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04.12.2003 - lavori pubblici

PROBLEMATICHE RELATIVE ALLE CAUSE DI ESCLUSIONE DALLE GARE DI APPALTO PER L’ESECUZIONE DI LAVORI PUBBLICI

PROBLEMATICHE RELATIVE ALLE CAUSE DI ESCLUSIONE DALLE GARE DI APPALTO PER L’ESECUZIONE DI LAVORI PUBBLICI PROBLEMATICHE RELATIVE ALLE CAUSE DI ESCLUSIONE DALLE GARE DI APPALTO PER L’ESECUZIONE DI LAVORI PUBBLICI

La disposizione relativa alle cause di esclusione dalle gare ha posto numerosi problemi interpretativi ed è stata oggetto di diverse decisioni dell’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, oltre che di copiosa giurisprudenza.
L’ANCE ha voluto precisare il punto cui è pervenuta l’elaborazione dei criteri di cui all’art. 75 D.P.R. n. 554/99, partendo dall’ultima determinazione dell’Autorità e dalle più recenti sentenze.
Con la determinazione in oggetto, l’Autorità ha provveduto a riesaminare la materia relativa alle cause di esclusione, consolidando quanto già affermato in precedenti determinazioni.
In particolare, l’Autorità  esamina le situazioni di incompatibilità previste dalla citata norma ed afferma quanto segue:

a) Relativamente alle situazioni di conclamato dissesto economico (fallimento, liquidazione coatta, amministrazione controllata, concordato preventivo) o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni (art. 75, comma 1 lett. a), si evidenzia che il procedimento può ritenersi in corso quando vi sia stata presentazione di apposita istanza da parte di un creditore.
Si precisa, altresì, che la possibilità di esclusione dalla gara sussiste anche nell’ipotesi di amministrazione straordinaria di cui al D. Lgs. n. 270/99, anche se la norma non richiama tale situazione. L’interpretazione proposta trova, a parere dell’Autorità, il proprio fondamento nell’art. 24 della direttiva 93/37/CE, che consente l’esclusione dalla gara dell’imprenditore che si trovi in una situazione analoga a quella di fallimento o in generale di altra procedura concorsuale.
L’Autorità ribadisce quanto già affermato con la determinazione n. 16/23 del 2001, circa l’individuazione del momento in cui il procedimento può dirsi effettivamente pendente, ritenendo sufficiente la mera presentazione di apposita istanza da parte di un creditore.
Al riguardo, l’Ance ritiene che tale impostazione, peraltro non pacifica neppure in giurisprudenza, possa condurre a conseguenze eccessive, ossia determinare l’esclusione dell’impresa anche sulla base di istanze manifestamente infondate o pretestuose. Sembra, pertanto, preferibile considerare necessario, ai fini dell’esclusione da una gara,  la presenza di un atto istruttorio del Tribunale dal quale sia possibile desumere, anche implicitamente, la positiva valutazione da parte del giudice dei profili inerenti la legittimazione del richiedente ed i presupposti per la dichiarazione di fallimento.
Per quanto riguarda l’esclusione dalla gara dell’impresa che si trova in regime di amministrazione straordinaria, si evidenzia che il Consiglio di Stato, contrariamente a quanto sostenuto dall’Autorità, con sentenza n. 4241 del 2001, ha ritenuto che l’impresa ammessa a tale procedura e alla quale, pertanto, è consentito proseguire l’attività economica, deve anche essere ammessa a partecipare alle procedure di gara per l’affidamento di pubblici appalti.
Con riguardo ad entrambe le questioni, l’Associazione ha espresso le proprie considerazioni all’Autorità, affinchè riveda le posizioni espresse nella propria determinazione.

