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04.12.2018 - lavoro

CONTRATTO A TERMINE E SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO – DISCIPLINA LEGALE A SEGUITO DEL CD. “DECRETO DIGNITÀ” – PRIME INTERPRETAZIONI – MINISTERO DEL LAVORO, CIRCOLARE 31 OTTOBRE 2018, N. 17 – INDICAZIONI ANCE

Con l’obiettivo di favorire l’uniforme applicazione della nuova disciplina in materia di contratto di lavoro a tempo determinato e di somministrazione di lavoro, il Ministero del Lavoro ha rilasciato la circolare qui in commento, di seguito riportata, di cui, per comodità, evidenziamo sinteticamente i punti di maggior interesse per le imprese edili.

Contratto a tempo determinato – Prime interpretazioni ministeriali
Per quanto riguarda le causali, il Ministero non fornisce, com’era prevedibile, nessun commento o nessuna esemplificazione sul contenuto e sulla portata delle condizioni che giustificano, a seguito delle modifiche normative, l’assunzione a termine di durata superiore a 12 mesi ovvero il rinnovo di un precedente rapporto a tempo determinato.
In relazione alla definizione del periodo temporale che fa sorgere la necessità della causale, invece, il Ministero conferma che occorre tener conto della durata complessiva dei rapporti a termine intercorsi fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, considerando quelli già conclusi e la durata di quello che si intende stipulare o prorogare.
In caso di proroga, il Ministero ricorda come non sia possibile procedervi modificando la motivazione del ricorso all’assunzione a termine, in quanto ciò darebbe luogo a un nuovo contratto che ricadrebbe nella disciplina del rinnovo, anche se ciò avvenisse senza soluzione di continuità con il precedente rapporto.
Per ciò che concerne la forma del contratto, diviene necessario, a seguito della modifica normativa, che la data finale emerga dal testo contrattuale, ferma restando la legittimità, in alcuni casi, di un termine finale individuato non tramite una data certa ma in relazione a un evento strettamente connesso con l’esigenza aziendale che ha portato all’assunzione a termine.
Con riferimento al contributo addizionale, il Ministero, nel ricordare che la nuova normativa prevede una maggiorazione del contributo addizionale pari allo 0,5%, ha confermato la natura incrementale di tale maggiorazione. Pertanto, al primo rinnovo la misura ordinaria del contributo addizionale (ossia l’1,4%) andrà incrementata dello 0,5%. In tal modo verrà determinata la nuova misura del contributo addizionale cui aggiungere nuovamente un ulteriore 0,5% in caso di successivi rinnovi. Il criterio andrà applicato per eventuali successivi rinnovi, avuto riguardo all’ultimo valore base che si sarà venuto a determinare per effetto delle maggiorazioni applicate in occasione di precedenti rinnovi. Per l’applicazione del citato meccanismo, vale la riserva delle istruzioni operative che verranno diramate dall’INPS nelle prossime settimane.
Sempre con riferimento al contributo addizionale, il Ministero conferma, da ultimo, come la maggiorazione non si applichi in caso di proroga del contratto.

Contratto di somministrazione di lavoro – Prime interpretazioni ministeriali
Il Ministero, preliminarmente, ricorda come la modifica normativa comporti l’estensione al rapporto di lavoro fra l’agenzia e il lavoratore della disciplina del contratto a tempo determinato, con la sola eccezione delle previsioni riferite alle pause fra un contratto e il successivo, al diritto di precedenza e al limite quantitativo al numero dei contratti a tempo determinato stipulabili dal singolo datore.
Nessuna limitazione, invece, riguarda i lavoratori assunti dal somministratore a tempo indeterminato, che, pertanto, potranno essere inviati in missione senza obbligo di causale o limiti di durata.
Per quanto concerne le causali, il Ministero conferma come le stesse vadano verificate con riferimento alla situazione dell’utilizzatore, con la specifica indicazione secondo cui l’obbligo di indicare le motivazioni del ricorso alla somministrazione a tempo determinato sorge non solo quando il periodo della missione presso il medesimo utilizzatore superi i 12 mesi ma anche quando lo stesso abbia già instaurato con il lavoratore interessato, per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale, un precedente rapporto a termine.
Nel commentare, infine, l’introduzione della percentuale massima complessiva pari al 30% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore, il Ministero precisa che tale percentuale trova applicazione per ogni nuovo rapporto a termine o in somministrazione iniziato a partire dal 12 agosto 2018, data di entrata in vigore della legge di conversione del cd. “Decreto dignità”.

