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01.06.2001 - tributi

RISERVE DI RIVALUTAZIONE PREZZI FORMULATE DELL’APPALTATORE – IRRILEVANZA AI FINI DELLA DEFINIZIONE DELLE RIMANENZE FINALI

RISERVE DI RIVALUTAZIONE PREZZI FORMULATE DELL’APPALTATORE – IRRILEVANZA AI FINI DELLA DEFINIZIONE DELLE RIMANENZE FINALI RISERVE DI RIVALUTAZIONE PREZZI FORMULATE DELL’APPALTATORE – IRRILEVANZA AI FINI DELLA DEFINIZIONE DELLE RIMANENZE FINALI
(Corte di Cassazione, Sez. Trib., 26 aprile 2001, n.6084)
La Sentenza della Corte di Cassazione, Sez. Trib., 26 aprile 2001, n.6084 ha riconosciuto la diversità tra le maggiorazioni di prezzo relative alle rimanenze finali di opere forniture e servizi, di durata ultrannuale, richieste in applicazione di disposizioni di legge o di clausole contrattuali, e le mere “riserve” avanzate in sede di sottoscrizione degli atti di contabilità, le quali saranno assoggettate a tassazione solo a seguito dell’accettazione da parte del committente.
I criteri di valutazione delle rimanenze di cui sopra sono indicati nell’art.63 del DPR 597/1973 (attuale art.60 del TUIR) e si basano sui “corrispettivi pattuiti”, ovvero calcolando la quota di compenso contrattuale maturata durante l’esercizio e corrispondente alla parte di lavoro eseguita.
La legge detta inoltre regole precise con riguardo alle maggiorazioni di prezzo di cui si deve tener conto ai fini della valutazione delle stesse rimanenze. L’art.63 precisa in proposito che si debbono considerare solo quelle in applicazione di disposizioni di legge o di clausole contrattuali, finché non siano state definitivamente stabilite, in misura non inferiore al 50% (comma 2 dell’art.63).
Quest’ultima parte della citata norma pertanto fissa un’implicita distinzione di disciplina tra le maggiorazioni di prezzo accolte ai sensi di uno specifico disposto normativo o contrattuale e le cosiddette “riserve” di revisione dei prezzi, pretese dall’appaltatore nel corso dell’esecuzione dell’opera.
Le prime rientrano normativamente nella valutazione delle opere alla fine dell’esercizio, nel caso in cui le stesse siano ancora in fase di lavorazione. Le seconde debbono invece intendersi sì coerenti ai principi di legge generali ma estranee a norme mirate del Legislatore o ad accordi tra le parti, e pertanto escluse dalla valutazione ai sensi del comma 2 dell’art.63.
Se ad una interpretazione letterale della norma non sembra sorgere alcun dubbio applicativo sull’esclusione dal calcolo delle rimanenze finali delle maggiorazioni avanzate unilateralmente dall’appaltatore, al contrario prassi e giurisprudenza non hanno coerentemente argomentato nel tempo a favore di tale tesi.
Si è infatti da più parti ritenuto che le “riserve” potessero in qualche modo essere formulate in quanto maggior importi dovuti sulla base dell’originario rapporto tra le parti – che ha per oggetto la realizzazione dell’opera-, quindi come compensi ulteriori legati a clausole contrattuali, ammettendo così l’inserimento delle medesime ai fini della valutazione delle rimanenze.
In questo senso si sono espressi sia il Ministero delle Finanze con la Circolare 22 settembre 1982, n.36 che i giudici tributari, per esempio, con la Sent. 26 giugno 1990 n.8599 della Comm. Trib. Di Milano.
Il pronunciamento della Cassazione ristabilisce dunque chiarezza sul tema in oggetto e fissa il principio secondo il quale tali “riserve” di rivalutazione dei prezzi non rilevano ai fini della valutazione delle rimanenze finali, nelle opere di durata ultrannuale, quando queste costituiscano mere pretese avanzate dall’appaltatore le quali assumeranno rilevanza agli effetti fiscali solo se e quando saranno accettate dal committente.
La Sentenza si segnala altresì per alcuni importanti principi in materia di valutazione e gestione delle rimanenze. Il Giudice infatti nella fattispecie accoglie i motivi di ricorso dell’Amministrazione Finanziaria contro la società resistente che, negli esercizi di esecuzione dell’opera, aveva operato valutazioni dei lavori in corso, in misura superiore rispetto ai corrispettivi pattuiti e maturati con il committente.
La tesi adottata comporta pertanto l’irrilevanza sia dell’assoggettamento ad imposizione di redditi più elevati, corrispondenti al maggior incremento delle rimanenze, operato negli anni di esecuzione della commessa, sia l’irrilevanza dell’emersione della perdita corrispondente ai maggior compensi attesi ma non riconosciuti, nell’esercizio di ultimazione della commessa. A questo proposito il Giudice ribadisce che le perdite che si verificano nel corso dell’esecuzione dei lavori debbono gravare sul reddito dell’esercizio in cui si realizzano e non possono essere trasferite negli esercizi successivi, non essendo questa una facoltà del contribuente che altresì altererebbe la determinazione del proprio reddito ai fini impositivi.
La Corte nega inoltre che il dettato dell’art.63 possa in alcun modo intendersi come limite minimo di valutazione delle rimanenze, non lasciando pertanto al contribuente possibilità di sopravalutare la suddetta posta di bilancio, senza fondamento giuridico o contrattuale.
La Sentenza di cui trattasi fornisce anche ulteriori elementi in tema di autonomia del periodo d’imposta, affermando che l’Amministrazione Finanziaria può rettificare poste di bilancio, con riferimento ad uno specifico periodo d’imposta, senza che ciò abbia riflessi sulle determinazioni di bilancio di altri esercizi. Il contribuente eccepiva infatti che le constatazioni dell’Ufficio Imposte si riferissero solo alle rimanenze finali di un esercizio e non alle esistenze iniziali dell’esercizio successivo.


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