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09.09.2003 - lavori pubblici

LAVORI PUBBLICI – SOLO PER L’AGGIUDICATARIO SI PROCEDE A VERIFICA E CORREZIONE DEI SINGOLI PREZZI UNITARI – NON RILEVANO LE DIFFERENZE TRA L’IMPORTO COMPLESSIVO E LA PERCENTUALE OFFERTA

LAVORI PUBBLICI – SOLO PER L’AGGIUDICATARIO SI PROCEDE A VERIFICA E CORREZIONE DEI SINGOLI PREZZI UNITARI – NON RILEVANO LE DI LAVORI PUBBLICI – SOLO PER L’AGGIUDICATARIO SI PROCEDE A VERIFICA E CORREZIONE DEI SINGOLI PREZZI UNITARI – NON RILEVANO LE DIFFERENZE TRA L’IMPORTO COMPLESSIVO E LA PERCENTUALE OFFERTA
(Consiglio di Stato, sezione VI, 11 luglio 2003, n. 4145)

Tra i poteri della Commissione non rientra la correzione delle offerte, ma solo la valutazione di congruità di quelle risultate anomale, restando fermo l’obbligo di aggiudicazione a quella che, superata la verifica condotta in base alle giustificazioni, abbia offerto il maggior ribasso percentuale indicato in lettere.
Poiché i criteri dettati dal secondo comma dell’art. 90 del d.P.R. n. 554/1999 sono preordinati esclusivamente a risolvere le ambiguità ai fini dell’individuazione dell’offerta aggiudicataria, ma non eliminano dette ambiguità dal corpo dell’offerta stessa, il settimo comma dello stesso art. 90 si occupa della “chiusura” del sistema, attraverso la rimozione delle incongruenze, in modo da definire esattamente i contenuti dell’offerta, ai fini dell’esecuzione del contratto.
Tale operazione – che è affidata alla stazione appaltante e si svolge in un momento successivo all’aggiudicazione definitiva e prima della stipulazione del contratto – è disciplinata anch’essa analiticamente con criteri coerenti con quelli indicati al secondo comma .
Nei confronti della sola offerta aggiudicataria (e perciò non delle altre offerte) , dopo aver proceduto alla verifica dell’esattezza dei calcoli dei prezzi unitari, l’Amministrazione, ove riscontri una discordanza fra il prezzo complessivo (eventualmente corretto) e quello corrispondente al ribasso percentuale offerto, deve provvedere a correggere tutti i prezzi unitari “in modo costante in base alla percentuale di discordanza”, ed i prezzi così corretti costituiscono “l’elenco dei prezzi unitari contrattuali”, da valere in sede di esecuzione dell’appalto.

. . . omissis . . .

DIRITTO
1. L’impugnata sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Veneto (resa in forma abbreviata ai sensi dell’art. 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, come modificato dall’art. 9 della legge n. 205/2000) ha annullato, su ricorso della P.C., il verbale della riunione dell’11 ottobre 2002, con il quale la Commissione della gara indetta dall’Università Cà Foscari di Venezia, per l’affidamento a licitazione privata dei lavori di restauro dell’ex Convento di San Sebastiano, dopo aver modificato d’ufficio (riducendolo da 10,19% a 7,511%) il ribasso percentuale offerto dalla menzionata Società, in quanto non concordante con il prezzo complessivo, aveva aggiudicato l’appalto alla costituenda ATI formata dalla D. s.r.l. e dalle A.R. s.r.l. e C.E.V. s.r.l..
1.1. Ha affermato, al riguardo, il primo giudice che l’operato della commissione di gara aveva violato l’art. 90 del d.P.R. n. 554/1999, che, al comma 2, prevede che, in caso di discordanza tra prezzo complessivo e ribasso percentuale, prevale il ribasso percentuale indicato in lettere, e al comma 7, che, in caso di discordanza fra il prezzo complessivo (eventualmente emendato degli errori di calcolo nella somma o prodotto dei prezzi unitari) e quello dipendente dal ribasso percentuale offerto, tutti i prezzi unitari sono corretti in modo costante in base alla percentuale di discordanza.
