CONSIGLIO DI STATO SI ESPRIME SU AVVALIMENTO E CERTIFICAZIONE PARITÀ DI GENERE
(Consiglio di Stato, Sentenza n. 5345 del 18 giugno 2025)
«È consentito ricorrere all’avvalimento per la dimostrazione del possesso del requisito premiale della certificazione della parità di genere ma il relativo contratto deve individuare le risorse umane e materiali, i protocolli organizzativi e i piani aziendali messi concretamente a disposizione dell’ausiliato» Consiglio di Stato con la sentenza n. 5345 del 18 giugno 2025.
La controversia riguarda l’esito di una procedura aperta sopra soglia per la fornitura del servizio sostitutivo di mensa mediante buoni pasto elettronici per dipendenti comunali, impugnato per una serie di motivi, tra i quali la violazione dell’ art. 46-bis del D.lgs. n. 198/2006 e del DPCM 29 aprile 2022, recante i parametri per il conseguimento della certificazione della parità di genere alle imprese e coinvolgimento delle rappresentanze sindacali aziendali e delle consigliere e consiglieri territoriali e regionali di parità.
All’esito del giudizio, il Trga ha accolto il ricorso e annullato gli atti impugnati, ritenendo fondato in via assorbente il motivo a mezzo del quale l’operatore economico aveva contestato la possibilità di ricorrere all’avvalimento premiale per sopperire alla carenza della certificazione della parità di genere.
È opportuno ricordare che
- l’art. 46-bis del Codice delle pari opportunità regola la “certificazione della parità di genere”, finalizzata ad attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità;
- il DPCM 29 aprile 2022, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 1° luglio, individua i parametri per il conseguimento della certificazione della parità di genere alle imprese, i criteri per il rilascio della certificazione e l’informativa annuale sulla parità.
In sede di appello, l’operatore economico contesta la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la certificazione della parità di genere riguardi una condizione soggettiva intrinseca dell’azienda, non suscettibile di essere oggetto di un contratto di avvalimento, in quanto non assimilabile a una risorsa che possa essere messa a disposizione di terzi per l’esecuzione di lavori o servizi.
Sostiene che tale impostazione sia erronea, poiché la certificazione di parità di genere rappresenterebbe, in realtà, una certificazione attestante la qualità di un processo aziendale, nello specifico relativo alla gestione della parità di genere nelle risorse umane. Osserva, inoltre, che i processi e le politiche adottati da un’impresa per il conseguimento della parità di genere sarebbero certamente trasferibili, mediante contratto di avvalimento, ad altra impresa, la quale potrebbe applicarli nella propria organizzazione, analogamente a quanto avviene con qualsiasi altra certificazione di qualità.
La Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha accolto tali argomentazioni, riconoscendo l’ammissibilità del ricorso all’istituto dell’avvalimento da parte di un operatore economico ai fini della dimostrazione del possesso del requisito premiale, previsto dalla lex specialis, connesso alla certificazione della parità di genere. Diversi sono gli elementi argomentativi posti a fondamento di tale conclusione.
Il primo argomento si fonda sulla natura stessa dell’avvalimento, istituto ispirato al principio del favor partecipationis, volto a favorire l’ampliamento della platea dei potenziali concorrenti alla gara. Questo spirito è stato recepito anche dal nuovo Codice dei contratti pubblici, che ha espressamente incluso nell’ambito dell’avvalimento la particolare figura dell’avvalimento “premiale”, attraverso cui il prestito di risorse non è finalizzato a colmare carenze di capacità, bensì a conseguire un punteggio più elevato in gara. Si configura, dunque, come uno strumento funzionale a rafforzare la qualità tecnica dell’offerta, rendendola più competitiva ai fini dell’aggiudicazione, con l’obiettivo di ottenere una maggiore presenza sul mercato e di accrescere l’efficienza produttiva e la redditività dell’impresa.
