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04.12.2003 - lavori pubblici

L’IMPRESA È ESENTE DA RESPONSABILITÀ PER OPERE NON A REGOLA D’ARTE DIMOSTRANDO L’OBBLIGO IMPOSTO DAL COMMITTENTE AD ESEGUIRLE

L’IMPRESA E’ ESENTE DA RESPONSABILITA’ PER OPERE NON A REGOLA D’ARTE DIMOSTRANDO L’OBBLIGO IMPOSTO DAL COMMITTENTE AD ESEGUIRL L’IMPRESA E’ ESENTE DA RESPONSABILITA’ PER OPERE NON A REGOLA D’ARTE DIMOSTRANDO L’OBBLIGO IMPOSTO DAL COMMITTENTE AD ESEGUIRLE
(Cassazione, Sez. II Civile, 29/9/2003, n. 14438)

L’appaltatore, per poter andare esente da responsabilità, qualora non abbia potuto avvalersi dei rimedi previsti dall’art. 1660 Cc per apportare al progetto le variazioni necessa-rie a che l’opera possa essere eseguita a regola d’arte, non può limitarsi a dimostrare di avere suggerito soluzio-ni più valide, occorrendo invece che egli provi, oltre il dissenso da lui manifestato a compiere l’opera secondo le modalità a suo tempo stabilite, anche di essere stato cionondimeno richiesto di eseguirle ugualmente a rischio del committente, potendo solo in tal caso essere conside-rato come mero esecutore (nudus minister) del valore di quest’ultimo.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 21/06/1994, la Sas Vilco conveniva in giudizio avanti il Tribunale di Busto Arsizio il Condominio Ercole di Samarate (in seguito solo Condominio) al fine di sentirlo condannare al paga-mento della somma di L. 116.322.265, quale residuo corrispettivo ancora dovuto per lavori di restauro della facciata dell’edificio.
Costituitosi, il Condominio contestava la congruità della richiesta e deduceva l’esistenza di molteplici fessurazioni nell’intonaco esterno. In riconvenziale chiedeva la condanna della società attrice all’eliminazione dei vizi e al risarcimento del danno.
Espletata l’istruttoria, anche mediante Ctu, il Tribuna-le accoglieva sostanzialmente la domanda dell’attrice, condannando il convenuto al pagamento della somma di L. 108.918.000, con gli interessi legali di mora a decorrere dal 17/2/1994, e rigettava la domanda riconvenzionale del Condominio, osservando che la Vilco aveva realizzato i lavori come espressamente e limitativamente richiesto dal Condominio mediante apposito, specifico contratto, con indicazione delle singole voci, di costo complessivo inferiore a quell’intervento che sarebbe stato necessa-rio effettuare per evitare problemi futuri.
Il gravame proposto dal Condominio era accolto dalla Corte d’appello di Milano, la quale, con la sentenza (n. 382/2000) ora impugnata, condannava la Vilco “ad eliminare a sue spese i vizi dell’opera eseguita in conformità alle indicazioni operative fornite dal consulente d’ufficio”.
Osserva la Corte distrettuale, per quel che ancora interessa, che l’esito in parte negativo dell’intervento compiuto su tre pareti esterne dell’edificio era da imputarsi al comportamento omissivo della Vilco, la quale, a seguito della rimozione della vecchia superficie coprente, e in presenza del degrado e discontinuità della parete di sottofondo sulla quale doveva applicarsi il nuovo materiale, con l’insorgenza prevedibile di ritiri e dilata-zioni differenziali, al fine di evitare i rischi connessi di fessurazione, avrebbe dovuto fornire al committente univoche indicazioni per alcune soluzioni alternative, idonee a stornarli, in base al disposto dell’articolo 1660 Cc, in tema di variazioni necessarie al progetto, da segnalare e concordare col committente. Ma ciò non risultava essere avvenuto. Pertanto, la domanda del Condominio diretta ad ottenere l’eliminazione dei denunciati vizi mediante condanna all’esecuzione specifica, andava accolta, onde, in parziale riforma della sentenza impugnata, l’appaltatore era tenuto a provvedere a proprie esclusive spese ad eseguire i lavori necessari, in conformità delle indicazioni fornite dal Ctu nella seconda e più aggiornata relazione (pagg. lO e Il).
Contro tale sentenza la Vilco ha proposto ricorso per cassazione in base a quattro motivi.
Il Condominio ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo, denunciando violazione dell’art. 360 n. 5 Cpc, in relazione agli artt. 112 e 132 Cpc, la ricorrente Vilco, premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la denuncia dell’inconsistenza tecnica del progetto fatta dall’appaltatore esclude la responsabilità dello stesso nei confronti del committente per i vizi dell’opera, si duole dell’omessa pronuncia in ordine alla richiesta istruttoria di ammissione della prova testimoniale diretta a dimostrare di aver tentato inutilmente di dissuadere l’amministratore del Condominio dal far eseguire il lavoro in quanto giudicato tecnicamente inopportuno e di aver insistito per intervenire con altra e diversa metodologia, proponendo una prima soluzione per ricoprire la facciata dell’immobile tramite la Srl Methodo, e , una seconda la Sas Cam International.