Indicazioni ANCE
Nei giorni scorsi, anche ANCE ha fornito i primi indirizzi interpretativi associativi, demandati alla circolare con cui Confindustria, in esito ai molteplici contatti con numerose Associazioni, ha fornito indicazioni operative iniziali in merito alla materia di cui trattasi.
Con riferimento alle causali da utilizzare a supporto di ogni singolo rinnovo contrattuale ovvero dei contratti o delle proroghe di durata superiore a 12 mesi, è stato ribadito il giudizio, condiviso dai commentatori più autorevoli e da molte associazioni, circa la “sostanziale inapplicabilità” delle stesse, fatta eccezione per la causale sostitutiva che potrà applicarsi, ad esempio, in caso di ferie, malattia, permessi, infortunio.
In merito, poi, al limite percentuale del 30%, introdotto all’art.2, co.2 del decreto, Confindustria conferma come, secondo l’interpretazione più accreditata, tale limite riguardi l’utilizzo contemporaneo di contratti a termine e di contratti in somministrazione, nonché nel caso di ricorso a soli contratti di somministrazione.
Quanto alla “tenuta” delle limitazioni percentuali previste dai contratti collettivi, secondo la posizione confederale, non essendo stato modificato l’art. 23 del D. Lgs. n. 81/2015, le disposizioni che hanno previsto un limite quantitativo al ricorso del contratto a termine restano pienamente valide.
Nell’ipotesi, invece, di definizione di “limiti congiunti” tra contratto a termine e somministrazione, superiori al 30%, è stato consigliato di procedere ad una attenta verifica della volontà contrattuale delle parti.
Sul punto, pertanto, vale la riserva di ulteriori chiarimenti, anche alla luce della definizione dei lavori delle Commissioni derivanti dalla sottoscrizione del CCNL 18 luglio 2018.
In merito, infine, alla somministrazione a termine, la circolare chiarisce come l’agenzia per il lavoro che assume a tempo determinato dovrà indicare una causale, ovviamente nei casi in cui quest’ultima sia necessaria, avuto riguardo alla situazione dell’utilizzatore presso cui inviare in missione il lavoratore.
Nel caso in cui il lavoratore venga assunto a tempo indeterminato dall’agenzia di somministrazione, potrà, invece, essere mandato in missione presso l’utilizzatore senza necessità di indicare causali, limiti di durata massima, limiti relativi a proroghe e a rinnovi.
Il Servizio Sindacale di ANCE Brescia resta a disposizione delle imprese per ogni ulteriore approfondimento si rendesse necessario sul punto.

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Circolare n. 17 del 31 ottobre 2018

Oggetto: Decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, recante “Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese”, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2018, n. 96. Articoli 1 e 2, in materia di contratto di lavoro a tempo determinato e somministrazione di lavoro.
Il decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, convertito dalla legge 9 agosto 2018, n. 96, con gli articoli 1 e 2 ha introdotto rilevanti novità alla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato e della somministrazione di lavoro, modificando il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81.
In proposito, con l’obiettivo di favorire l’uniforme applicazione della nuova disciplina e acquisito il parere dell’Ufficio legislativo espresso con nota del 30 ottobre 2018, si forniscono prime indicazioni interpretative, anche in considerazione delle richieste di chiarimento finora pervenute a questo Ministero.

1. Contratto a tempo determinato
Le modifiche alla disciplina previgente apportate dall’articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 87 del 2018 riguardano in primo luogo la riduzione da 36 a 24 mesi della durata massima del contratto a tempo determinato, con riferimento ai rapporti stipulati tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, anche per effetto di una successione di contratti, o di periodi di missione in somministrazione a tempo determinato, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale, indipendentemente dai periodi di interruzione (art. 19, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 81/2015).
Più precisamente, le parti possono stipulare liberamente un contratto di lavoro a termine di durata non superiore a 12 mesi, mentre in caso di durata superiore tale possibilità è riconosciuta esclusivamente in presenza di specifiche ragioni che giustificano un’assunzione a termine.
Tali condizioni, sono rappresentate esclusivamente da:
– esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività;
– esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
– esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.
Per stabilire se ci si trovi in presenza di tale obbligo si deve tener conto della durata complessiva dei rapporti di lavoro a termine intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, considerando sia la durata di quelli già conclusi, sia la durata di quello che si intende eventualmente prorogare. Si consideri l’esempio di un primo rapporto a termine della durata di 10 mesi che si intenda prorogare di ulteriori 6 mesi. In tale caso, anche se la proroga interviene quando il rapporto non ha ancora superato i 12 mesi, sarà comunque necessario indicare le esigenze innanzi richiamate in quanto complessivamente il rapporto di lavoro avrà una durata superiore a tale limite, come previsto dall’articolo 19, comma 4, del d.lgs. n. 81/2015.
La cd. “causale” è, infatti, sempre necessaria quando si supera il periodo di 12 mesi, anche se il superamento avviene a seguito di proroga di un contratto originariamente inferiore ai 12 mesi.
Con l’occasione è utile ricordare che anche nelle ipotesi in cui non è richiesto al datore di lavoro di indicare le motivazioni introdotte dal decreto-legge n. 87, le stesse dovranno essere comunque indicate per usufruire dei benefici previsti da altre disposizioni di legge (ad esempio per gli sgravi contributivi di cui all’articolo 4, commi 3 e 4, del decreto legislativo n. 151 del 2001, riconosciuti ai datori di lavoro che assumono a tempo determinato in sostituzione di lavorartici e lavoratori in congedo).
Il decreto-legge non ha invece modificato la previsione di cui all’articolo 19, comma 3, del d.lgs. n. 81/2015 ai sensi del quale, raggiunto il limite massimo di durata del contratto a termine, le stesse parti possono stipulare un ulteriore contratto della durata massima di 12 mesi presso le sedi territorialmente competenti dell’Ispettorato nazionale del lavoro.
Anche a tale contratto si applica la nuova disciplina dei rinnovi, la quale impone l’obbligo di individuazione della causale, ai sensi degli articoli 21, comma 01, e 19, comma 1, del decreto legislativo n. 81/2015. Mantengono quindi validità le indicazioni a suo tempo fornite da questo Ministero con la circolare n. 13/2008 in ordine alla “verifica circa la completezza e la correttezza formale del contenuto del contratto”, nonché alla “genuinità del consenso del lavoratore alla sottoscrizione dello stesso, senza che tale intervento possa determinare effetti certificativi in ordine alla effettiva sussistenza dei presupposti giustificativi richiesti dalla legge.”