b)  Relativamente alla situazione dei soggetti nei cui confronti è pendente un procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione, ai sensi dell’art. 3 della L. n. 1423/1956 (misure antimafia) (art. 75, comma 1 lett. b), viene precisato che il procedimento è da ritenersi pendente quando sia avvenuta l’annotazione della richiesta di applicazione della misura negli appositi registri presso le segreterie delle Procure della repubblica e delle cancellerie dei Tribunali.
L’Autorità, inoltre, conferma che la preclusione opera anche nei confronti dei soggetti ai quali sia stata applicata la misura di prevenzione ai sensi dell’art. 10, comma 2 della L. n. 575/1965, secondo cui il provvedimento definitivo di applicazione della misura di sicurezza determina il divieto di concludere contratti di appalto ed i relativi subcontratti con la pubblica amministrazione. Tale incapacità a contrarre può estendersi nei confronti dei conviventi e degli enti di cui il soggetto sia rappresentante o gestore, con durata quinquennale ed a seguito di apposita pronuncia del Tribunale competente (art. 10, comma 4 L. n. 575/1965).
L’Autorità precisa, altresì, che le medesime preclusioni operano con riguardo ai soggetti condannati con sentenza definitiva o, ancorchè non definitiva, confermata in grado di appello (c.d. pronunzia doppia conforme)  per i delitti di cui all’art. 416 bis c.p. (associazione mafiosa), 630 c.p. (sequestro di persona a scopo di estorsione), per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal citato art. 416 bis ovvero al fine di agevolare le attività delle associazioni in esso menzionate, nonchè per il delitto di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.

