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28.05.2015 - lavori pubblici

FALSA DICHIARAZIONE PER DISATTENZIONE – REVOCA DELL’ATTESTATO SOA ED ESCLUSIONE DALLE GARE

E’ sempre più importante prestare attenzione alla documentazione fornita alla SOA nel corso dall’attestazione, poiché accertata omissione delle verifiche esigibili in base all’ordinaria diligenza, l’Autorità non è tenuta ad evidenziare l’intenzionalità della condotta, al fine formulare «del tutto ragionevolmente» l’imputazione del falso in termini di colpa grave.
Sono queste le conclusioni che si ricavano dalla sentenza del 2 febbraio 2015 n. 468 emessa dalla Sezione sesta del Consiglio di Stato, che ha condiviso la tesi dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (oggi Anac) sulla sussistenza di una colpa grave “oggettiva” a carico di un’impresa di costruzioni per aver partecipato ad appalti con documenti risultati con «alterazioni e difformità» su tre categorie di lavorazione.
Sull’argomento si approfondiscono gli aspetti di seguito elencati:
a. valutazione “oggettiva” della colpa,
b. colpa grave,
c. non imputabilità all’impresa,
d. mancato rispetto dei termini previsti dal regolamento,
e. conseguenze sulla partecipazione alle gare,
f. conseguenze penali.

a. Valutazione “oggettiva” della colpa
L’operatore economico che presenta alla SOA, in sede di attestazione, un documento che viene riscontrato essere falso è soggetto ad apposito procedimento ex art. 40, comma 9-quater, del Codice dei contratti.
Alla fine di tale procedimento, qualora l’Autorità ritenga che le documentazioni siano state rese con dolo o colpa grave, «dispone l’iscrizione nel casellario informatico ai fini dell’esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalto ai sensi dell’articolo 38, comma 1, lettera m-bis), per un periodo di un anno», con relativa annotazione sul casellario e senza apparente possibilità di gradazione della sanzione, come nel caso di falso reso alla stazione appaltante di cui alla lett. h) dello stesso articolo.
Al riguardo, si osserva che l’ANAC ha in passato ritenuto di poter disporre una più contenuta sanzione, rispetto a quella indicata dalla disposizione (di un anno, appunto), valutando la tenuità dei fatti contestati alle imprese che avevano presentato un documento falso in sede di attestazione SOA, (cfr. provvedimento ANAC del 2.9.2014, n. 26-S, in procedim. 10/950/2013).Tanto premesso, secondo i giudici di Palazzo Spada, è inequivocabilmente connotato da profili di negligenza, cioè di colpa, il comportamento del soggetto che, dopo aver dichiarato il possesso dei requisiti necessari per la qualificazione, e prima di dimostrarne il possesso mediante la presentazione dei relativi certificati, non ne controlla contenuto e veridicità.
Lo esigono l’importanza e la durata temporale degli effetti riconnessi dalla legge alle attestazioni nonché le ridotte possibilità dell’A.NA.C. di svolgere accertamenti dettagliati e specifici in ordine all’elemento psicologico attinente alla consapevolezza e all’intenzionalità della falsità in capo all’utilizzatore del documento contraffatto.
Infatti, l’Autorità non ha i poteri necessari per svolgere accertamenti dettagliati e specifici in ordine all’elemento psicologico attinente alla consapevolezza e all’intenzionalità della falsità in capo all’utilizzatore del documento contraffatto, sicché la sussistenza del dolo è soltanto presumibile, sulla base del concreto interesse alla contraffazione.