Col secondo motivo, deducendo violazione dell’art. 360 nn. 3 e 5 Cpc per falsa applicazione dell’art. 1668 Cc e per contraddittoria motivazione, la ricorrente censura l’impugnata sentenza per aver da un lato negato alla Vilco la possibilità di provare con testi di aver per tempo avvertito il committente Condominio dell’erroneità tecnica dell’intervento richiesto, e dall’altro affermato che “dovevano trarsi univoche indicazioni per alcune soluzioni alternative… da segnalarsi al committente e concordarsi con questo; il che però non risulta essere avvenuto e neppure in alcun modo tentato…”.
Col terzo motivo, denunciando violazione dell’art. 360 n. 3 Cpc per omessa applicazione del disposto dell’art. 1655 Cc la ricorrente si duole di essere stata condannata ad eseguire un intervento tecnico più oneroso, già rifiutato dal Condominio, senza peraltro aver diritto al giusto corrispettivo, dovendosi accontentare del costo concordato per un’opera di contenuto ed economico nettamente inferiore.
Col quarto motivo, denunciando violazione dell’art. 360 n. 3 Cpc, in relazione all’art. 112 Cpc, la ricorrente censura la sentenza impugnata per ultrapetizione, in quanto il Condominio in appello si era limitato a chiedere la condanna della Vilco “alla realizzazione dell’opera di nuova intonacatura”, mentre la Corte d’appello ha condannato la Vilco ad eseguire non già una semplice “intonacatura” dell’ edificio, bensì tutti quegli interventi descritti a pago 10 e 11 della seconda relazione peritale, in particolare l’applicazione di speciali materiali, quali “Nivoplan e Planicrete”, nonché la rasatura con “Mapela-  stic”.
Il primo motivo è fondato.
La Corte d’appello ha accolto la domanda del Condominio ex art. 1668 Cc sul rilievo che non risultava che la società appaltatrice Vilco – ancorché tenuta, in base al disposto dell’art. 1660 Cc, a denunciare i vizi del progetto, che ne rendevano necessaria la modifica, onde concordare le variazioni necessarie per l’esecuzione a regola d’arte dell’opera appaltata – vi avesse provveduto e neppure in alcun modo tentato in fase di esecuzione.
Così provvedendo è, però, incorsa in errore perché ha deciso l’impugnazione omettendo di considerare che la Vilco, con il suo atto d’appello, reiterando poi l’istanza in sede di precisazione delle conclusioni (come trascritte in epigrafe della sentenza), aveva chiesto “l’ammissione delle proprie prove intese a dimostrare di aver denunciato l’apparenza di validità tecnica dell’intervento richiesto da Condominio Ercole, prima ancora di dar inizio ai lavori; di aver suggerito due distinte e diverse soluzioni tecniche; di aver ricevuto un netto rifiuto da parte della committente all’adozione di una o dell’altra alternativa; di aver per conto ricevuto l’ordine da parte dell’amministratore del Condominio Ercole di effettuare solo ed esclusivamente quelle opere poi effettivamente eseguite (come è detto testualmente in ricorso, assolvendo così la ricorrente sia all’onere di dimostrare la sussistenza di un nesso eziologico tra l’errore addebitato al giudice e la pronuncia emessa in concreto che senza quell’errore sarebbe stata diversa, sia l’onere di indicare specificamente le deduzioni di prova che sarebbero state disattese, in ossequio al principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione: Cass. 221212001, n. 2602; 26/3/1999, n, 2894).
Invero, l’omesso esame di tale richiesta istruttoria si è risolto in un vero e proprio vizio della pronuncia, in violazione del disposto dell’art. 112 Cpc, atteso che la richiesta prova verteva su un punto decisivo e rilevante della controversia, che se esaminato e favorevole alla Vilco, avrebbe potuto condurre ad una decisione diversa da quella adottata, tenendo presente, però, che l’appaltatore, per poter andare esente da responsabilità, qualora non abbia potuto avvalersi dei rimedi previsti dall’art. 1660 Cc per apportare al progetto le variazioni necessa-rie a che l’opera possa essere eseguita a regola d’arte, non può limitarsi a dimostrare di avere suggerito soluzioni più valide, occorrendo invece che egli provi, oltre il dissenso da lui manifestato a compiere l’opera secondo le modalità a suo tempo stabilite, anche di essere stato cionondimeno richiesto di eseguirle ugualmente a rischio del committente, potendo solo in tal caso essere considerato come mero esecutore (nudus minister) del valore di quest’ultimo.
L’accoglimento del primo motivo, comporta l’assorbimento di tutti gli altri.
Conseguentemente l’impugnata sentenza va cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata, per nuovo esame, ad altra sezione della stessa Corte d’appello di Milano, che provvederà anche al regolamento delle spese del giudizio di legittiniità facendone questa Corte esprèssa rimessione (art. 385, ult. cpv., Cpc).
PQM
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano.


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