c)  Relativamente alla situazione dei soggetti nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato oppure di applicazione della pena su richiesta delle parti per reati che incidono sull’affidabilità morale e professionale dell’appaltatore (art. 75, comma 1 lett. c), l’Autorità si sofferma sul problema dell’individuazione dei reati incidenti sull’affidabilità morale e professionale dell’imprenditore.
Al riguardo, ribadisce quanto già affermato circa la rilevanza di alcune tipologie di reato influenti sull’affidabilità dell’appaltatore (reati contro la pubblica amministrazione, l’ordine pubblico, la fede pubblica ed il patrimonio), se relativi a fatti la cui natura e contenuto siano idonei ad incidere negativamente sul rapporto fiduciario con la stazione appaltante. Tuttavia, a parere dell’Autorità, rimane in capo alla stazione appaltante un ampio spazio di valutazione discrezionale e di apprezzamento delle singole fattispecie concrete.
In particolare, debbono essere presi in considerazione tutti gli elementi delle fattispecie che possono incidere sulla fiducia contrattuale, quali ad esempio l’elemento psicologico, la gravità del fatto, il tempo trascorso dalla condanna, le eventuali recidive. L’amministrazione deve dare contezza, con idonea e puntuale motivazione, del potere discrezionale di valutazione dei reati.
Al contrario, non sussiste alcuna possibilità di valutazione discrezionale, dovendosi senz’altro escludere il concorrente, in caso di ricorrenza delle ipotesi di reato che implichino come pena accessoria l’incapacità di concludere contratti con la pubblica amministrazione, nonchè l’irrogazione di sanzione interdittiva nei confronti della persona giuridica, emessa ai sensi del D. Lgs. n. 231/00 per reati contro la pubblica amministrazione o il patrimonio commessi nell’interesse o a vantaggio della persona giuridica stessa.
L’Autorità ritiene inoltre che debbano essere dichiarate in sede di gara anche le condanne riportate con decreto penale di condanna. Tale procedimento riguarda l’applicazione delle sole pene pecuniarie, eventualmente in sostituzione di quella detentiva, e pertanto ipotesi di reato particolarmente lievi. Tuttavia, anche se la condanna inflitta con il rito del decreto penale non fa emergere elementi particolarmente sintomatici di scarsa moralità professionale, permane il potere di valutazione discrezionale in capo alla stazione appaltante, valutazione che va in questi casi ancor più puntualmente motivata.
Sotto il profilo soggettivo, viene precisato che risulta irrilevante che la condanna di un amministratore o di un direttore tecnico sia intervenuta per fatti antecedenti alla data di assunzione dell’incarico ovvero per fatti non correlati ad eventuale interesse o vantaggio dell’impresa.
A parere dell’Autorità, infatti, non risulterebbe ostativa a tale interpretazione la normativa in tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche (D. Lgs. n. 231/00), per la quale la responsabilità si riconosce all’ente solo per reati commessi da parte dell’amministratore nell’interesse o a vantaggio dell’ente, considerato che tale limitazione non è menzionata dall’art. 75 per le cause di esclusione.
In altre parole, la condanna del soggetto, secondo tale interpretazione, costituisce circostanza incidente sull’affidabilità morale dell’impresa nel suo complesso, nel senso che da tale condanna, considerato il ruolo e la rilevanza del condannato nella compagine dell’impresa, deriverebbe un’attenuazione della moralità complessiva dell’impresa ed una limitazione della capacità della stessa alla partecipazione alle gare ed alla stipulazione dei contratti di appalto. Tale limitazione si protrae per i tre anni successivi alla cessazione della carica del soggetto condannato, potendo tuttavia l’impresa, con riferimento al triennio, interrompere il nesso di identificazione con il soggetto condannato, adottando atti o misure di completa dissociazione dalla condotta sanzionata penalmente. Le argomentazione svolte riprendono, sostanzialmente, quanto già sostenuto dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (sentenze n. 5523/2002 e n. 3380/2003).
In ogni caso, rimangono salve le ipotesi di riabilitazione in caso di sentenza di condanna e di estinzione del reato per decorso del tempo in caso di patteggiamento, ipotesi che determinano l’eliminazione della causa ostativa alla partecipazione alle gare.
La riabilitazione è pronunciata con sentenza, soggetta alle condizioni previste dall’art. 179 c.p..
Per quanto concerne l’estinzione del reato dopo il patteggiamento, occorre tenere presente che l’art. 676 c.p.p. prevede una competenza generale del giudice dell’esecuzione a decidere in ordine all’estinzione del reato per la fase successiva alla condanna.
Dalla ricostruzione del sistema sembra doversi dedurre che le cause di estinzione del reato debbano sempre essere accertate da un giudice, e, dopo l’emanazione della sentenza, dal giudice dell’esecuzione.
Ora, tra le cause di estinzione deve senz’altro ricomprendersi quella relativa alla sentenza di patteggiamento, di cui all’art. 445, comma 2 c.p.p., che deve pertanto, al pari delle altre, essere accertata dal giudice.
Peraltro, la Corte di Cassazione ha precisato che l’art. 676 c.p.p. attribuisce al giudice dell’esecuzione il ”potere-doverè’ di dichiarare l’estinzione, allorquando ricorrano le condizioni previste dall’art. 445, così evidenziando la sostanziale doverosità del provvedimento del giudice (sentenza n. 498 del 21.3.2002).
In conclusione, è necessario che il soggetto incorso in una sentenza di patteggiamento, allorquando ricorrano le condizioni per l’estinzione del reato (decorrenza dei 5 anni e mancato compimento di reati della medesima indole), chieda il provvedimento dichiarativo dell’avvenuta estinzione al giudice dell’esecuzione competente (costituito presso il medesimo giudice che ha emesso la sentenza di patteggiamento).
 Infine, in merito alla questione della rilevanza della condanna di un amministratore o di un direttore tecnico, che sia intervenuta per fatti antecedenti alla data di assunzione dell’incarico ovvero per fatti non correlati ad eventuale interesse o vantaggio dell’impresa, si evidenzia che l’Ance non condivide in alcun modo la posizione espressa dall’Autorità. Si ritiene, infatti, che l’esclusione dalla gara possa intervenire laddove sussista un collegamento ”temporalè’ o ”funzionalè’ tra la condotta del soggetto e la sfera di interessi dell’impresa, desumibile peraltro dalla possibilità di interrompere tale nesso, adottando atti o misure di completa dissociazione.
Deve, tuttavia, evidenziarsi che la posizione assunta dall’Autorità è sostenuta dal Consiglio di Stato e, pertanto, al momento risulta oltremodo rischioso per le imprese associate partecipare a gare, mantenendo nella propria compagine soggetti che siano incorsi in condanne definitive o patteggiamenti, anche se per fatti antecedenti all’assunzione della carica nell’impresa.
In considerazione di ciò, l’Ance ritiene opportuno proporre una modifica della norma in sede di revisione del DPR n. 554/1999.
È inoltre stata evidenziata all’Autorità la non corretta inclusione del decreto penale di condanna tra i provvedimenti rilevanti ai fini della causa di esclusione in esame, considerato che la norma parla di ”sentenza” definitiva di condanna, non lasciando perciò spazio per altre tipologie di provvedimenti.

d) Relativamente alla situazione dei soggetti che hanno violato il divieto di intestazione fiduciaria (art. 75, comma 1 lett. d), l’Autorità osserva che non è necessario il trasferimento di beni dai fiducianti al soggetto fiduciario, essendo sufficiente che a quest’ultimo sia conferita, con idonei strumenti negoziali, la legittimazione ad esercitare diritti e facoltà necessari per la gestione dei beni rimasti formalmente in capo al fiduciante.