b. Colpa grave
Nella sentenza in commento è analizzato il caso in cui deve presupporsi imputabile, a titolo di colpa grave, all’operatore economico che abbia presentato documentazione falsa alla SOA.
Secondo la Corte, per una corretta interpretazione è determinante la lettura della norma Codice, in cui si prevede che, in caso di presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione, ai fini della qualificazione, l’Autorità valuta dolo o colpa grave «in considerazione della rilevanza o della gravità dei fatti oggetto della falsa dichiarazione o della presentazione di falsa documentazione» (art. 40, comma 9-quater).
Ciò conduce i giudici di Palazzo Spada a ritenere che la colpa grave (così come il dolo) può essere
– desunta dalla semplice rilevanza o dalla gravità dei fatti oggetto della falsa dichiarazione o della presentazione di falsa documentazione,
– valutata la facilità intrinseca di rilevazione delle «alterazioni e difformità»;
– considerata l’omissione della diligenza professionale, che impone un controllo di quanto fornito alla SOA, anche attraverso una semplice riscontro con la documentazione in possesso della stessa società interessata.
Si tratta, pertanto, di un concetto di “colpa” del tutto indipendente dall’elemento soggettivo che prende in considerazione – come nel caso specifico – che i documenti inquinanti ben tre categorie di lavorazione sarebbero stati facilmente individuabili, raffrontando le lavorazioni effettivamente eseguite rispetto a quelle indicate nella documentazione presentata all’organismo SOA.
Da rilevare che, in un’altra occasione, la giurisprudenza amministrativa aveva già osservato che «la perdita del prescritto requisito generale postula non solo la produzione in sede di richiesta di rilascio di attestazione di documentazione falsa ma anche la riferibilità soggettiva del fatto all’impresa richiedente a titolo di dolo o colpa, nozione quest’ultima qualificabile in termini di violazione di doveri di diligenza» (TAR per il Lazio, Sez. III, nella pronuncia n. 32138 del 8/9/2010).

c. Non imputabilità all’impresa
Indipendentemente dalla riconducibilità all’impresa del falso, il destino dell’attestato è comunque segnato
Infatti, anche l’accertata non imputabilità all’impresa delle false dichiarazioni non esime la stessa dal ricevere un provvedimento di decadenza dell’attestazione, rilasciata in base alla documentazione di cui sia oggettivamente emersa la non veridicità. L’acclarata falsità oggettiva giustifica e impone — indipendentemente da ogni ricerca sull’imputabilità soggettiva del falso — il ritiro dell’attestazione di qualificazione rilasciata sulla base dei documenti riconosciuti come falsi (così anche sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5922).
Inoltre, secondo giurisprudenza costante, è irrilevante anche l’eventuale veridicità del lavoro descritto nel Certificato di esecuzione, poiché anche in questo caso è stata evidenziata la sola rilevanza, al fine dell’annullamento dell’attestazione di qualificazione, del «fatto oggettivo della falsità dei documenti sulla base dei quali è stata conseguita, indipendentemente da ogni ricerca sulla imputabilità soggettiva del falso» (Cons. Stato, Sez. VI, n. 129 del 24.1.2005).
Considerata la valenza pubblicistica dell’attesto SOA, l’attestazione stessa non può che basarsi su documenti autentici, e non deve rimanere in vita se basata su atti falsi, quali che siano i soggetti che hanno dato causa alla falsità.
Ne consegue che l’attestazione di qualificazione rilasciata in base a falsi documenti va annullata anche se in ipotesi la falsità non sia imputabile all’impresa che ha conseguito l’attestazione.

d. Mancato rispetto dei termini previsti dal regolamento
Ai fini di una contestazione del provvedimento, il Consiglio ritiene irrilevante il superamento dei tempi che l’A.N.AC. si è autoimposta per l’espletamento della procedura di decadenza dell’attestazione.
La perentorietà può essere, infatti, attribuita ad una scadenza temporale solo da una espressa norma di legge (per tutte Consiglio di Stato, sez. VI, 27 febbraio 2012, n. 1084) e, pertanto, non determina l’illegittimità dell’atto, ma una semplice irregolarità non viziante, che non esaurisce il potere dell’Autorità a provvedere ex art. 40, comma 9-quater (Corte cost., 18 luglio 1997, n.262 e l7 luglio 2002, n. 355).
Inoltre, anche volendo ammettere la perentorietà del termine, l’eventuale conseguenza della decadenza della potestà amministrativa, o della illegittimità del provvedimento tardivamente adottato, «avrebbe senso, perché la cessazione della potestà, derivante dal protrarsi del procedimento, potrebbe nuocere all’interesse pubblico alla cui cura quest’ultimo è preordinato, con evidente pregiudizio della collettività» (Cons. Stato, VI, 19 febbraio 2003, n. 939; Cons. giust. amm. 14 febbraio 2001, n. 77).