2. Con gli appelli in epigrafe – che vanno necessariamente riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c. – sia l’Università appaltante sia la D. criticano le conclusioni del T.A.R., muovendo dalla premessa che, nel sistema di offerta per prezzi unitari, osservato nella fattispecie, l’elemento cardine sarebbe proprio l’indicazione di questi ultimi e, quindi, quella del prezzo complessivo, rispetto al quale la determinazione della percentuale di ribasso sarebbe operazione meramente aritmetica, con la conseguenza che, in caso di discordanza, dovrebbe darsi prevalenza, come operato dalla Commissione di gara, al prezzo complessivo.
Né a ciò si opporrebbe l’art. 90 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, posto che il comma secondo, richiamato dalla decisione impugnata, si limiterebbe a stabilire il criterio di prevalenza in caso di discordanza tra l’indicazione in cifre ed in lettere del ribasso percentuale, mentre, a sua volta, il 7° comma (laddove prevede che, in caso di discordanza tra il prezzo complessivo e quello dipendente dal ribasso percentuale offerto, devono essere corretti tutti i prezzi unitari in rapporto alla percentuale di discordanza) si riferirebbe solo all’eliminazione di piccole incongruenze, nella successiva fase di verifica, da effettuarsi dopo l’aggiudicazione.
Nella fattispecie, invece, la discordanza emersa in sede di gara atterrebbe alla regolarità dell’offerta, onde la stessa o sarebbe suscettibile di essere emendata a priori, nel senso di attribuirle, attraverso la correzione dell’errore, il contenuto effettivamente voluto dalla parte, o darebbe luogo, altrimenti, all’inevitabile esclusione dell’offerta stessa, in quanto irregolare.
3. Le tesi degli appellanti non meritano condivisione, in quanto, pur astrattamente dotate di una loro intrinseca logicità, appaiono del tutto avulse dal sistema delineato dall’art. 90 del d.P.R. n. 554/1999.
4. Quest’ultima norma – che opera in materia delegificata dall’art. 3, comma 1, lett. b della legge 11 febbraio 1994, n. 109 – prevede un sistema concluso, volto a risolvere, nell’ottica della certezza e della trasparenza delle operazioni di affidamento degli appalti, ogni incertezza che possa insorgere in un’offerta articolata quale quella per prezzi unitari, in modo da prevenire contestazioni circa l’effettiva volontà della parte privata, in caso di discordanze fra le diverse componenti dell’offerta stessa.
4.1. In sede regolamentare, il legislatore (che pure avrebbe potuto sanzionare di nullità tutte le offerte contenenti dati non congruenti fra loro), ha preferito privilegiare, per quanto possibile, la conservazione delle offerte medesime, risolvendo le ipotesi di ambiguità della manifestazione di volontà non attraverso una (sempre controvertibile) ricostruzione dell’effettiva volontà dell’offerente, ma attribuendo alla dichiarazione equivoca un contenuto legalmente sostitutivo, maggiormente idoneo, per il suo carattere predeterminato e obiettivo, a garantire la trasparenza della procedura e la connessa par condicio dei concorrenti.
4.2. A tal fine è preordinato, innanzi tutto, il secondo comma dell’art. 90, il cui dato testuale è tassativo nello stabilire (dopo aver indicato le regole per la compilazione dell’offerta) che:
a) in calce al modulo vanno indicati il prezzo complessivo offerto ed il corrispondente ribasso percentuale rispetto al prezzo posto a base d’asta;
b) il prezzo complessivo e il ribasso vanno indicati in cifre e in lettere;
c) in caso di discordanza (quale che sia la causa e l’entità di tale discordanza) “prevale il ribasso percentuale indicato in lettere”.
4.3. A fronte di tale chiara indicazione, è evidentemente insostenibile la tesi degli appellanti, che vorrebbero limitare l’oggetto della previsione normativa alle sole ipotesi di discordanza fra l’indicazione in cifre e quella in lettere, nell’ambito di ciascuna voce (prezzo e ribasso).
E’ sufficiente, infatti, osservare che l’espressione “in caso di discordanza prevale il ribasso percentuale indicato in lettere”, collocata immediatamente dopo quella “il prezzo complessivo ed il ribasso sono indicati in cifre ed in lettere”, ove volesse riferirsi alla sola non congruenza interna a ciascuna voce, sarebbe formulata del tutto illogicamente, giacché, per esprimere tale significato, avrebbe dovuto dire soltanto “prevale l’indicazione in lettere” ovvero (ove si fosse voluta conservare l’analiticità) “prevalgono rispettivamente il prezzo complessivo o il ribasso percentuale indicato in lettere”.