e)  Relativamente alla situazione dei soggetti che hanno commesso gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di sicurezza e ad ogni altro obbligo derivante dal rapporto di lavoro (art. 75, comma 1 lett. e), l’Autorità sostiene che l’espressione ”debitamente accertate” non significa ”definitivamente accertate” e che, perciò, anche un accertamento in sede amministrativa è sufficiente a legittimare la valutazione delle stazioni appaltanti circa la gravità dell’infrazione. Come nel precedente caso di cui alla lettera c), la valutazione in capo alla stazione appaltante è discrezionale e deve essere motivata.
Per quanto attiene al profilo della ”gravità” dell’infrazione, l’Autorità evidenzia che quest’ultima va desunta dalla tipologia di infrazione commessa, dal tipo di sanzione applicata, dall’eventuale reiterazione della condotta, dal grado di colpevolezza e dalle conseguenze dannose derivate dall’evento. Conferma, inoltre, che per infrazioni alle norme in materia di sicurezza e ad ogni altro obbligo derivante dal rapporto di lavoro devono  intendersi non soltanto le omissioni inerenti il mancato pagamento dei contributi, ma anche le infrazioni alle prescrizioni di cui al d. lgs. n. 626/1994, al d. lgs. n. 494/1996 e al d. lgs. n. 528/1999.
In ogni caso, ad avviso dell’Autorità, deve considerarsi grave la violazione in caso di omesso versamento dei contributi assicurativi, qualunque sia l’importo non versato e fintanto che la situazione contributiva non sia completamente regolarizzata.
Con riguardo alla sufficienza di un accertamento non definitivo dell’infrazione, deve notarsi che l’Autorità ha modificato l’interpretazione fornita nella precedente determinazione n. 16/23 del 2001, laddove richiedeva una pronuncia in sede giurisdizionale ovvero un atto amministrativo divenuto inoppugnabile. Nonostante la lettera della norma possa deporre per tale lettura, non può non rilevarsi come tale interpretazione appaia in contrasto con le esigenze di garanzia e di tutela nell’applicazione di una sanzione grave, qual è quella dell’esclusione da una gara, e come finisca per attribuire maggior peso alla valutazione discrezionale, che compete alla stazione appaltante, circa la rilevanza dell’infrazione ”accertata”.
Sul punto l’Ance non ha mancato di segnalare all’Autorità le proprie perplessità; tuttavia, stante la lettera della norma, si ritiene opportuno proporre adeguata modifica in sede di riforma del DPR n. 554/1999.

f)    Sulla situazione dei soggetti che hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione di lavori affidati dalla stazione appaltante che bandisce la gara (art. 75, comma 1 lett. f), l’esclusione dalle gare può avere luogo anche a seguito di un accertamento in sede amministrativa. Inoltre, non è sufficiente, affinchè ricorra l’ipotesi in esame, che i lavori non siano eseguiti a regola d’arte, occorrendo invece una violazione del dovere di diligenza nell’adempimento, qualificata da un atteggiamento psicologico doloso o gravemente colposo dell’appaltatore.
Sicuramente ricorre la gravità nel caso di dichiarazione di non collaudabilità dei lavori ovvero di risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 119 del D.P.R. n. 554/1999. Infine,  l’Autorità precisa che anche i comportamenti tenuti dai dipendenti dell’impresa possono integrare l’ipotesi di negligenza di quest’ultima, laddove abbia omesso ogni dovuto e preventivo controllo.

g)  Relativamente alla situazione dei soggetti che abbiano commesso irregolarità, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse (art. 75, comma 1 lett. g), l’esclusione presuppone la definitività dell’accertamento, che può conseguire ad una pronuncia giurisdizionale o ad un atto amministrativo di accertamento tributario non impugnato e divenuto incontestabile.
Si segnala, al riguardo, una sentenza del Consiglio di Stato (sent. n. 4599/2003), secondo la quale le irregolarità fiscali commesse dal legale rappresentante possono assumere rilevanza anche se risalgono ad un momento in cui il soggetto era amministratore di altra società, in applicazione dei principi visti alla precedente lettera c). Deve, tuttavia, evidenziarsi che la norma, laddove ha inteso dare rilevanza alle situazioni personali dei soggetti appartenenti alla compagine dell’impresa, lo ha fatto espressamente, ossia nelle situazioni di cui alle lettere b) e c) della disposizione in esame; al contrario, nelle restanti cause di esclusione, la fattispecie descritta dalla norma deve ritenersi riferita all’impresa in quanto tale.
Nel caso di specie, le irregolarità nel pagamento di imposte e tasse dovrebbero riguardare l’impresa, potendo questa essere autonomo soggetto fiscale, e non il singolo amministratore o socio con riferimento alle imposte dirette od indirette che riguardano questi ultimi.