1.1. Proroghe e rinnovi
Anche il regime delle proroghe e dei rinnovi del contratto a termine è stato modificato dal decreto-legge n. 87, in ordine alla durata massima e alle condizioni (articoli 19, comma 4, e 21 del d.lgs. n. 81/2015 come da ultimo modificato), coerentemente con le finalità perseguite dalla riforma.
E’ pertanto possibile, come già detto innanzi, prorogare liberamente un contratto a tempo determinato entro i 12 mesi, mentre per il rinnovo è sempre richiesta l’indicazione della causale.
In proposito si ricorda che la proroga presuppone che restino invariate le ragioni che avevano giustificato inizialmente l’assunzione a termine, fatta eccezione per la necessità di prorogarne la durata entro il termine di scadenza. Pertanto, non è possibile prorogare un contratto a tempo determinato modificandone la motivazione, in quanto ciò darebbe luogo ad un nuovo contratto a termine ricadente nella disciplina del rinnovo, anche se ciò avviene senza soluzione di continuità con il precedente rapporto.
Si ricade altresì nell’ipotesi del rinnovo qualora un nuovo contratto a termine decorra dopo la scadenza del precedente contratto.
Ulteriore novità è rappresentata dalla riduzione del numero massimo di proroghe, che non possono essere superiori a 4, entro i limiti di durata massima del contratto e a prescindere dal numero dei contratti (articolo 21, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015) e con esclusione dei contratti instaurati per lo svolgimento di attività stagionali (articolo 21, comma 01).

1.2. Rinvio alla contrattazione collettiva
L’articolo 19, comma 2, del decreto legislativo n. 81/2015 non è stato modificato dal decreto-legge n. 87, nella parte in cui rimette anche per il futuro alla contrattazione collettiva la facoltà di derogare alla durata massima del contratto a termine.
Pertanto i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (secondo la definizione degli stessi contenuta all’articolo 51 del d.lgs. n. 81/2015) potranno continuare a prevedere una durata diversa, anche superiore, rispetto al nuovo limite massimo dei 24 mesi.
Con l’occasione è utile precisare che le previsioni contenute nei contratti collettivi stipulati prima del 14 luglio 2018, che – facendo riferimento al previgente quadro normativo – abbiano previsto una durata massima dei contratti a termine pari o superiore ai 36 mesi, mantengono la loro validità fino alla naturale scadenza dell’accordo collettivo.
Il decreto-legge n. 87, nell’introdurre le condizioni innanzi richiamate, non ha invece attribuito alla contrattazione collettiva alcuna facoltà di intervenire sul nuovo regime delle condizioni.

1.3. Forma scritta del termine
All’articolo 19, comma 4, del d.lgs. n. 81/2015, con la eliminazione del riferimento alla possibilità che il termine debba risultare “direttamente o indirettamente” da atto scritto, si è inteso offrire maggiore certezza in merito alla sussistenza di tale requisito.
Viene quindi esclusa la possibilità di desumere da elementi esterni al contratto la data di scadenza, ferma restando la possibilità che, in alcune situazioni, il termine del rapporto di lavoro continui a desumersi indirettamente in funzione della specifica motivazione che ha dato luogo all’assunzione, come in caso di sostituzione della lavoratrice in maternità di cui non è possibile conoscere, ex ante, l’esatta data di rientro al lavoro, sempre nel rispetto del termine massimo di 24 mesi.