4.4. La semplice lettura della norma, condotta secondo il suo significato letterale e le sue concordanze sintattiche, conduce, invece, alla piana conclusione che con essa si è posto un criterio di chiusura, volto a dare prevalenza, in tutti i casi di discordanza fra i dati indicati in calce al modulo di offerta (riferiti sia al prezzo sia alla percentuale di ribasso), al ribasso percentuale indicato in lettere, sì da precludere alla Commissione di gara ogni intervento correttivo sull’offerta, ai fini dell’aggiudicazione.
4.5. E che un intervento siffatto sia precluso in radice, in questa fase del procedimento, è dimostrato dalla previsione del sesto comma dell’art. 90, il quale recita coerentemente: “Nel giorno e nell’ora stabiliti nel bando di gara, l’autorità che presiede la gara apre i plichi ricevuti e contrassegna ed autentica le offerte in ciascun foglio e le eventuali correzioni apportate nel modo indicato nel comma 5; legge ad alta voce il prezzo complessivo offerto da ciascun concorrente ed il conseguente ribasso percentuale e procede all’aggiudicazione in base al ribasso percentuale indicato in lettere ai sensi di quanto previsto all’articolo 89, commi 2 e 4”.
Il che conferma che tra i poteri della Commissione non rientra la correzione delle offerte, ma solo la valutazione di congruità di quelle risultate anomale, in applicazione delle disposizioni di legge, restando fermo l’obbligo di aggiudicazione a quella che, superata la verifica condotta in base alle giustificazioni, abbia offerto il maggior ribasso percentuale indicato in lettere.
4.6. E del resto, ove si riconoscesse un potere di correzione alla Commissione dei dati indicati dai partecipanti, per ricondurre a congruenza gli stessi, secondo la valutazione soggettiva dell’organo, non si avrebbe alcuna precostituita certezza né circa i contenuti delle offerte né circa la soglia di anomalia da individuare.
4.7. Ed è già sufficiente tale rilievo per rendere illegittima la condotta dell’Autorità preposta alla gara e condurre all’annullamento degli atti da essa adottati, in conformità alle conclusioni raggiunte dal primo giudice.
5. Ma v’è di più.
5.1. Poiché i criteri dettati dal secondo comma dell’art. 90 del d.P.R. n. 554/1999 sono preordinati esclusivamente a risolvere le ambiguità ai fini dell’individuazione dell’offerta aggiudicataria, ma non eliminano dette ambiguità dal corpo dell’offerta stessa, il settimo comma dello stesso art. 90 si occupa della “chiusura” del sistema, attraverso la rimozione delle incongruenze, in modo da definire esattamente i contenuti dell’offerta, ai fini dell’esecuzione del contratto.
5.2. Tale operazione – che è affidata alla stazione appaltante e si svolge in un momento successivo all’aggiudicazione definitiva e prima della stipulazione del contratto – è disciplinata anch’essa analiticamente con criteri coerenti con quelli indicati al secondo comma.
5.3. In particolare, dopo aver proceduto alla verifica dell’esattezza dei calcoli dei prezzi unitari, l’Amministrazione, ove riscontri una discordanza fra il prezzo complessivo (eventualmente corretto) e quello corrispondente al ribasso percentuale offerto, deve provvedere a correggere tutti i prezzi unitari “in modo costante in base alla percentuale di discordanza”.
Infine, i prezzi così corretti costituiscono “l’elenco dei prezzi unitari contrattuali”, da valere in sede di esecuzione dell’appalto.
6. Certo, a tali criteri di risoluzione delle discordanze se ne potrebbero opporre anche altri, ritenuti, secondo l’assunto degli appellanti, più congrui o razionali.
Ma, così argomentando si finisce con il sostituire valutazioni soggettive alle scelte regolamentari, che, proprio attraverso l’espressa abrogazione della precedente disciplina recata dall’art. 5 della legge 2 febbraio 1973, n. 14, hanno mostrato di privilegiare, invece, il perseguimento della finalità di dare certezza alla procedura di aggiudicazione, sottraendola, per quanto possibile, da un lato, alla discrezionalità della stazione appaltante nella individuazione della volontà dell’offerente, dall’altro alle contestazioni di quest’ultimo (e degli altri partecipanti alla gara) circa l’effettivo contenuto delle offerte.