h)  Relativamente alla situazione dei soggetti che, nell’anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, hanno reso false dichiarazioni in merito ai requisiti ed alle condizioni rilevanti per la partecipazione alle procedure di gara, risultanti dai dati in possesso dell’Osservatorio (art. 75, comma 1 lett. h), l’Autorità precisa le conseguenze del verificarsi della fattispecie in esame sulla procedura di affidamento dei lavori.
Nel caso in cui l’appalto non sia ancora stato aggiudicato, non vi sono effetti sulla regolarità della procedura di gara, una volta esclusa l’impresa che non è in possesso dei requisiti richiesti. Solo nel caso che la sua offerta abbia contribuito ad individuare la soglia di anomalia, occorrerà determinare la nuova soglia.
Dopo l’aggiudicazione della gara, ma prima della stipulazione del contratto, se aggiudicataria è la medesima impresa per la quale ricorre la causa di esclusione in esame, l’amministrazione deve procedere all’annullamento dell’aggiudicazione, altrimenti occorre verificare se l’offerta dell’impresa esclusa ha influito sull’aggiudicazione ed eventualmente procedere a nuova aggiudicazione.
Infine, dopo la stipula del contratto e nel corso dei lavori, può distinguersi a seconda che la causa preclusiva riguardi l’impresa aggiudicataria o altra impresa, ma va sempre valutato caso per caso l’eventuale interesse dell’amministrazione alla prosecuzione del rapporto o all’annullamento dell’aggiudicazione.
Con riguardo a questa causa di esclusione, si ritiene opportuno, considerata la gravità della sanzione prevista della sospensione di un anno dalla partecipazione alle gare d’appalto, tentare una ricostruzione della fattispecie, anche se la determinazione in esame non affronta espressamente la problematica ad essa connessa.
Si tratta, in particolare di verificare se l’Autorità abbia il potere di comminare la sanzione dell’esclusione dalle gare delle imprese colpevoli di aver reso false dichiarazioni; se comunque, ai fini della comminatoria della sanzione, sia necessario l’accertamento dell’elemento soggettivo integrante la fattispecie legislativa; se sia necessario, ai fini dell’accertamento dell’elemento soggettivo, integrare il contraddittorio con l’impresa.
In effetti, da nessuna norma della legge quadro o del regolamento emerge che l’Autorità, nonostante quanto dalla stessa sostenuto nelle precedenti determinazioni n. 16/23  del 2001 e n. 10 del 2002, abbia direttamente il potere di comminare la sanzione dell’esclusione dalle gare. La lettera h) dell’art. 75 fa, peraltro, espresso riferimento, ai fini dell’esclusione, ai ”dati in possesso dell’Osservatorio dei lavori pubblici”. Se ne può argomentare che l’Autorità non ha il potere diretto di comminare la sanzione, bensì, ai fini di comunicare all’Osservatorio i dati da annotare nel Casellario Informatico, ha il potere di accertare la sussistenza dei presupposti della ”falsità” per la relativa annotazione.
Tra i presupposti oggetto di valutazione rientra, senza dubbio, la sussistenza dell’elemento soggettivo, consistente nell’intenzionalità (dolo) della dichiarazione o, quantomeno, nella grave disattenzione (colpa) nell’averla resa in modo erroneo, sicchè non dovrebbe seguire l’annotazione laddove manchi del tutto l’intenzionalità del falso ovvero si versi in ipotesi di colpa lieve, come nel caso di errore scusabile.
Si ritiene, altresì, che nella stessa sede, cioè prima di comunicare i dati all’Osservatorio, dovrebbe essere consentito all’impresa concorrente di fornire ogni elemento a propria discolpa, rendendosi pertanto necessaria l’instaurazione del contraddittorio, finalizzato all’imparziale ed oggettiva valutazione delle giustificazioni dell’impresa.
Le considerazioni sopra svolte sono state poste all’attenzione dell’Autorità, affinchè essa stessa, condividendole, possa fornire indicazioni chiare agli operatori del settore dei lavori pubblici.