1.4. Contributo addizionale a carico del datore di lavoro
Ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del decreto-legge n. 87 (come modificato dalla legge di conversione), a decorrere dal 14 luglio 2018 (data di entrata in vigore del medesimo decreto), il contributo addizionale a carico del datore di lavoro – pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali applicato ai contratti di lavoro subordinato non a tempo indeterminato – è incrementato dello 0,5% in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione.
Ne consegue che al primo rinnovo la misura ordinaria dell’1,4% andrà incrementata dello 0,5%. In tal modo verrà determinata la nuova misura del contributo addizionale cui aggiungere nuovamente l’incremento dello 0,5% in caso di ulteriore rinnovo. Analogo criterio di calcolo dovrà essere utilizzato per eventuali rinnovi successivi, avuto riguardo all’ultimo valore base che si sarà venuto a determinare per effetto delle maggiorazioni applicate in occasione di precedenti rinnovi.
La maggiorazione dello 0,5% non si applica in caso di proroga del contratto, in quanto la disposizione introdotta dal decreto-legge n. 87 prevede che il contributo addizionale sia aumentato solo in occasione del rinnovo.

2. Somministrazione di lavoro
L’articolo 2 del decreto-legge n. 87 ha esteso la disciplina del lavoro a termine alla somministrazione di lavoro a termine, già disciplinata dagli articoli 30 e seguenti del d.lgs. n. 81/2015.
In particolare l’articolo 34, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015, così come novellato dal decreto-legge successivamente convertito dalla legge n. 96 del 2018, estende al rapporto tra l’agenzia di somministrazione e il lavoratore la disciplina del contratto a tempo determinato, con la sola eccezione delle previsioni contenute agli articoli 21, comma 2 (pause tra un contratto e il successivo, c.d. stop and go), 23 (limiti quantitativi al numero dei contratti a tempo determinato che può stipulare ogni datore di lavoro) e 24 (diritto di precedenza).
Giova, invece, precisare che nessuna limitazione è stata introdotta per l’invio in missione di lavoratori assunti a tempo indeterminato dal somministratore. Pertanto in questo caso, ai sensi dell’articolo 31 del citato decreto legislativo n. 81, tali lavoratori possono essere inviati in missione sia a tempo indeterminato che a termine presso gli utilizzatori senza obbligo di causale o limiti di durata, rispettando i limiti percentuali stabiliti dalla medesima disposizione.

2.1. Periodo massimo di occupazione
L’estensione, operata dal decreto-legge n. 87, delle disposizioni previste per il contratto a termine anche ai rapporti di lavoro a termine instaurati tra somministratore e lavoratore ha lasciato inalterata la possibilità, riconosciuta alla contrattazione collettiva, di disciplinare il regime delle proroghe e della loro durata (art. 34, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015).
In proposito occorre anche considerare che per effetto della riforma l’articolo 19, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015 è adesso applicabile anche alla somministrazione di lavoro a tempo determinato.
Ne consegue che il rispetto del limite massimo di 24 mesi – ovvero quello diverso fissato dalla contrattazione collettiva – entro cui è possibile fare ricorso ad uno o più contratti a termine o di somministrazione a termine, deve essere valutato con riferimento non solo al rapporto di lavoro che il lavoratore ha avuto con il somministratore, ma anche ai rapporti con il singolo utilizzatore, dovendosi a tal fine considerare sia i periodi svolti con contratto a termine, sia quelli in cui sia stato impiegato in missione con contratto di somministrazione a termine, per lo svolgimento di mansioni dello stesso livello e categoria legale.
Pertanto, il suddetto limite temporale di 24 mesi opera tanto in caso di ricorso a contratti a tempo determinato quanto nell’ipotesi di utilizzo mediante contratti di somministrazione a termine. Ne consegue che, raggiunto tale limite, il datore di lavoro non potrà più ricorrere alla somministrazione di lavoro a tempo determinato con lo stesso lavoratore per svolgere mansioni di pari livello e della medesima categoria legale.
Inoltre, si chiarisce che il computo dei 24 mesi di lavoro deve tenere conto di tutti i rapporti di lavoro a termine a scopo di somministrazione intercorsi tra le parti, ivi compresi quelli antecedenti alla data di entrata in vigore della riforma.

