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Servizio Tributario - referente: rag. Enrico Massardi
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23.03.2012 - tributi

CESSIONE DI IMMOBILI – ACCERTAMENTO

(Ord. Cassazione n.1972/2012)

Nelle compravendite immobiliari, è legittimo l’accertamento a carico dell’impresa cedente, ai fini IVA e delle imposte dirette, basato sia sullo scostamento tra “valore normale” e corrispettivo di vendita, sia su ulteriori elementi di prova.
Questo il disposto dell’Ordinanza n.1972 del 10 febbraio 2012 della Corte di Cassazione relativamente ad una fattispecie avente ad oggetto la legittimità di una verifica, ai fini IVA e delle imposte sul reddito, in materia di cessione di immobili.
Nel caso di specie, la vicenda riguarda un’impresa di costruzioni, che aveva venduto tre unità immobiliari ad un prezzo inferiore al valore di mercato (ossia al cd. “valore normale”)[1], operando, altresì, un’anomala contabilizzazione dei ricavi e dei costi sostenuti per la costruzione delle medesime unità.
L’impresa, sottoposta ad accertamento, aveva proposto ricorso ed era risultata soccombente in entrambi i gradi di giudizio, presentando, poi, ricorso, in Cassazione.
Esaminando il caso di specie, la citata Ordinanza n.1972/2012 conferma quanto stabilito in appello dalla CTR (Regione Lombardia), ritenendo legittimo l’accertamento eseguito nei confronti dell’impresa venditrice.
In particolare, la Suprema Corte ribadisce la validità della verifica fiscale, poichè correttamente fondata sia sullo scostamento tra “valore normale” e corrispettivo di cessione, sia su una serie di «altri elementi presuntivi, i quali, tra loro associati, sono astrattamente idonei a sostenere la pretesa tributaria in fase contenziosa».
Gli ulteriori elementi idonei a giustificare l’accertamento[2], si legge nell’Ordinanza, sono i seguenti:
– «la grave incongruenza tra i ricavi contabilizzati delle tre operazioni immobiliari, pari ad una frazione del tutto esigua dei prezzi e dei costi contabilizzati, e i ricavi ragionevolmente ritraibili dalle condizioni di esercizio dell’attività».
A parere della Cassazione, dalle risultanze contabili dell’impresa emergeva una sorta di antieconomicità dell’operazione, stante la sostanziale equiparazione tra i ricavi dichiarati (di molto inferiori a quelli ottenibili in base alla tipologia di attività esercitata) ed i costi sostenuti.
– l’applicazione di corrispettivi simili per unità immobiliari (abitazioni e box) aventi metrature assai differenti tra loro;
– l’importo dei mutui contratti dagli acquirenti, nettamente superiore al corrispettivo di vendita (cd. “incongruenze estrinseche”).
In tal ambito, l’orientamento espresso nell’Ordinanza 1972/2012 sembra recepire le indicazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate (C.M. n.18/E/2010), a seguito dell’abrogazione della disposizione[3] che consentiva l’accertamento sulle compravendite immobiliari in base al “valore normale”, sia ai fini IVA che delle imposte sul reddito (art.24, comma 4, lett.f, e 5, legge 88/2009 – legge Comunitaria 2008).
Infatti, nella citata C.M. n.18/E/2010, riconoscendo l’efficacia retroattiva dell’eliminazione della norma sul “valore normale”, l’Amministrazione finanziaria raccomanda ai propri Uffici di riesaminare gli elementi a fondamento della pretesa tributaria.
In particolare, alla luce dell’intervenuta modifica normativa, devono restare pendenti unicamente i giudizi nei quali l’infedeltà del corrispettivo dichiarato sia sostenuta, oltre che dal mero riferimento allo scostamento dello stesso dal “valore normale”, anche da ulteriori elementi presuntivi idonei ad integrare la prova della pretesa del Fisco[5].
In ogni caso, come chiarito dalla C.M. n.18/E/2010, nel riesaminare le controversie gli Uffici devono verificare «la presenza di tali ulteriori elementi presuntivi, i quali, tra loro associati, siano idonei a sostenere la pretesa tributaria in fase contenziosa, tenuto conto, altresì, delle ragioni rappresentate dal contribuente».
A tal riguardo, si ricorda che l’abrogazione delle regole che consentivano agli Uffici fiscali di rettificare i corrispettivi relativi alle cessioni degli immobili, nell’ipotesi in cui gli stessi fossero inferiori al “valore normale” è conseguente alla formale denuncia presentata dall’ANCE alla Commissione europea, relativa all’incompatibilità di tali regole con la Direttiva 2006/112/CE (in materia di IVA).
In merito, si evidenzia che l’orientamento espresso nella citata Ordinanza, pur tenendo conto del nuovo assetto normativo, e recependo i citati chiarimenti ministeriali, secondo cui il mero scostamento dal “valore normale” non legittima l’accertamento ai fini IVA e delle imposte sul reddito, finisce per minare la libertà imprenditoriale, attribuendo al Fisco il potere di sindacare le scelte economiche, quali, ad esempio, l’autonomia di determinare in modo insindacabile il prezzo di vendita di un immobile, o la convenienza economica di un affare.
Pertanto, si richiama l’attenzione delle imprese associate a tenere in debita considerazione le determinazioni dell’Ordinanza, in modo da prevenire ulteriori contestazioni nella definizione del prezzo di vendita, basate sugli elementi presuntivi addotti dall’Amministrazione finanziaria.

Note:
[1] Per “valore normale” si intende il prezzo, o corrispettivo, mediamente praticato per beni della stessa specie (cfr., ai fini IVA, l’art.14 del D.P.R. 633/1972, e ai fini delle imposte sul reddito, art.9, comma 3, del D.P.R. 917/1986-TUIR). Per le compravendite immobiliari, il “valore normale” viene ricavato in base ai dati dell’Osservatorio del mercato immobiliare (O.M.I. – Cfr. Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate 27 luglio 2007).
[2] L’art.38, D.P.R. n.600/1973, disciplina l’accertamento cd. “induttivo”, che permette di quantificare un maggior reddito, rispetto a quello dichiarato, sulla base di elementi extra-contabili e si differenzia dall’accertamento analitico (art.39 del medesimo D.P.R.), che si basa su prove dirette, cioè di dati emergenti da scritture contabili.
[3] La norma che consentiva di fondare le verifiche fiscali, per le compravendite immobiliari, in base al “valore normale” era stata introdotta dall’art. 35, commi 2-3 del D.L. 223/2006, convertito, con modifiche, dalla legge 248/2006 – cd. Decreto “Visco-Bersani”, ora abrogato dalla legge Comunitaria 2008.
Allo stesso modo, per coordinamento normativo, deve intendersi abrogato anche l’art.35, comma 23-bis, della legge 248/2006, in base al quale, ai fini IVA, nel caso di trasferimento immobiliare finanziato con mutuo ipotecario o finanziamento bancario, il “valore normale” non può essere inferiore all’ammontare del mutuo o del finanziamento erogato.
[4] A titolo meramente esemplificativo, tali ulteriori elementi sono stati individuati dall’Agenzia delle Entrate nel valore del mutuo di importo superiore a quello della compravendita (come nel caso di specie), nei prezzi che emergono dagli accertamenti effettuati con la ricostruzione dei ricavi sulla base delle risultanze delle indagini finanziarie, nonchè quelli risultanti da precedenti atti di compravendita del medesimo immobile.

 


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