e. Conseguenze sulla partecipazione alle gare
La decadenza dell’attestazione SOA, e i suoi effetti sulle gare di appalto, sono stati affrontati in una recente e diversa sentenza del Consiglio di Stato in cui è ben distinto l’elemento oggettivo della presentazione in sede di attestazione di un documento falso dall’eventuale le imputabilità all’impresa del falso stesso (Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 3 febbraio 2015, n. 510).
In particolare, secondo il Collegio il regolamento ben chiarisce che l’affidamento e lo svolgimento di lavori pubblici d’importo superiore a Euro 150.000,00 può essere aggiudicato solamente agli operatori economici dotati dell’attestazione SOA corrispondente ai lavori da realizzare.
Da ciò non può che discendere che la validità di tale attestazione deve permanere fino al compimento delle opere e la stazione appaltante può in ogni momento, anche dopo il provvedimento di aggiudicazione definitiva, escludere dalla gara un’impresa, anche quella che sia stata definitivamente dichiarata aggiudicataria, allorquando accerti la mancanza dei requisiti di partecipazione alla gara stessa (Sez. V, sentenza 12 luglio 2010 n. 4477).
Non è, pertanto, possibile limitare possibilità di risoluzione del contratto di appalto – oltre ai casi generali di gravi inadempimenti alle obbligazioni contrattuali tali da comprometterne la corretta esecuzione e gravi ritardi dovuti alla negligenza dell’appaltatore di cui all’art. 136 del Codice dei contratti, D. Lgs. 163 del 2006 – solo qualora la stazione appaltante accerti la presenza nel casellario informatico dell’Autorità della sopravvenuta decadenza dell’attestazione SOA, prevista ai sensi del comma 1 bis dell’art. 135 del Codice dei contratti (sostanzialmente sostitutiva dell’art. 340 della L. 2248 del 1865).
Infatti, secondo i giudici di Palazzo Spada, riscontrata la presentazione alla SOA di documentazione non veritiera, non assume alcun rilievo che a seguito di ricorso al giudice amministrativo sia venuta meno l’annotazione nel casellario informatico.
Come osservato in una diversa occasione dallo stesso Consiglio, neppure avrebbe consistenza l’eventuale nulla osta dell’Autorità alla sottoscrizione di un nuovo contratto di attestazione SOA, poiché tale provvedimento non comporta il venir meno della già disposta decadenza della precedente attestazione SOA (Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza 1 aprile 2014 n. 2212).
Sicché, si può concludere che una cosa è il requisito richiesto ai fini della possibilità dell’impresa di conseguire una nuova attestazione SOA e altra cosa è il requisito soggettivo di partecipazione alle gare richiesto dalla causa di esclusione, contenuta alla lettera m-bis, dell’art. 38, comma 1, del Codice dei contratti.
L’accertamento di non imputabilità del falso fa riacquistare all’impresa con effetto ex tunc il primo dei requisiti suindicati, riguardante la SOA, ma non è detto che ciò comporti automaticamente analogo effetto retroattivo anche per il secondo e, quindi, per le gare di appalto.

f. Conseguenze penali
L’ultimo profilo d’interesse nel caso di provvedimento di decadenza per false dichiarazioni/attestazioni, consegue all’obbligo della SOA di segnalare il falso alla competente Procura della Repubblica e ad inviare all’Autorità una relazione sulla documentazione acquisita comprovante la presentazione della falsa dichiarazione o falsa documentazione.
Infatti, sotto un profilo penalistico, è interessante quanto deciso dalla Corte di Cassazione, in sede penale, in ordine alla natura del certificato di esecuzione dei lavori (cd. CEL) e, in particolare, sulla configurabilità della fattispecie prevista dall’art. 483, in ordine alla falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (Sez. V, 21 luglio 2014 – ud. 10 giugno 2014 – n. 32046).Ad avviso della Corte, la nozione di “atto pubblico” comprende indubbiamente un’ampia estensione tipologica di scritti, ma «essenziali rimangono però i presupposti della provenienza dell’atto da un pubblico ufficiale, della formazione dell’atto per uno scopo inerente alle funzioni svolte dal predetto e del contributo fornito dall’atto ad un procedimento della pubblica amministrazione» (ex multis, Sez. V, n. 43737 del 27 settembre 2012).
Pertanto, i certificati di esecuzione dei lavori rilasciati dai committenti privati e controfirmati dal direttore dei lavori – pur disciplinati dal Codice dei contratti pubblici e finalizzati alla richiesta di attestazione per la qualificazione SOA – non costituiscono ragioni sufficienti per conferirgli dignità di atto pubblico e per attribuire al professionista che lo sottoscrive la qualifica di pubblico ufficiale

 


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