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11.04.2002 - tributi

IVA – LIMITI ALLE DETRAZIONI IN CASO DI VARIAZIONE

IVA – LIMITI ALLE DETRAZIONI IN CASO DI VARIAZIONE IVA – LIMITI ALLE DETRAZIONI IN CASO DI VARIAZIONE
(Min. finanze – Ris. 18 /3/02, n. 89/E)

Le variazioni IVA possono essere effettuate senza limiti temporali, anche se il diritto alla detrazione dell’imposta può essere esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui si verifica il presupposto per operare la variazione in diminuzione. Per esercitare il diritto alla detrazione è necessario quindi che il cedente o prestatore provveda all’emissione di una nota di variazione e che la stessa sia registrata nel registro degli acquisti prima della liquidazione periodica o della dichiarazione annuale.
Quesito La società istante, nell’anno 1995, ha emesso nei confronti di una società, sua cliente, alcune fatture per la fornitura di capi di abbigliamento. Le fatture, regolarmente registrate in contabilità, non sono mai state saldate dal cliente che, nell’anno 1996, è stato dichiarato fallito. A seguito di istanza della società il credito vantato è stato ammesso al passivo fallimentare. La procedura fallimentare è stata chiusa con decreto emesso il 3 novembre 1997 ex articolo 119 della legge fallimentare, senza il pagamento del credito vantato dalla società istante. Tanto premesso, la società chiede di conoscere l’avviso di questa Direzione circa la possibilità di emettere le note di variazione di cui all’articolo 26 del DPR n. 633 del 1972, nonostante siano decorsi più di quattro anni dalla data di chiusura del fallimento.
Soluzione del contribuente La società ritiene legittima l’emissione delle note di variazione (imponibile e relativa imposta) per gli importi dei corrispettivi non riscossi, anche se sono decorsi oltre quattro anni dalla chiusura del fallimento, considerato che la normativa vigente non prevede alcun limite temporale entro il quale devono essere emesse dette note di variazione. La società fa presente, infine, che non costituisce un ostacolo al recupero dell’imposta non riscossa, l’aver dedotto integralmente il credito ai fini delle imposte dirette, ai sensi dell’articolo 66, comma 3, del TUIR, in quanto l’IVA detratta a seguito delle note di variazione sarebbe attratta a tassazione a titolo di sopravvenienza attiva.
Parere dell’Agenzia delle Entrate L’articolo 26, secondo comma del DPR n. 633 del 1972 (come modificato dall’articolo 2, comma 1, lettera c-bis del decreto legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito, con modifiche, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, e dall’articolo 13-bis del decreto legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito dalla legge 28 maggio 1997, n. 140) prevede che “se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, … per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali … il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’art. 19 l’imposta corrispondente alla variazione registrandola a norma dell’art. 25.” Per la corretta applicazione della disposizione appena richiamata occorre, come peraltro chiarito con circolare n. 77 del 17 aprile 2000, che si verifichino i seguenti presupposti:
– procedura fallimentare in corso alla data del 1 marzo 1997;
– operazione certificata da fattura regolarmente registrata;
– infruttuosità della procedura concorsuale.
In particolare nella procedura fallimentare il presupposto del mancato pagamento in tutto o in parte del corrispettivo si verifica alla scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto stabilito con decreto dal giudice delegato, ovvero, in assenza del piano di riparto, alla scadenza del termine per il reclamo al decreto di chiusura del fallimento stesso.
Per quanto riguarda le variazioni in diminuzione dell’imponibile, si ricorda che le stesse, a differenza di quelle in aumento, sono facoltative. Tuttavia, a norma del citato secondo comma dell’articolo 26 del DPR n. 633 del 1972, solo attraverso tale procedura è possibile esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta corrispondente alle variazioni, ai sensi dall’articolo 19 del medesimo decreto. Ai sensi dell’articolo 26, terzo comma, le variazioni in argomento, nei casi di sopravvenuto accordo tra le parti o inesattezza di fatturazione, possono essere eseguite entro un anno dalla effettuazione dell’operazione imponibile.
Le stesse variazioni in diminuzione possono essere effettuate senza alcun limite temporale – come dispone il secondo comma del medesimo articolo 26 – nelle ipotesi di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili nonchè di procedure concorsuali o procedure esecutive rimaste infruttuose ovvero di abbuoni o sconti previsti contrattualmente. Quest’ultima disposizione, tuttavia, va coordinata con quella concernente l’esercizio del diritto alla detrazione portata dal citato articolo 19, secondo cui tale diritto può essere esercitato “al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo”.
Ne deriva quindi che le variazioni possono essere effettuate senza limiti temporali, anche se il diritto alla detrazione dell’imposta può essere esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui si verifica il presupposto per operare la variazione in diminuzione. Per esercitare il diritto alla detrazione è necessario quindi che il cedente o prestatore provveda all’emissione di una nota di variazione e che la stessa sia registrata nel registro degli acquisti di cui all’articolo 25 prima della liquidazione periodica o della dichiarazione annuale nella quale è esercitato il diritto alla detrazione. In tale modo l’imposta da recuperare, considerata alla stregua dell’imposta corrisposta per gli acquisti o importazioni di beni e servizi, confluisce nelle liquidazioni periodiche, ed è detratta dalla relativa imposta a debito del periodo. Nel caso di fallimento del debitore la facoltà di eseguire la variazione in diminuzione sorge da quando è reso esecutivo il piano di riparto dell’attivo ovvero dalla data di chiusura della procedura fallimentare in assenza di un piano di riparto; ciò al fine di adeguare l’imposta al corrispettivo effettivamente incassato.
Da tale data il Contribuente, come si evince dal dettato normativo, “ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’art. 25”. Ne consegue che le note di variazione devono essere emesse entro lo stesso termine previsto dall’articolo 19 per l’esercizio del diritto alla detrazione dell’imposta sugli acquisti, con decorrenza dal momento in cui si verifica l’evento. Peraltro a fronte del diritto alla detrazione sorge in capo al fallito, ossia al curatore, l’obbligo di registrare la variazione in aumento dell’imposta.
E infatti, ancorché la rettifica in diminuzione costituisce, per il cedente o prestatore, un diritto potestativo che egli può o meno esercitare, tuttavia, quando tale diritto viene esercitato, fa sorgere per il cessionario o committente l’obbligo di effettuare la corrispondente rettifica in aumento (articolo 26, secondo comma, ultimo periodo).
Ai fini di certezza e trasparenza dei rapporti tra le parti e per consentire all’Amministrazione l’eventuale recupero dell’indebito nei confronti del contribuente fallito tornato in bonis, è, quindi, necessario che tale facoltà sia esercitata entro limiti temporali certi. Pertanto nella fattispecie in esame, nonostante sarebbero sussistenti, per quanto desumibile dall’istanza d’interpello, i presupposti per far valere il diritto alla detrazione dell’imposta, lo stesso non è più esercitabile per decorrenza dei termini, anche qualora si volesse far riferimento al più ampio termine previsto dall’articolo 19, così come novellato dal decreto legislativo 2 settembre 1997, n.313.


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