Il secondo argomento discende direttamente dall’art. 104 del Codice dei contratti pubblici, il quale ammette in via generale il ricorso all’avvalimento “premiale”, prevedendo soltanto specifici e circoscritti limiti, di natura eccezionale, che pertanto devono essere interpretati in senso restrittivo. Ne consegue che, al di fuori dei requisiti generali (ossia delle cause di esclusione) di cui agli artt. 94 e 95, i quali attengono alla figura soggettiva dell’imprenditore, nonché dei casi tassativamente previsti relativi a requisiti propri dell’impresa—tra i quali non rientra la certificazione della parità di genere—deve ritenersi sempre consentito il ricorso all’istituto dell’avvalimento, sia nella forma “partecipativa” sia in quella “premiale”.
Il terzo argomento si ricollega all’elaborazione giurisprudenziale del Consiglio di Stato, che ammette il ricorso all’avvalimento in relazione alle certificazioni di qualità, categoria alla quale può essere ricondotta anche la certificazione della parità di genere, prevista dal già menzionato art. 46-bis. Tale certificazione attesta, infatti, l’adozione da parte dell’impresa di un sistema di gestione conforme alla specifica prassi UNI/PdR 125:2022, comprovando la scelta di un modello organizzativo idoneo a garantire inclusione ed equità di genere. Essa si configura, pertanto, come un attributo del patrimonio aziendale oggettivamente trasferibile da un’impresa a un’altra
Non osta a tale conclusione l’art. 108, comma 7, ultimo periodo, del Codice dei contratti pubblici, il quale impone alle stazioni appaltanti di prevedere nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti l’attribuzione di un punteggio premiale alle imprese che abbiano adottato politiche volte al conseguimento della parità di genere, comprovate dal possesso della relativa certificazione. Tale disposizione, infatti, si limita a richiedere l’introduzione di un criterio premiale connesso al possesso della certificazione, senza tuttavia esigere che quest’ultima sia necessariamente detenuta in via diretta dall’impresa concorrente
Il Consiglio di Stato afferma, dunque, la possibilità di ricorrere all’avvalimento della certificazione della parità di genere, ma sottolinea la necessità di una particolare attenzione nella redazione del relativo contratto. Nel caso esaminato, infatti, il contratto di avvalimento è stato ritenuto nullo, in quanto privo di un oggetto determinato o determinabile, non riportando in modo specifico le risorse effettivamente messe a disposizione dell’operatore economico. Il contratto si limita, infatti, a mere formule di stile, prive di contenuto concreto e, sebbene materialmente allegato all’offerta tecnica, dal certificato non emerge in modo chiaro quali accorgimenti, assetti organizzativi o risorse dell’impresa ausiliaria — che le hanno consentito di ottenere la certificazione — siano stati oggetto di specifico avvalimento.
L’art. 104, comma 1, secondo periodo, del Codice prescrive, a pena di nullità, l’indicazione specifica delle risorse messe a disposizione dell’operatore economico per ogni tipologia di avvalimento. La peculiare natura dell’avvalimento premiale relativo alla certificazione della parità di genere impone, quindi, un’attenta verifica del requisito della specificità, al fine, da un lato, di prevenire forme abusive di avvalimento meramente formale, che potrebbero alterare anziché favorire la concorrenza, e dall’altro – e soprattutto – di assicurare il reale perseguimento dell’obiettivo di promuovere l’inclusione e l’equità di genere nel settore degli appalti pubblici.
Ne consegue che la stipula di un contratto di avvalimento premiale relativo alla certificazione di parità di genere non può considerarsi un’operazione meramente formale, ma deve assumere caratteri di concretezza e realtà. A tal fine, il contratto deve specificare le risorse umane e materiali, i protocolli organizzativi e i piani aziendali — espressione del know-how specifico attestato dalla certificazione — effettivamente messi a disposizione dell’ausiliato.
ALLEGATO: Consiglio di Stato, Sentenza n. 5345 del 18 giugno 2025
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