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18.09.2006 - urbanistica

LA DENUNCIA DI INIZIO ATTIVITÀ – COMMENTO

LA DENUNCIA DI INIZIO ATTIVITÀ – COMMENTO LA DENUNCIA DI INIZIO ATTIVITÀ – COMMENTO

La natura giuridica della denuncia di inizio attività è stata oggetto, negli ultimi anni, di un acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale. La questione, tutt’altro che teorica, rappresenta un tassello di notevole importanza per l’espletamento dell’attività edilizia svolta nel silenzio della P.A. e per la valutazione dei poteri in capo a quest’ultima, dopo il decorso del termine per l’inizio dei lavori. In un primo momento la giurisprudenza e la dottrina prevalente sembravano orientate nel ritenere che la presentazione della Dia rivestisse il valore di mero atto privato, inidonea a configurare gli estremi di un procedimento amministrativo.
La conseguenza più immediata a cui si perveniva seguendo questa tesi era che, non essendo stata l’amministrazione investita dell’esame del merito della richiesta, il silenzio eventualmente serbato sulla denuncia non poteva considerarsi come un provvedimento di accoglimento tacito della domanda medesima.
L’operato dell’amministrazione si limita, quindi, ad un mero accertamento dei presupposti dichiarati nella Dia, in tal senso si è espresso il Consiglio di  Stato, con la sentenza n. 4453/2002 dove ha affermato che la “denuncia di inizio attività non ha valore di provvedimento nè lo acquista in virtù del decorso del termine previsto per l’attività di riscontro della pubblica amministrazione”. 
Successivamente alcuni Tribunali Amministrativi hanno aderito a tale interpretazione sottolineando come la denuncia di inizio attività non possa essere assimilata ad un provvedimento amministrativo, in quanto, sul piano soggettivo, non proviene da una pubblica amministrazione ma da un soggetto privato e, su quello oggettivo, non costituisce esercizio di una potestà pubblica ( T.A.R. Marche, 7 gennaio 2003, n. 315, T.A.R. Liguria, sez. I, 22 gennaio 2003, n. 113 ).
In particolare, è stato fatto notare che, “ricevuta la denuncia, l’amministrazione non deve assentire alcunchè” in quanto “è la legge che conferisce al privato la titolarità del diritto che lo legittima ad intraprendere autonomamente l’attività edilizia, senza l’intermediazione di titoli ulteriori” (TAR Liguria, I, 22 gennaio 2003, n. 113).
Nessun provvedimento, quindi, nè espresso, nè tacito: “al silenzio tenuto dall’amministrazione a fronte di una denuncia di inizio attività non può essere attribuito il valore nè di un tacito atto di assenso all’esercizio delle attività denunciate dal privato, nè di un implicito provvedimento positivo di controllo a rilevanza esterna”.
Ne consegue che è inammissibile il ricorso volto a far dichiarare l’illegittimità del silenzio serbato dalla Pubblica amministrazione su una denuncia di inizio attività e che, del pari, non possono costituire oggetto di impugnativa gli effetti della Dia medesima (in tal senso si è espresso il Consiglio di Stato nella sentenza n. 3916/2005).
Ciò comporta rilevanti conseguenze sul piano delle tutele, da un lato infatti il Comune potrebbe adottare i provvedimenti sanzionatori in ogni tempo, di modo che l’attività costruttiva sarebbe a totale rischio del soggetto procedente, in evidente violazione del principio della certezza delle situazioni giuridiche; dall’altro lato, inoltre, il terzo che ritiene di essere leso dall’intervento edilizio, nella fase di inizio della costruzione non avrebbe mezzi di tutela e quindi non potrebbe in alcun modo impedire la realizzazione della stessa, potendo tutelare le proprie ragioni solo a posteriori.
Proprio al fine di dare una risposta diversa alle pressanti istanze di certezza giuridica avanzate dagli operatori, dai proprietari e dalle stesse amministrazioni comunali, alcuni Tribunali amministrativi, hanno aderito al diverso orientamento che riconosce alla Dia natura provvedimentale.
Ciò in considerazione anche del fatto che l’ambito di applicazione della Dia è stato, nel tempo, notevolmente ampliato sino a comprendere anche opere edilizie di importante impatto sul territorio.
In particolare, una prima breccia è stata aperta sul tema dai giudici liguri (TAR Liguria, sez. I, 113/2003) che, pur continuando a rilevare nella Dia la mera natura di “atto soggettivamente ed oggettivamente privato”, non suscettibile di essere impugnato in sede giurisdizionale, le hanno conferito una dignità giuridica tale da consentire al terzo leso a fronte della Dia di trovare tutela giurisdizionale per l’illegittimità del comportamento dell’amministrazione comunale che, pur nell’inesistenza dei requisiti fissati dalla legge per l’esecuzione delle opere, non ha inibito l’avvio delle opere oggetto della Dia.
Proprio prendendo spunto da tali argomentazioni il TAR Veneto (sez. II 20 giugno 2003 n. 3405), ha riconosciuto alla Dia la natura di vero e proprio “titolo edilizio”, vale a dire di atto autorizzatorio proveniente dalla Pubblica amministrazione.
In particolare, i giudici hanno affermato che,  in presenza di tutti i requisiti formali e sostanziali prescritti dalla legge, la domanda del privato ha valore di autorizzazione tacita della Pubblica amministrazione, atteso che non essendo prevista l’emanazione di alcun provvedimento, la domanda stessa “tien luogo” dell’autorizzazione, vale a dire come un titolo edilizio vero e proprio che si forma silenziosamente.