2.2. Condizioni
Le novità introdotte dal decreto-legge n. 87 riguardano anche le condizioni che giustificano il ricorso alla somministrazione a termine in caso dei contratti di durata superiore a 12 mesi e dei relativi rinnovi. In proposito, come già richiamato innanzi, occorre considerare che ai sensi dell’articolo 2, comma 1-ter, del decreto-legge, le condizioni introdotte dall’articolo 1, comma 1, lettere a) o b) del decreto-legge n. 87 si applicano esclusivamente con riferimento all’utilizzatore.
Pertanto, in caso di durata della somministrazione a termine per un periodo superiore a 12 mesi presso lo stesso utilizzatore, o di rinnovo della missione (anche in tal caso presso lo stesso utilizzatore), il contratto di lavoro stipulato dal somministratore con il lavoratore dovrà indicare una motivazione riferita alle esigenze dell’utilizzatore medesimo. A questo proposito è utile precisare che, invece, non sono cumulabili a tale fine i periodi svolti presso diversi utilizzatori, fermo restando il limite massimo di durata di 24 mesi del rapporto (o la diversa soglia individuata dalla contrattazione collettiva).
In proposito, si evidenzia che l’obbligo di specificare le motivazioni del ricorso alla somministrazione di lavoratori a termine sorge non solo quando i periodi siano riferiti al medesimo utilizzatore nello svolgimento di una missione di durata superiore a 12 mesi, ma anche qualora lo stesso utilizzatore aveva instaurato un precedente contratto di lavoro a termine con il medesimo lavoratore per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria.
Pertanto:
– in caso di precedente rapporto di lavoro a termine di durata inferiore a 12 mesi, un eventuale periodo successivo di missione presso lo stesso soggetto richiede sempre l’indicazione delle motivazioni in quanto tale fattispecie è assimilabile ad un rinnovo;
– in caso di precedente rapporto di lavoro a termine di durata pari a 12 mesi, è possibile svolgere per il restante periodo e tra i medesimi soggetti una missione in somministrazione a termine, specificando una delle condizioni indicate all’articolo 19, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015;
– in caso di un periodo di missione in somministrazione a termine fino a 12 mesi, è possibile per l’utilizzatore assumere il medesimo lavoratore direttamente con un contratto a tempo determinato per una durata massima di 12 mesi indicando la relativa motivazione.

2.3. Limite quantitativo di lavoratori somministrati
La legge di conversione del decreto-legge n. 87 ha, per la prima volta, introdotto un limite all’utilizzo dei lavoratori somministrati a termine. Infatti, il nuovo articolo 31, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015 prevede la necessità di rispettare una proporzione tra lavoratori stabili e a termine presenti in azienda, ancorché derogabile dalla contrattazione collettiva applicata dall’utilizzatore.
Il novellato comma 2 stabilisce che, ferma restando la percentuale massima del 20% di contratti a termine prevista dall’articolo 23, possono essere presenti nell’impresa utilizzatrice lavoratori assunti a tempo determinato e lavoratori inviati in missione per somministrazione a termine, entro la percentuale massima complessiva del 30% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore.
Anche in questo caso resta ferma la facoltà per la contrattazione collettiva di individuare percentuali diverse, per tenere conto delle esigenze dei diversi settori produttivi. In tal senso si può ritenere che i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (secondo la definizione degli stessi contenuta nell’articolo 51 del d.lgs. n. 81/2015) mantengono la loro validità fino alla naturale scadenza del contratto collettivo, sia con riferimento ai limiti quantitativi eventualmente fissati per il ricorso al contratto a tempo determinato sia a quelli fissati per il ricorso alla somministrazione a termine.
Il limite percentuale del 30% trova applicazione per ogni nuova assunzione a termine o in somministrazione avvenuta a partire dal 12 agosto 2018. Pertanto, qualora presso l’utilizzatore sia presente una percentuale di lavoratori, a termine e somministrati a termine con contratti stipulati in data antecedente alla data del 12 agosto 2018, superiore a quello fissato dalla legge, i rapporti in corso potranno continuare fino alla loro iniziale scadenza. In tal caso, pertanto, non sarà possibile effettuare nuove assunzioni né proroghe per i rapporti in corso fino a quando il datore di lavoro o l’utilizzatore non rientri entro i nuovi limiti.
Continuano a rimanere esclusi dall’applicazione dei predetti limiti quantitativi i lavoratori somministrati a tempo determinato che rientrino nelle categorie richiamate all’articolo 31, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015 (quali, a puro titolo di esempio, disoccupati che fruiscono da almeno 6 mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali, soggetti svantaggiati o molto svantaggiati).

3. Periodo transitorio
L’articolo 1, comma 2, del decreto-legge n. 87/2018 aveva stabilito l’applicazione delle nuove disposizioni ai contratti di lavoro a termine stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del medesimo decreto, nonché ai rinnovi e alle proroghe dei contratti in corso alla medesima data.
In sede di conversione l’originaria previsione del citato comma 2 è stata modificata unicamente con riferimento al regime dei rinnovi e delle proroghe, prevedendo che per tali fattispecie la nuova disciplina trovi applicazione solo dopo il 31 ottobre 2018, volendo in tal modo sottrarre i rinnovi e le proroghe dei contratti in corso alla immediata applicazione dei nuovi limiti. Fino a tale data, pertanto, le proroghe e i rinnovi restano disciplinati dalle disposizioni del d.lgs. n. 81/2015, nella formulazione antecedente al decreto-legge n. 87.
Terminato il periodo transitorio introdotto dalla legge di conversione, dalla data del 1° novembre 2018 trovano piena applicazione tutte le disposizioni introdotte con la riforma, compreso l’obbligo di indicare le condizioni in caso di rinnovi (sempre) e di proroghe (dopo i 12 mesi).
Infine, nel rilevare che il decreto-legge n. 87 ha esteso il regime del contratto a tempo determinato anche ai rapporti di lavoro in somministrazione a termine, si può ritenere – in base ad una lettura sistematica – che tale periodo transitorio trovi applicazione anche con riferimento alla somministrazione di lavoro a tempo determinato. È infatti ragionevole concludere che i più stringenti limiti introdotti rispetto alla disciplina previgente operino gradualmente, sia nei confronti dei rapporti di lavoro a termine che nei confronti dei rapporti di somministrazione a termine.

