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Servizio Sindacale – dott. Francesco Zanelli - dott.ssa Sara Zoni
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24.11.2023 - lavoro

CORTE DI CASSAZIONE – DIMISSIONI – INEFFICACIA DELLA PRESENTAZIONE IN FORME DIVERSE DALLA PROCEDURA TELEMATICA MINISTERIALE – ORDINANZA 26 SETTEMBRE 2023, N. 27331

Un lavoratore ha impugnato in Cassazione la sentenza di secondo grado che aveva accertato la legittimità delle sue dimissioni: ad avviso della Corte d’Appello, in effetti, il dipendente non era riuscito a dimostrare l’esistenza, nel caso di specie, di un atto espulsivo proveniente dal datore di lavoro.

Nella motivazione, la sentenza aveva, fra l’altro, richiamato il consolidato orientamento con cui la giurisprudenza di legittimità ha più volte confermato la libertà di forma del recesso del lavoratore, alla luce del disposto di cui all’art. 2118 del Codice civile.

Il ricorso del lavoratore poggiava, invece, sulla necessità di superare tale orientamento, vista l’entrata in vigore, nel 2015, di una previsione che, da allora, impone una forma particolare alle dimissioni rese dal dipendente.

La Cassazione ha, in effetti, condiviso la posizione del lavoratore, poiché l’art. 26 del D. Lgs. n. 151/2015 dispone che le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro possono essere presentate, a pena di inefficacia, esclusivamente con le modalità telematiche previste dall’apposita procedura definita dal Ministero del Lavoro.

La Suprema Corte ha, quindi, censurato la sentenza di secondo grado, nella parte in cui non ha considerato come i fatti oggetto del ricorso si siano, in realtà, svolti dopo l’emanazione della normativa introdotta con il già citato D. Lgs. n. 151/15.

Con l’occasione, la Cassazione ha, quindi, precisato che la norma di cui trattasi, nell’introdurre, in sostanza, un obbligo di forma scritta anche per le dimissioni, come già accade per il licenziamento, non ha alterato la natura unilaterale e recettizia dell’atto.

Le dimissioni, pertanto, continuano a produrre effetto solo dal momento della loro conoscenza da parte del destinatario, ma dal 2015 viene imposto, per legge, che le stesse abbiano una forma determinata – la già citata procedura informatica – da seguire in tutti i casi di interruzione volontaria del rapporto ad opera del dipendente.

Solo per completezza, ricordiamo che le uniche eccezioni a quanto sopra sono rappresentate dalle dimissioni rassegnate in una sede protetta o avanti alla Commissione di certificazione.

La posizione espressa dalla Corte rende delicato poter sostenere, nell’attuale quadro normativo, l’esistenza di una risoluzione per fatti concludenti. In altri termini, resta difficile considerare cessato il rapporto, pur in assenza di dimissioni presentate dal lavoratore, per via del comportamento di quest’ultimo, che si manifesta, il più delle volte, attraverso una prolungata assenza ingiustificata.

Pare, quindi, che la Cassazione voglia superare il contenuto di alcune recenti pronunce di merito, nelle quali sembrava formarsi, invece, un orientamento favorevole all’affermazione della risoluzione per fatti concludenti.

Al riguardo, segnaliamo, comunque, che è all’attenzione del Parlamento un disegno di legge con cui i proponenti cercano di porre rimedio al vuoto normativo sul punto.

Secondo la proposta di legge, qualora il lavoratore dovesse assentarsi ingiustificatamente dal lavoro per un periodo protrattosi oltre il termine previsto dal CCNL, tale situazione potrà essere qualificata come risoluzione del rapporto per volontà del lavoratore.

Vale, al riguardo, la riserva di aggiornare le imprese associate, da parte nostra, circa l’iter parlamentare della suddetta proposta, utile, ad avviso di ANCE Brescia, per prevenire gli abusi di quei dipendenti che usano arbitrariamente la vigente normativa per farsi licenziare, incassare l’indennità sostitutiva del preavviso e accedere, nel contempo, al trattamento NASpI.

Allegato: Cass.-ord.-n.-27331-2023


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