L’Autorità, infine, chiarisce che a seguito della riforma operata dall’art. 15 della Legge n. 3/2003, che ha introdotto l’art. 77 bis nel corpo del D.P.R. n. 445/2000, in materia di semplificazione amministrativa, tutte le cause di esclusione possono essere oggetto di dichiarazione sostitutiva, e pertanto per la dimostrazione dell’inesistenza delle cause di esclusione di cui alle lettere b) e c) dell’art. 75 non è più necessario presentare il certificato del casellario giudiziale e dei carichi pendenti.

In ultimo, si coglie l’occasione per rendere noto che il Ministero di Grazia e Giustizia – Dipartimento affari di Giustizia – ha diramato la circolare n. 3194 del 17 giugno 2003, concernente la ”Consultazione del sistema informativo del casellario Giudiziale da parte della amministrazioni pubbliche e dei gestori di pubblici servizi. Applicazione transitoria dell’art. 39 del D.P.R. n. 313/2000 contenente il Testo Unico in materia di casellario giudiziale”.
La circolare si è resa necessaria per dare soluzione ad alcuni disagi lamentati dalle pubbliche amministrazioni a seguito dell’entrata in vigore del cennato Testo Unico. Quest’ultimo, infatti, equipara il certificato del casellario – nonchè quello dei carichi pendenti – rilasciabile alle pubbliche amministrazioni ed ai gestori di pubblici servizi a quello rilasciabile ai privati.
In tal modo i soggetti pubblici vengono ad avere una conoscenza parziale delle possibili iscrizioni relative ad una data persona, atteso che i certificati in parola, qualora rilasciati ai privati, escludono la menzione di una serie di informazioni.
Per quanto concerne gli appalti di opere pubbliche, in particolare, la cennata equiparazione ha reso impossibile, per le stazioni appaltanti, operare, una piena verifica della dichiarazione sostitutiva, resa dai concorrenti sull’inesistenza delle situazioni di cui alla lettera c) dell’art. 75.
Ciò in quanto il certificato del casellario – che, come noto, comprova la causa di esclusione ora citata –  qualora richiesto dai privati, non evidenzia gli eventuali ”patteggiamenti”.
Con la circolare in commento, invero, il Ministero ha sostanzialmente indicato che i suddetti disagi sono da ritenersi superabili attraverso l’attivazione del sistema previsto dall’art. 39 del T.U, relativo alla consultazione diretta dei dati contenuti nel casellario.
Tale forma di consultazione, infatti, consente alle amministrazioni ed ai gestori di pubblici servizi una visione completa delle informazioni relative al casellario; e ciò, ogni qual volta occorra effettuare accertamenti degli stati, fatti e qualità autocertificabili ai sensi dell’art. 46 del D.P.R. n. 445/2000, nonchè operare i controlli sulle autocertificazioni stesse, come previsto dall’art. 71 dello stesso D.P.R..
Tuttavia, poichè il sistema di interconnessione sottostante alla consultazione diretta non è ancora operativo è stata realizzata, sull’attuale Sistema Informativo (S.I.C.), una procedura che anticipa, con una modalità transitoria, l’applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 39 del T.U..
La procedura transitoria renderà possibile la produzione del solo certificato generale del casellario giudiziale – contenente tutte le iscrizioni riferibili ad una persona – e non anche quella relativa agli altri due tipi di certificato (penale e civile).
La richiesta di accesso – necessariamente scritta – dovrà essere adeguatamente motivata, nonchè accompagnata da una specifica avvertenza – di cui la circolare fornisce il testo – che ne delimita le finalità, ed ammonisce il richiedente circa l’obbligo di mantenere la riservatezza sui dati acquisiti.
La soluzione individuata dal Ministero dovrebbe quindi risolvere il problema, dianzi prospettato, relativo all’impossibilità, per le stazioni appaltanti, di continuare ad effettuare le verifiche sulla dichiarazione sostitutiva resa dai partecipanti ai sensi dell’art. 75, lettera c).


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