Confindustria – Prime indicazioni operative sul decreto dignità Decreto Legge 12 luglio 2018, n. 87 convertito in legge 9 agosto 2018, n. 96
Sommario
Periodo “transitorio”
Tetto del 30%
Condizioni (causali)
Somministrazione a termine
All’esito degli incontri di studio tenuti e dei molteplici contatti avuti con numerose associazioni, riteniamo opportuno dare alcune indicazioni operative/interpretative sui temi più rilevanti posti dal c.d. “decreto dignità”.
La redazione del testo di legge, come emerso in maniera evidente dalle molte riflessioni e domande raccolte, pone numerosi e seri problemi interpretativi che non trovano soluzioni univoche anche da parte della dottrina più accreditata.
Pertanto le indicazioni che daremo sono improntate alla prudenza e al buon senso, nel tentativo di orientare il più possibile in modo univoco le imprese associate.

Periodo “transitorio”
La stessa definizione di periodo transitorio viene contestata da più parti ma adottiamo questa formula espressiva per comodità espositiva.
Trattiamo del disposto dell’art. 1, comma 2, del d.l. 12 luglio 2018, n. 87, convertito in l. n. 96/2018.
L’interpretazione più lineare e, a nostro avviso, più rispondente alla ratio della norma (che è stata modificata dalla legge di conversione del decreto legge) porta a sostenere che sono solo i “nuovi” contratti a termine, sorti successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legge (ossia 14 luglio 2018), che sottostanno da subito al nuovo regime normativo.
Occorre però subito precisare che per “nuovi” contratti a termine si intendono i contratti che regolano i rapporti di lavoro a termine sorti tra un datore di lavoro e un lavoratore tra i quali non è mai intercorso in precedenza alcun contratto a termine.
Viceversa, sia ai contratti in corso al 14 luglio, sia ai contratti a termine che venissero stipulati per una seconda volta (o più) tra lo stesso datore e lo stesso lavoratore (ossia i “rinnovi”), le parti possono applicare, ma solo fino al 31 ottobre, le disposizioni precedenti per quanto attiene: al limite di durata massima (36 mesi o il termine più lungo fissato dalla contrattazione applicata); al numero delle proroghe (cinque); all’assenza di causali in occasione delle proroghe o dei rinnovi.
Risulta, invece, applicabile anche a questi contratti l’incremento contributivo previsto dall’art. 3, comma 2, della legge 96/2018, sulla cui natura (pienamente “incrementale” o meno) si attendono ancora disposizioni “ufficiali”, anche se le indicazioni che provengono informalmente dagli uffici ministeriali sarebbero nel senso dell’affermazione della natura pienamente “incrementale” del contributo aggiuntivo, ossia dell’applicazione dell’incremento, via via crescente, in occasione di ciascun rinnovo.
In coerenza con l’interpretazione esposta, riteniamo dunque che, entro il 31 ottobre, non soltanto possano essere prorogati, con il consenso di entrambi i contraenti, i contratti a termine con scadenza entro il 31 ottobre 2018, come sostenuto da una tesi più restrittiva, ma possano essere altresì modificate le date di scadenza di contratti a termine già fissate oltre il 31 ottobre 2018 ossia, ad esempio, il 30 dicembre del 2018.
A nostro avviso, in queste ultime ipotesi, si tratterebbe di una proroga del contratto stipulata ante tempus ma lecita, perché effettuata dalle parti utilizzando quello spatium deliberandi che la norma “transitoria” in esame appare aver concesso a coloro che avevano già intrattenuto dei rapporti a termine ante 14 luglio, con la finalità di poter riconsiderare e, se del caso, adeguare la volontà contrattuale precedentemente espressa tenendo conto degli effetti del nuovo “contesto normativo” che ha apportato profonde modifiche all’assetto precedente.
Non possiamo, però, evitare di sottolineare come anche questa interpretazione più estensiva della norma sia al centro di un vasto dibattito dottrinale dai diversi esiti.
In ogni caso, nell’apportare eventuali modifiche, entro il 31 ottobre, ai termini previamente concordati, andranno osservati i limiti di durata massima e il numero delle proroghe previsti dalle disposizioni precedentemente in vigore.
Inoltre, come indicazione di puro buon senso, non avente alcun preciso riferimento normativo, ove si vogliano modificare termini che vadano al di là del 31 ottobre, si consiglia di apportare modifiche a contratti che non abbiano data di scadenza eccessivamente dilatata nel tempo (ossia, a mero titolo di esempio, contratti con scadenza già fissata molti mesi oltre il termine del “periodo transitorio”, tipo il 31 dicembre 2019).
Ovvero, laddove si volesse necessariamente effettuare una modifica così marcata del termine inizialmente previsto, si consiglia di essere pronti a motivare e “provare” la necessità di una tale modifica.
Questo consiglio, puramente prudenziale e che, ancora una volta, non si fonda su una specifica disposizione di legge, può, ovviamente, essere osservato in ogni caso di modifica di termini fissati oltre il 31 ottobre 2018.
Si tratta, si ripete, di indicazioni “indotte” non da specifiche argomentazioni tecnicamente fondate, quanto piuttosto dalla necessità di orientare le imprese verso comportamenti prudenti, ponderati ed orientati al buon senso, a fronte di un testo normativo caratterizzato da ambiguità e formulazioni approssimative.
Inoltre, come inizialmente detto, nell’orientare l’interpretazione delle norme, occorre anche prendere atto di una volontà legislativa che ha manifestato un chiaro intento “restrittivo” verso le forme contrattuali “flessibili” più utilizzate.
Sempre con riguardo al periodo transitorio, riteniamo di condividere la tesi, che peraltro risulta maggioritaria tra gli interpreti che si sono fin qui pronunciati, che ritiene si possa applicare la disciplina del periodo transitorio anche ai contratti a termine stipulati dalle agenzie per il lavoro a scopo di somministrazione.
Se è vero che un esame puramente letterale del disposto dell’art. 2 del dl 12 luglio 2018, n. 87, convertito in l. n. 96/2018, (che ha ad oggetto le modifiche alla disciplina somministrazione di lavoro) può indurre a ritenere che tale estensione non sia puntualmente prevista dalle norme, sussistono ragioni fondate su una interpretazione pienamente sistematica e razionale delle modifiche apportate dalle nuove norme all’assetto antecedente che fanno concludere nel senso anzidetto, ossia per l’applicabilità delle disposizione del c.d. “periodo transitorio” anche ai contratti a termine stipulati dalle agenzie per il lavoro a scopo di somministrazione, naturalmente con l’osservanza dei limiti previamente dettati.

