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03.11.2025 - lavori pubblici

CODICE APPALTI – LA COMMISSIONE EUROPEA CON LA TERZA LETTERA DI MESSA IN MORA INVITA L’ITALIA A CONFORMARSI ALLE DIRETTIVE UE SUGLI APPALTI PUBBLICI

Ance Brescia comunica che la Commissione europea ha inviato all’Italia una terza lettera di costituzione in mora supplementare (procedura INFR(2018)2273) per il mancato recepimento corretto di alcune disposizioni delle Direttive europee sugli appalti pubblici (2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE).

Secondo la Commissione, le nuove norme del Codice dei contratti pubblici adottate nell’aprile 2023 e modificate nel dicembre 2024 non sono ancora pienamente conformi alle direttive europee, in particolare per quanto riguarda le procedure di aggiudicazione dei contratti di project financing e le regole sulla divulgazione dei segreti tecnici e commerciali contenuti nelle offerte di gara.

Accesso agli atti e tutela dei segreti commerciali

La Commissione riconosce che il Codice aggiornato consente di escludere dall’ostensione documentale le informazioni costituenti segreti tecnici o commerciali.

Tuttavia, il comma 5 dell’art. 35 stabilisce che l’accesso sia sempre consentito al concorrente se indispensabile alla difesa in giudizio dei propri interessi, senza lasciare alla stazione appaltante la possibilità di esercitare un bilanciamento discrezionale.

Secondo Bruxelles, tale impostazione viola gli articoli 21, 50 e 55 della direttiva 2014/24/UE, che prevedono la possibilità di negare, caso per caso, la divulgazione di informazioni la cui diffusione possa pregiudicare la concorrenza o i legittimi interessi commerciali di un operatore.
La Corte di giustizia dell’Unione europea ha chiarito che il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva non può tradursi in un accesso illimitato e automatico ai dati riservati: spetta all’amministrazione aggiudicatrice valutare in concreto se e in quale misura la riservatezza debba prevalere.

La disciplina italiana, imponendo un automatismo a favore dell’accesso “difensivo”, sottrae alla stazione appaltante tale potere di bilanciamento, ponendosi così in contrasto non solo con la direttiva 2014/24/UE, ma anche con le direttive 2014/23/UE (concessioni) e 2014/25/UE (settori speciali).

Finanza di progetto: trasparenza e concorrenza insufficienti

Il secondo rilievo colpisce l’articolo 193 del Codice, che disciplina la finanza di progetto.
La Commissione contesta che l’attuale procedura, pur articolata in due fasi — selezione del progetto e gara per la concessione —, non assicuri adeguate garanzie di pubblicità, parità di trattamento e proporzionalità.

Le principali criticità riguardano:

  • la mancanza di un bando europeo: la pubblicazione nella sezione “Amministrazione trasparente” non equivale alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea, come previsto dagli articoli 31 e 33 della direttiva 2014/23/UE;
  • il diritto di prelazione del promotore: la possibilità per il proponente di subentrare all’aggiudicatario, alle stesse condizioni, è considerata distorsiva della concorrenza e contraria ai principi di non discriminazione e trasparenza;
  • il rimborso spese fino al 2,5% del valore dell’investimento, posto a carico dell’aggiudicatario, è ritenuto disincentivante e sproporzionato, in assenza di criteri oggettivi per la verifica dei costi.

Nel complesso, Bruxelles ritiene che la disciplina italiana della finanza di progetto “privi la legislazione dell’UE del suo effetto utile”, generando un sistema eccessivamente discrezionale e potenzialmente elusivo delle regole europee sugli affidamenti di concessioni.

 

L’Italia dispone ora di due mesi per rispondere e affrontare le criticità sollevate.

In assenza di una risposta che dimostri l’avvenuto allineamento normativo, la procedura di infrazione proseguirà attraverso i seguenti passi:

  1. parere motivato: la Commissione può decidere di emettere un “parere motivato”, un documento formale che ribadisce le violazioni contestate e concede all’Italia un ulteriore termine (solitamente due mesi) per conformarsi al diritto UE;
  2. deferimento alla Corte di Giustizia (CGUE): se il parere motivato resta inascoltato, la Commissione deferisce l’Italia alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE). In caso di condanna da parte della CGUE e di persistente mancato adeguamento, la conseguenza più grave è l’imposizione di sanzioni pecuniarie (somme forfettarie e/o penalità di mora) a carico dello Stato italiano.

Ma oltre alle sanzioni, la non conformità espone l’Italia anche a un rischio significativo di contenzioso nazionale. Gli operatori economici, che ritengono di aver subito un danno a causa di norme nazionali in contrasto con il diritto UE, potrebbero fare ricorso ai tribunali interni, che sono tenuti a disapplicare la norma nazionale a favore di quella europea.

Il termine perentorio di due mesi potrebbe spingere il legislatore a adottare in urgenza un nuovo decreto correttivo o un’altra iniziativa legislativa mirata per emendare le parti del Codice dei contratti pubblici specificamente contestate.

L’obiettivo è dimostrare alla Commissione europea l’eliminazione delle carenze prima che la procedura d’infrazione giunga alla fase di parere motivato, scongiurando il rischio di una condanna formale e delle relative conseguenze economiche.

Gli uffici di Ance Brescia rimangono a disposizione per eventuali chiarimenti.

 


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