Il TAR Veneto ribadisce tale orientamento anche nella successiva sentenza n. 4722/2003, ove, tra l’altro, sottolinea come in base agli articoli 38 e 39 del T.U. edilizia venga estesa anche agli interventi realizzati con la Dia la disciplina prevista per quelli eseguiti in base a permesso annullato, presupponendo quindi che la stessa amministrazione possa annullare il titolo Dia.
Ne deriva che non si può qualificare la Dia come un mero atto privato, cui la P.A. resta estranea tranne che per sanzionare successivamente l’attività non conforme alle norme, poichè non avrebbe avuto senso prevedere la possibilità di annullare il titolo, essendo sufficiente l’intervento successivo sanzionatorio.
Anche il Consiglio di Stato ha aderito a tale interpretazione con la sentenza n. 6910/2004, ove ha sottolineato come la previsione di un potere amministrativo di annullamento – concepibile di per sè solo con riferimento ad una fattispecie provvedimentale e non anche ad un atto privato – porta a qualificare la Dia quale “istanza autorizzatoria”, che a seguito del decorso del tempo diviene un vero e proprio provvedimento tacito di accoglimento.
Del pari, il TAR Lombardia, nella sentenza n. 380/2004, ha equiparato la Dia al permesso di costruire, sulla base dell’assunto che entrambi sono frutto di un comportamento della Pubblica amministrazione, che in un caso è omissivo, nell’altro, invece, attivo. In particolare, i giudici hanno rilevato come gli effetti dell’attività amministrativa di istruttoria sulla Dia non siano diversi da quelli volti al rilascio del permesso di costruire.
In entrambi i casi, infatti, è precluso all’interessato di intraprendere i lavori fino  a quando non sia decorso infruttuosamente il termine previsto dalla legge per inibire l’effettivo inizio degli stessi ovvero per il rilascio dell’esplicito titolo edilizio.
Nel caso della Dia si tratta di un comportamento omissivo, vale a dire la mancata inibizione dei lavori dopo lo svolgimento dell’attività istruttoria volta all’accertamento dei presupposti legittimanti l’esecuzione degli stessi. Nel caso del permesso di costruire si tratta, al contrario, di un comportamento attivo, consistente nell’emanazione del prescritto titolo legittimante.
Tale orientamento riconosce al pubblico potere ( che si manifesta con l’inerzia della P.A.) la capacità di costituire la situazione giuridica in capo al privato, che sino ad allora poteva vantare un interesse legittimo pretensivo.
Il dibattito sulla natura giuridica della denuncia di inizio attività, pur essendo ancora aperto, sembra essersi indirizzato verso una linea interpretativa omogenea, soprattutto alla luce delle modifiche apportate alla legge 241/1990 dapprima con la L. 15/2005 e poi con il D.L. 35/2005, convertito nella L. 80/2005.
Ha osservato in proposito il T.A.R. Abruzzo che con la nuova formulazione dell’art. 19, legge 7 agosto 1990 n. 241, il legislatore ha sostanzialmente qualificato la Dia come un titolo abilitativo tacito all’esecuzione dell’attività edificatoria (T.A.R. Abruzzo sentenza n. 494/2005).
Secondo i giudici, infatti, alla luce delle modifiche introdotte dapprima con la legge 15/2005 e poi con l’art. 3 del D.L. 35/2005, si deve ritenere che la Dia in materia urbanistica sia oggi ricompresa nella disciplina generale prevista dall’art. 19 della legge 241/1990 in materia di denuncia di inizio attività, in quanto la nuova formulazione della norma non esclude più tale fattispecie dal suo ambito operativo.
Tra l’altro, viene espressamente riconosciuto all’Amministrazione lo specifico potere ‘‘di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies”, qualora sia rimasta inerte dopo la presentazione della denuncia di inizio attività.
In altri termini, la nuova disciplina ha precisato che, ove non sia stata interdetta nei termini l’esecuzione dell’opera, l’Amministrazione possa comunque esercitare i propri poteri di annullamento (21-nonies), nel caso in cui l’opera non risulti conforme alle disposizioni prescritte per la relativa realizzazione.
Tale orientamento è stato ribadito anche di recente dal TAR Piemonte con la sentenza n. 1886/2005, ove i giudici hanno sottolineato come proprio l’applicazione alla denuncia di inizio attività degli istituti di autotutela induce a ritenere che il legislatore abbia voluto in tal modo risolvere una volta per tutte la questione relativa alla natura della Dia, qualificandola come titolo abilitativo edilizio, vale a dire come vero e proprio atto autorizzatorio proveniente dalla pubblica amministrazione.
Infatti, secondo il Tribunale, è possibile adottare provvedimenti di autotutela da parte della pubblica amministrazione solo laddove si intenda la denuncia di inizio attività quale provvedimento amministrativo, vale a dire titolo abilitativo tacito, formatosi a seguito della denuncia da parte del privato e del conseguente comportamento inerte dell’amministrazione.
Si consolida quell’orientamento giurisprudenziale che, in linea con quanto l’Ance ha da sempre sostenuto, qualifica la domanda del privato, in presenza di tutti i requisiti formali e sostanziali prescritti dalla legge, come provvedimento tacito della Pubblica amministrazione


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