Tetto del 30%
Trattiamo del disposto dell’art. 2, comma 2, del d.l. 12 luglio 2018, n. 87, convertito in l. n. 96/2018.
La interpretazione più accreditata, anche se non univoca, afferma che il tetto del 30% vada osservato quando vi sia utilizzo contemporaneo di lavoratori con contratto a tempo determinato e di lavoratori in somministrazione a tempo determinato.
Secondo la maggior parte degli interpreti, inoltre, il tetto si dovrebbe rispettare anche quando vi fosse utilizzo esclusivo di somministrazione a tempo determinato.
Il tetto è derogabile dalla contrattazione di ogni livello purchè sottoscritta, ai sensi dell’art. 51 del d. lgs .n. 81/2015, da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero dalle rsa o dalle rsu.
La disposizione non è soggetta al “periodo transitorio” per cui andrebbe osservata sin dall’entrata in vigore della legge di conversione (12 agosto 2018) con l’importante precisazione, però, che non sarebbero sanzionabili eventuali contratti già in atto al momento dell’entrata in vigore della legge che comportassero il superamento del limite e ciò fino alla loro scadenza.
Resta fermo, invece, che in tali situazioni non potrebbero essere stipulati nuovi contratti, fino a quando gli stessi non si pongano entro il limite di cui trattasi, nè si potrebbe dar corso a eventuali proroghe che comportassero il permanere del superamento del tetto di legge.
Ma il problema di maggior rilievo che ci è stato prospettato è quello della “tenuta” delle disposizioni di contratto collettivo che dispongano in materia di “tetti” al contratto a termine e/o al contratto di somministrazione a termine.
Anzitutto, va osservato che la nuova formulazione dell’art. 31, comma 2, del d. lgs. n. 81/2015, come introdotta dall’art. 2, comma 02, del d.l. 12 luglio 2018, n. 87, convertito in l. n. 96/2018, fa salvo il disposto dell’art 23 del medesimo d. lgs. n. 81/2015.
Dunque, le disposizioni dei contratti collettivi che hanno disciplinato il quantitativo dei contratti a tempo determinato utilizzabili dalla singola impresa non hanno subito modifiche e sono pienamente vigenti.
Come si diceva, il problema si potrebbe porre, semmai, per quei contratti che avessero disciplinato limiti “congiunti” tra contratti a termine e somministrazione a termine superiori al tetto del 30%.
In questo caso occorre che le parti stipulanti effettuino una attenta verifica della volontà contrattuale, a suo tempo espressa, alla luce delle nuove disposizioni di legge.
Nel frattempo, le imprese che avessero assoluta necessità di immediate certezze operative, ben potrebbero dar corso a specifici accordi aziendali, sempre nel rispetto del disposto dell’art. 51 del d. lgs .n. 81/2018, stante l’espresso demando contenuto nella nuova formulazione dell’art. 31, comma 2.

