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Servizio Tecnico - referente: dott.ssa Sara Meschini
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16.01.2019 - lavori pubblici

APPALTI PUBBLICI – NESSUN CONTROLLO DI MORALITÀ SUI SINDACI SUPPLENTI

(Consiglio di Stato, sez. III, 29 novembre 2018, n. 6787 e Consiglio di Stato, sez. V, 22 ottobre 2018, n. 6016)
L’interpretazione della norma del Codice dei contratti pubblici, che impone l’individuazione del complesso panorama delle possibili figure rilevanti ai fini della verifica di onorabilità del concorrente, deve essere guidata dalla sua ratio, che è quella di evitare che l’amministrazione contratti con persone giuridiche governate da persone fisiche sprovviste dei necessari requisiti di onorabilità ed affidabilità morale o professionale.
Pertanto, in mancanza di una causa di cessazione dalla carica che abbia riguardato un membro titolare, non rileva l’eventuale condanna nei confronti del sindaco supplente, diversamente il provvedimento di revoca dall’aggiudicazione è essenzialmente fondato, laddove la causa di esclusione ricada sul vicepresidente o sul revisore legale dei conti.

È quanto emerso in due differenti sentenze del Consiglio di Stato che aiutano a definire l’ambito di applicazione dell’art. 80, comma 3 del Codice dei contratti, d.lgs. 50/2016, con cui è stato delimitato l’ambito dei soggetti su cui verte la dichiarazione di onorabilità ed affidabilità morale o professionale (rispettivamente Consiglio di Stato, sez. III, 29 novembre 2018, n. 6787 e Consiglio di Stato, sez. V, 22 ottobre 2018, n. 6016).

1. Membri supplenti del collegio sindacale
Con la prima sentenza (sez. III, 29 novembre 2018, n. 6787) viene data risposta negativa alla necessità di verificare il membro supplente del collegio sindacale.
Nel caso in esame la ditta ricorrente, inizialmente risultata aggiudicataria della gara indetta da Consip per “l’affidamento della fornitura di autoveicoli”, veniva poi esclusa a causa dell’insussistenza dei requisiti di moralità di cui all’art. 80, comma 1 del Codice dei Contratti, in quanto uno dei due Sindaci “supplenti” aveva omesso di dichiarare una sentenza di condanna ex art. 444 c.p.p. (divenuta nel frattempo irrevocabile). Lo stesso si era successivamente dimesso dall’incarico ed aveva anche espresso la volontà di cancellarsi dall’albo dei dottori commercialisti e revisori legali.
Il ricorrente aveva contestato già davanti al TAR che gli obblighi dichiarativi di cui all’art. 80 del Codice dei contratti pubblici fossero applicabili al sindaco supplente. Ciò in ragione del fatto che ai sensi degli artt. 2397 e 2401 cod. civ. il collegio sindacale si compone di membri effettivi e che, per contro, i membri supplenti «subentrano» nell’organo solo in caso di morte, rinuncia o decadenza da sindaco di un membro effettivo.
Sulla questione così posta, il Consiglio di Stato ha deciso che la causa di esclusione dalle procedure di affidamento di contratti pubblici prevista dall’art. 80, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016 non si applica nei confronti dei sindaci supplenti (da notare che nel caso di specie veniva in rilievo la lettera “b” secondo cui incidono sull’affidabilità morale dell’operatore economico le condanne per «delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322, 322-bis…»).
Infatti, il Consiglio di Stato ritiene che i membri supplenti del collegio sindacale non svolgono alcuna funzione di «vigilanza», né tanto meno possono essere qualificate come persone che esercitino in via di fatto poteri di «controllo», come richiesto dal Codice.
A conferma di ciò il codice civile:
– all’art. 2403 attribuisce al collegio sindacale il seguente compito: «vigila sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento» (comma 1); ed inoltre il compito di esercitare «il controllo contabile nel caso previsto dall’articolo 2409 bis, terzo comma», ovvero in luogo di un revisore esterno, per le società per azioni non tenute alla redazione del bilancio consolidato.
– all’art. 2397 prevede che l’organo di controllo «si compone di tre o cinque membri effettivi, soci o non soci» (comma 1, primo periodo); e che «Devono inoltre essere nominati due sindaci supplenti» (secondo periodo).
– all’art. 2401 del medesimo codice stabilisce inoltre che questi ultimi «subentrano» ai titolari in caso di «morte, di rinunzia o di decadenza di un sindaco» e che gli stessi supplenti «restano in carica fino alla prossima assemblea, la quale deve provvedere alla nomina dei sindaci effettivi e supplenti necessari per l’integrazione del collegio».
Pertanto, i supplenti «non operano nell’organo incaricato del controllo di legittimità degli atti societari, ed eventualmente della revisione contabile, se non al ricorrere di una delle cause di cessazione dalla carica previste dall’art. 2401 cod. civ. sopra citato che abbia riguardato un membro titolare, e per il tempo strettamente necessario a ricomporre la pluralità dell’organo».
Per contro, al di là di un’investitura formale del soggetto ed a prescindere dai meccanismi di funzionamento del modello societario prescelto, il codice dei contratti pubblici incentra la causa di esclusione degli operatori economici per condanne penali incidenti sulla moralità professionale sui componenti degli organi societari che abbiano “in concreto” esercitato all’interno di esse le funzioni elencate dal più volte citato art. 80, co. 3 del Codice e dalla sovraordinata disposizione di cui all’art. 57 della direttiva 2014/24/UE.
Solo in questo caso può, infatti, secondo il Collegio «ritenersi integrato il presupposto del “contagio” alla persona giuridica della causa di inaffidabilità morale dalla persona fisica condannata per precedenti penali ostativi».
Laddove tale presupposto manchi, l’esclusione dalla partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici verrebbe correlato ad una responsabilità di posizione della società, determinando «un avanzamento eccessivo della soglia di prevenzione dall’affidamento di contratti pubblici», anche rispetto a situazioni nelle quali l’operatore economico è estraneo ai fatti di reato, e dunque alla causa di inaffidabilità morale della persona fisica non corrisponda un’effettiva esigenza sostanziale dell’amministrazione.

