero intimato per ragioni di inidoneità fisica o psichica in violazione della disciplina sui disabili, ovvero in materia di licenziamenti collettivi, perché posto in essere in violazione dei criteri di scelta.
In questa ipotesi, il giudice oltre che annullare il licenziamento, condanna il datore di lavoro:
– alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, come nel caso precedente;
– al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto sia quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, sia quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell’indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto;
– al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione e dedotto quanto eventualmente accreditato al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altra attività lavorativa.

– 4 – Risarcimento pieno (art. 18, comma 5) – Imprese con più di 15 dipendenti
Si applica al licenziamento viziato perché, nelle ipotesi diverse dalle precedenti, non ricorrono gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo indicati dal datore di lavoro ovvero, nei licenziamenti collettivi, quando siano stati commessi vizi procedurali non sanati.
In questa ipotesi, il giudice nel dichiarare comunque risolto il rapporto di lavoro dalla data del licenziamento, condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti.

 – 5 – Risarcimento ridotto (art. 18, comma 6) Imprese con più di 15 dipendenti
Si applica al licenziamento viziato per motivi procedurali come, ad esempio nel caso di licenziamento intimato senza aver indicato la motivazione ovvero senza il rispetto della procedura di cui alla precedente lett. c) del precedente punto 8) ovvero della procedura formale prevista in materia di licenziamenti disciplinari di cui alla Legge n. 300/1970.
In questa ipotesi, il giudice nel dichiarare inefficace il licenziamento, condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Peraltro qualora il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, applica, in luogo di quelle sopra richiamate, le tutele previste per la più grave violazione.

 10) Controversie in materia di licenziamenti – art. 1 commi da 47 a 68
Per le controversie instaurate dal 18 luglio 2012 e relative all’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi previste dal nuovo art. 18 della legge n. 300 del 1970 (anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro) viene definito un rito processuale “semplificato” caratterizzato dall’introduzione di due distinte fasi processuali all’interno del primo grado di giudizio.
Una prima fase, necessaria, volta ad assicurare una tutela urgente del lavoratore e che si conclude con una rapida decisione di accoglimento o meno della domanda.
Una seconda fase, eventuale, che prende avvio con l’opposizione alla prima decisione, da proporsi tramite ricorso, e che ricalca la struttura ordinaria del giudizio di merito di primo grado davanti al giudice del lavoro, già previsto dal codice di procedura civile.
La decisione di primo grado è suscettibile di reclamo davanti alla Corte di Appello a sua volta suscettibile di ricorso alla Corte di Cassazione.

11) Licenziamenti collettivi – art. 1 commi da 44 a 46
La comunicazione dell’elenco dei lavoratori collocati in mobilità, ai sensi dell’art. 4, comma 9 della legge n. 223/1991, può essere, ora, effettuata entro 7 giorni dalla comunicazione dei recessi e non più “contestualmente” ad essi. Si prevede, inoltre, espressamente la possibilità di sanare eventuali vizi relativi alla comunicazione di avvio della procedura con accordi sindacali conclusi durante la procedura di licenziamento collettivo.

12) Collocamento obbligatorio – art. 4 comma 27
Premesso che è confermato che per le imprese del settore edile non si computa il personale di cantiere e gli addetti al trasporto del settore, la riforma ha previsto – evidentemente con riferimento al personale non di cantiere e per le imprese diverse da quelle edili – che:
– ora sono da computarsi anche i lavoratori assunti a tempo determinato con durata non superiore a nove mesi;
– indipendentemente dall’inquadramento previdenziale dei lavoratori è considerato personale di cantiere anche quello direttamente operante nei montaggi industriali o impiantistici e nelle relative opere di manutenzione svolte in cantiere. Sono altresì esentati dal predetto obbligo i datori di lavoro pubblici e privati del solo settore degli impianti a fune.


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