Condizioni (causali)
Trattiamo del disposto dell’art. 1, comma 1, lett. a), del dl 12 luglio 2018, n. 87, convertito in l. n. 96/2018.
In ordine alle causali di legge si ritiene di dover confermare, molto sinteticamente, il giudizio, pressoché unanime (espresso sia dai commentatori più autorevoli sia dalle nostre associazioni), in ordine alla sostanziale inapplicabilità delle medesime, fatta eccezione per la causale “sostitutiva” che, a ragione della sua generica formulazione, può applicarsi in ogni caso di assenza del personale (ad es.: ferie, malattie, infortunio, permessi).
Il problema dell’applicazione delle causali si pone (terminato il “periodo transitorio”) in caso di rinnovo di un contratto a termine (intendendosi per rinnovo un nuovo contratto a termine, intercorso tra lo stesso datore e lo stesso lavoratore, successivo al primo) ovvero nel caso di primo contratto a termine di durata superiore ai 12 mesi ovvero ancora nel caso di proroga del contratto a termine che superi il limite dei 12 mesi.
Ove le imprese abbiano la necessità di superare i vincoli dettati dalle nuove disposizioni di legge, specie in materia di causali, l’indicazione fornita al termine dei confronti svolti con il nostro Sistema di rappresentanza è quella di valutare l’opportunità di stipulare accordi in deroga, ex art. 8 del d.l. 138/2011, convertito in l. n. 148/2011, con il rigoroso rispetto dei presupposti e dei limiti ivi previsti, ovvero di valutare attentamente l’individuazione di ipotesi di attività stagionali alle quali, per espresso dettato di legge (cfr. art. 1, comma 1, lett.b) non si applicano le causali.

Somministrazione a termine
Trattiamo del disposto dell’art. 2, comma 1, del dl 12 luglio 2018, n. 87, convertito in l. n. 96/2018.
La riformulazione dell’art. 34, comma 2, del d.lgs. n.81 del 2015, operata dalla norma in esame, è chiaramente ispirata ad un “riallineamento” dei rapporti di lavoro a termine, a scopo di somministrazione, alla generale disciplina del lavoro a tempo determinato, segnando, da questo punto di vista, una marcata e vistosa discontinuità rispetto alla precedente disciplina di legge.
In sostanza, i rapporti di lavoro a termine, a scopo di somministrazione, sono esentati dalla disciplina del contratto a termine solo per quanto attiene: a) agli intervalli tra un contratto e il successivo; b) ai limiti quantitativi di utilizzo; c) al diritto di precedenza.
Tralasciando ogni considerazione critica su questa scelta legislativa (che, a nostro avviso, risulta non conforme alla disciplina dettata dalla direttiva europea in materia) è necessario soffermarsi sul contenuto del disposto dell’art. 2, comma 1 ter, che ha generato un vasto dibattito dottrinario dagli esiti tuttora incerti.
Secondo la tesi prevalente, la formula di legge, seppur in maniera tecnicamente opinabile, avrebbe l’effetto di far sì che l’agenzia per il lavoro che assume a tempo determinato il lavoratore da inviare in missione dovrà chiedere all’utilizzatore, nelle ipotesi in cui occorra apporre la causale, l’indicazione della stessa. Ne consegue che è con riguardo alla situazione dell’utilizzatore che andrà verificata la sussistenza della causale che, poi, l’agenzia per il lavoro, a sua volta, indicherà nel contratto di lavoro del lavoratore da inviare in missione presso quell’utilizzatore.
Posta tale premessa la tesi prevalente è dell’avviso che laddove il lavoratore da inviare in missione presso quell’utilizzatore fosse stato assunto a tempo indeterminato dall’agenzia per il lavoro, l’impresa utilizzatrice potrebbe utilizzare in somministrazione a termine quel lavoratore senza limiti di durata massima, senza indicazioni di causali, ove si superassero i 12 mesi di somministrazione, e quindi senza limiti specifici riguardo a proroghe o rinnovi.
Riguardo a tale ultima tesi, riteniamo doveroso evidenziare che la estrema ambiguità del testo in esame si presta a più di una interpretazione.
E’ quindi consigliabile una attenta valutazione dell’opportunità di stipulare contratti di somministrazione a tempo indeterminato.
Ciò perché il problema della causale si pone, sostanzialmente, laddove l’impresa utilizzatrice volesse oltrepassare il limite dei 12 mesi del (primo) contratto di somministrazione a termine e, dunque, nella maggior parte dei casi, per far fronte ad esigenza produttive e organizzative di lungo periodo.
La legge pone un autonomo tetto, al 20%, alla somministrazione a tempo indeterminato (cfr. art 31, comma 1), peraltro modificabile dalla contrattazione collettiva dell’utilizzatore, anche di secondo livello.
La somministrazione a tempo indeterminato dunque, essendo soggetta ad un “tetto” distinto ed autonomo da quello del 30% di cui abbiamo parlato in precedenza, offre una ulteriore opportunità di impiego “flessibile” della forza lavoro e non pone alcun problema di utilizzo delle “causali”.


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