2. Vicepresidente e revisore legale
Nella seconda fattispecie in esame, l’esclusione per omessa dichiarazione era contestata nei confronti di un vicepresidente, dotato di rappresentanza e di poteri analoghi a quelli del Presidente, e di un revisore legale, che, come noto, esercita poteri di controllo ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39, garantendo la serietà dell’impresa dal punto di vista contabile (Consiglio di Stato, sez. V, 22 ottobre 2018, n. 6016).
Infatti, le posizioni dei due soggetti sono riconducibili anche a quanto previsto dall’art. 45 della Direttiva U.E. 2014/24, che impone l’obbligo dichiarativo a «qualsiasi persona» che «eserciti il potere di rappresentanza, di decisione o di controllo» dell’impresa, mirando, conformemente del resto all’orientamento generale del diritto dell’Unione, ad una interpretazione sostanzialista della figura.
In particolare, per quanto riguarda il revisore, il Consiglio di Stato ha ritenuto che tanto più nel caso in cui non sia previsto un Collegio Sindacale (art. 2409-bis, comma 2, cod. civ.) e «il controllo contabile della società .. [sia] attribuito ad un revisore legale dei conti o ad una società di revisione legale iscritta nell’apposito registro … le informazioni e le dichiarazioni richieste dall’art. 80 del Codice dei Contratti devono essere rese anche nei suoi confronti».
A tale proposito, si ricorda che l’ANAC ha operato una distinzione tra singolo «revisore contabile», soggetto a controllo della stazione appaltante, e società di revisione, sulla quale ha invece ritenuto non dovesse esserci alcuna verifica «sui membri degli organi sociali della società di revisione, trattandosi di soggetto giuridico distinto dall’operatore economico concorrente cui vanno riferite le cause di esclusione» (Comunicato 8 novembre 2017).
Alla stregua di tali coordinate ermeneutiche, il Collegio ritiene irrilevante la questione della sanabilità, mediante soccorso istruttorio, della mancata dichiarazione, perché «nel caso di specie la ragione dell’esclusione risiede non nel fatto formale (dell’inadempimento dell’obbligo dichiarativo), ma nel dato sostanziale rappresentato dalla carenza dei requisiti di affidabilità morale».

Allegati:
Comunicato art. 80_8 nov 17
Consiglio di Stato, sez. III, 29 novembre 2018, n. 6787
Consiglio di Stato, sez. V, 22 ottobre 2018, n. 6016

 


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