7. Stabilita, dunque, l’illegittimità dell’intervento correttivo della Commissione di gara sull’offerta della P.C., va, a questo punto, esaminata la censura (già proposta inutilmente in primo grado dalla D., attraverso ricorso incidentale e, ora, reiterata in appello), secondo la quale, la discordanza rilevata dall’Organo di aggiudicazione tra il prezzo complessivo e il corrispondente ribasso percentuale avrebbe dovuto comportare, in apice, l’inammissibilità dell’offerta stessa e, conseguentemente, la sua esclusione.
7.1. Anche tale doglianza si rivela, però, infondata.
7.2. Le cause di esclusione delle offerte devono essere previste nel bando e riguardano, in via di principio, o la mancanza dei requisiti prescritti o l’inosservanza di formalità tassativamente stabilite o la carenza di elementi essenziali dell’offerta stessa o l’anomalia dell’offerta non adeguatamente giustificata.
Ora, nella specie, nell’offerta della P.C. non si riscontrava alcuno degli elementi ostativi dianzi descritti, bensì solo la discordanza tra il prezzo complessivo e il corrispondente ribasso percentuale.
Sennonché, proprio con riguardo a tale ipotesi, ha provveduto, come si è detto, il regolamento, il quale, senza distinguere circa l’entità e la natura delle discordanze, ha configurato un meccanismo idoneo a rendere, comunque, utilizzabili le offerte; meccanismo che, evidentemente, quale che sia il giudizio soggettivo degli appellanti, non lascia spazio al potere della Commissione di disporre, in limine, l’esclusione dell’offerta che presenti una di siffatte discordanze.
7.3. Va detto, comunque, per completezza, che, anche alla stregua dei principi civilistici, la discordanza in parola si traduce in un errore nella manifestazione di volontà, che, a tutto voler concedere, è invocabile, al fine della richiesta di annullamento del contratto, solo dalla parte che vi abbia dato causa, onde, anche sotto questo profilo, in assenza di disposizioni della lex specialis della gara ed in armonia con le disposizioni regolamentari già esaminate, non si configura un vizio che legittimi la controparte, di sua iniziativa, all’annullamento dell’offerta.
8. Le considerazioni che precedono recano in sé anche le ragioni per le quali appare del tutto inaccoglibile l’istanza, avanzata solo all’udienza di discussione, di disapplicazione dell’art. 90 del d.P.R. n. 554/1999, per contrasto con la norma di rango superiore di cui all’art. 21 della legge 11 febbraio 1994, n. 109.
Ed invero, in disparte il rilievo che tale istanza si concreta in un addebito di illegittimità a carico di una disposizione mai censurata né in primo grado, in sede di ricorso incidentale, né in sede di appello contro la sentenza che l’aveva posta espressamente a fondamento dell’accoglimento del ricorso ed anche a prescindere dalla problematica circa l’istituto della disapplicazione, ad opera del giudice amministrativo, nei confronti di una fonte regolamentare indipendente, in quanto operante in materia delegificata, sta di fatto che non si ravvisa alcun contrasto con l’art. 21 della legge n. 109, il quale non si occupa affatto della specifica materia, che è, infatti, integralmente demandata, dall’art. 3 della stessa legge, alla potestà regolamentare del Governo.
8.1. Ne consegue che difettano, nella fattispecie, gli stessi presupposti giuridici della disapplicazione, posto che quest’ultima, anche nei casi in cui sia riconosciuto, in capo al giudice amministrativo il relativo potere, postula, comunque l’esistenza e l’immediata applicabilità, al caso concreto, di una norma primaria, cui sia di ostacolo una, difforme, di livello secondario, da rimuovere, appunto, mediante disapplicazione.
Viceversa, nella fattispecie, la disapplicazione richiesta lascerebbe senza alcuna disciplina l’ipotesi concreta (non essendo questa rinvenibile nell’art. 21 invocato dall’appellante), onde la stessa si risolverebbe in definitiva nel chiedere, in via giurisdizionale, un intervento volto a ignorare una norma dell’ordinamento vigente per creare una regolamentazione diversa asseritamente più aderente all’intenzione del legislatore primario; il che non può rientrare evidentemente tra le attribuzioni del giudice amministrativo, ma tutt’al più, potrebbe essere oggetto, de jure condendo, di intervento del potere regolamentare, volto ad assumere un indirizzo diverso da quello attualmente seguito.
9. Per tutte le considerazioni esposte gli appelli devono essere respinti.
La natura della questione trattata rende equa la compensazione delle spese del grado di giudizio tra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti in epigrafe, li respinge.


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