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19.07.2012 - urbanistica

VOLUMI E SUPERFICI COPERTE RESIDUI VANNO CALCOLATI PREVIO DECURTAMENTO DI QUELLI IN PRECEDENZA REALIZZATI

VOLUMI E SUPERFICI COPERTE RESIDUI VANNO CALCOLATI  PREVIO DECURTAMENTO DI QUELLI  IN PRECEDENZA REALIZZATI
(CdS, Sezione IV,  sentenza n. 2941 del 22 maggio 2012)

Il Consiglio di Stato richiama il concetto, più volte affermato, secondo il quale, qualora un lotto urbanisticamente unitario sia stato già oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua o la superficie coperta residua, vanno calcolate  previo decurtamento di quella in precedenza realizzata, con irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali o alienazioni parziali, onde evitare che il computo dell’indice venga alterato con l’ipersaturazione di alcune superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità nel residuo.
Ne consegue che, ai fini della costruzione di nuovi volumi, è irrilevante che un lotto unitario sia catastalmente suddiviso in più particelle, essendo necessario considerare tutti i volumi già esistenti sull’intera area di proprietà.
Contemporaneamente si esprime in merito alla mancata indicazione del nominativo del responsabile del procedimento, che, in linea di principio, esclusi concreti atti pregiudiziali, costituisce semplice irregolarità che non refluisce in illegittimità del provvedimento finale.
 In difetto di tale designazione, è infatti considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto all’unità organizzativa competente.
SENTENZA
FATTO
Con sentenza 15 luglio 2004, n. 10239, il Tribunale amministrativo regionale per la Campania – Napoli, Sezione II, respingeva il ricorso proposto dal signor … ….. contro il diniego opposto dal Comune di . . . . . . . . . . . alla richiesta di concessione edilizia per la realizzazione di un fabbricato da destinare a civile abitazione. L’Amministrazione comunale aveva preso in considerazione la circostanza che nel lotto di circa 1000 mq. (dal quale, per frazionamenti successivi, è derivata la particella per cui è stata richiesta la concessione edilizia) con successive licenze edilizie, a partire dal 1968, era stata autorizzata l’edificazione di un albergo – ristorante e, all’esito di una articolata istruttoria, aveva rigettato la richiesta sul presupposto che, per accertare la volumetria edificabile sulla particella in questione, fosse necessario scorporare la volumetria già edificata sul lotto unico originario.
Contro la sentenza interponeva appello . . .  .
In primo luogo, la sentenza impugnata avrebbe trascurato che l’albergo-ristorante costruito sul lotto originario non sarebbe stato oggetto di alcun asservimento, mancando qualunque atto formale in tal senso, quale un impegno preso in sede di rilascio della licenza o una clausola apposita.
Il giudice di primo grado avrebbe errato nell’aver sottovalutato sia il carattere necessariamente formale dell’asservimento, sia il fatto che, rientrando l’albergo-ristorante in una tipologia di costruzioni all’epoca ricondotte all’edilizia di tipo produttivo assoggettata – ai sensi dell’art. 17 della legge n. 765 del 1967 – esclusivamente al limite della superficie coperta (nella misura di un terzo), non potrebbe comunque essere considerato quale volumetria preesistente all’atto di richiesta della concessione edilizia.
Erroneamente, inoltre, la sentenza appellata avrebbe affermato l’irrilevanza, rispetto alla lamentata illegittimità del diniego, della mancata comunicazione del nominativo del responsabile del procedimento e della omessa acquisizione della proposta di provvedimento da parte di quest’ultimo.
Il . . . . . . . . . . si costituiva in giudizio per resistere all’appello e, in vista della pubblica udienza, depositava memoria.
Alla udienza pubblica del 24 aprile 2012, l’appello veniva chiamato e trattenuto in decisione.
DIRITTO
Come ricordato in narrativa, l’area alla quale si riferisce la concessione edilizia, richiesta dalla parte privata e negata dall’Amministrazione, deriva per successivi frazionamenti da un lotto originario, su cui è stato costruito un albergo-ristorante.
Si controverte sul rilievo che, ai fini del rilascio del titolo edilizio, debba riconoscersi il volume relativo all’opera già edificata.
Al riguardo il Giudice amministrativo ha più volte avuto modo di affermare che, qualora un lotto urbanisticamente unitario sia stato già oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua (o la superficie coperta residua) va calcolata previo decurtamento di quella in precedenza realizzata, con irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali o alienazioni parziali, onde evitare che il computo dell’indice venga alterato con l’ipersaturazione di alcune superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità nel residuo (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12 luglio 2004, n. 5039; Id., Sez. III, 28 aprile 2009, n. 965).
Ne consegue che, ai fini della costruzione di nuovi volumi, è irrilevante che un lotto unitario sia catastalmente suddiviso in più particelle, essendo necessario considerare tutti i volumi già esistenti sull’intera area di proprietà (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 21/09/2009, n. 5637).
Tanto è consolidato questo orientamento che l’Adunanza plenaria ha rilevato che, in sede di determinazione della volumetria assentibile su una determinata area secondo l’indice di densità fondiaria in vigore, è computabile anche la costruzione realizzata prima della legge 17 agosto 1942, n. 1150, quando cioè lo “ius aedificandi” era considerato pura estrinsecazione del diritto di proprietà, trattandosi di circostanza ininfluente in sede di commisurazione della volumetria assentibile in base alla densità fondiaria, cioè a quella riferita alla singola area e che individua il volume massimo consentito su di essa.
Ciò comporta la necessità di tener conto del dato reale costituito dagli immobili che su detta area si trovano e delle relazioni che intrattengono con l’ambiente circostante (Cons. Stato, Ad. plen., 23 aprile 2009, n. 3).
Rileva, in definitiva, la situazione di fatto, apprezzata con riguardo al lotto originario.
Il che nella fattispecie il ….. non contesta, concentrando piuttosto il primo motivo dell’appello sul profilo – del tutto giuridico e non fattuale – della mancanza di un formale atto di asservimento del precedente fabbricato e di un diverso rilievo di quest’ultimo secondo la normativa urbanistica dell’epoca.
Circostanze queste che, per le ragioni sopra dette, devono considerarsi ininfluenti, non ritenendo il Collegio di doversi discostare da una giurisprudenza cospicua e consolidata.
Neppure sono fondati i due profili dell’ulteriore motivo dell’appello.
Non ha pregio il rilievo relativo alla mancata indicazione del nominativo del responsabile del procedimento ex art. 4, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241.
A questo proposito, la giurisprudenza ha ripetutamente chiarito che tale omissione costituisce in linea di principio (e cioè salve le ipotesi in cui sia dimostrato un concreto pregiudizio, il che nella specie non è avvenuto) semplice irregolarità, che non refluisce in illegittimità del provvedimento finale.
Trova infatti applicazione la norma suppletiva recata dal successivo art. 5, comma 2, della stessa legge n. 241 del 1990, secondo il quale, in difetto di tale designazione, è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto all’unità organizzativa competente (cfr. ex plurimis C.d.S., Sez. II, 16/05/2007, n. 866; Id., Sez. IV, 17/12/2008, n. 6242; Id., Sez. IV, 12 /05/2009, n. 2910; Id., Sez.V, 20/06/2011, n. 3681).
Neppure è fondato l’altro rilievo, concernente la mancanza di una proposta del responsabile del procedimento.
Dal combinato disposto degli artt. 4 e 6 della citata legge n. 241 del 1990 risulta che il compito essenziale di quest’ultimo è quello di accertare i fatti “disponendo il compimento degli atti all’uopo necessari”; pertanto la legge affida all’apprezzamento del responsabile del procedimento il compito di individuare i mezzi istruttori più idonei per l’accertamento dei fatti da porre a fondamento del provvedimento conclusivo.
La scelta dei mezzi può ritenersi viziata sotto il profilo della legittimità solo allorché appaia incongrua rispetto al fine voluto dal legislatore ovvero porti a risultati aberranti o a travisamento dei fatti (cfr. Cds, Sez. VI, 20/05/2009, n. 3097).
Il Giudice di primo grado ha correttamente osservato che, nel caso in questione, l’Amministrazione ha posto in essere un’ampia e approfondita istruttoria (del che peraltro il ….., almeno nel ricorso di primo grado, sembra con qualche contraddizione dolersi). Il vizio denunciato perciò non sussiste.
Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello è infondato e va perciò respinto. Conformemente alla legge le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata. Condanna l’appellante alle spese, che liquida nell’importo di euro . . . . . ( . . . . . ) oltre agli accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.


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