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Servizio Tecnico - referente: dott.ssa Sara Meschini
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09.04.2021 - lavori pubblici

QUALIFICAZIONE NECESSARIA PER LA PARTECIPAZIONE ALLA GARA E RESPONSABILITÀ SOLIDALE NEI CONSORZI STABILI – SOSTITUZIONE DELLA CONSORZIATA NON ESECUTRICE – DECISIONE DELL’ADUNANZA PLENARIA DEL CONSIGLIO DI STATO

(Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, sentenza del 18 marzo 2021, n. 5)

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato è intervenuta sul rapporto tra Consorzio stabile e consorziato, confrontandolo con quello tra ausiliaria e ausiliata, ciò al fine di chiarire l’applicabilità al Consorzio Stabile delle norme specifiche previste per l’avvalimento dall’art. 93 del Codice dei Contratti, d.lgs. 50/2016 ().

In particolare, con la sentenza in esame, l’Adunanza plenaria vaglia la possibilità di estendere la responsabilità solidale dell’ausiliaria anche al consorziato non esecutore o di consentire la sostituzione dell’impresa “ausiliaria/consorziata” che, in gara, ha causato al Consorzio la perdita della qualificazione SOA necessaria per la partecipazione alla gara.

La vicenda, affrontata nella sentenza, traeva origine dall’esclusione di un Consorzio stabile che, al momento della presentazione dell’offerta, possedeva la qualificazione nella categoria OS35, classifica III, in base al principio del cd “cumulo alla rinfusa” ossia grazie al cumulo dell’attestazione di una propria consorziata (non designata per l’esecuzione dei lavori). Perduta tale attestazione, il Consorzio sostituiva tale impresa, inserendo all’interno della propria compagine una nuova consorziata qualificata nella categoria OS35.

La Stazione appaltante, appurato che, nel passaggio dall’una all’altra consorziata, vi era stata una soluzione della necessaria continuità nella qualificazione del concorrente, annullava immediatamente l’aggiudicazione dell’appalto, ritenendo irrilevante che il Consorzio avesse successivamente riacquisito la qualificazione nella OS35.

Avverso a tale decisione, veniva tuttavia osservato che, applicando la disciplina dell’avvalimento, la stazione appaltante avrebbe dovuto non solo consentire la sostituzione dell’ausiliaria/consorziata, ma addirittura imporla al Consorzio laddove non soddisfacesse più “un pertinente criterio di selezione” (art. 89, co. 3 del Codice).

L’Adunanza plenaria, prima di esprimersi sulla possibilità del Consorzio di sostituire il consorziato, ricostruisce il cd. meccanismo di qualificazione cd. “cumulo alla rinfusa”, chiarendo anzitutto che la disciplina dei Consorzi stabili applicabile – ratione temporis – al caso in esame è quella “dell’art. 31 comma 1 del D.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56, vigente all’epoca dei fatti di causa, per il quale: “I consorzi di cui agli articoli 45, comma 2, lettera c) e 46, comma 1, lettera f), al fine della qualificazione, possono utilizzare sia i requisiti di qualificazione maturati in proprio, sia quelli posseduti dalle singole imprese consorziate designate per l’esecuzione delle prestazioni, sia, mediante avvalimento, quelli delle singole imprese consorziate non designate per l’esecuzione del contratto […]”.

Ciò posto, la stessa Adunanza plenaria si sente in dovere di chiarire, al punto 8.2, che:

“La disposizione ha avuto vigore sino al 2019. L’art. 1, comma 20, lett. l), n. 1), del D.L. 18 aprile 2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla l. 14 giugno 2019, n. 55, ha eliminato tale regola, ripristinando l’originaria e limitata perimetrazione del cd. cumulo alla rinfusa ai soli aspetti relativi alla “disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo”, i quali sono “computati cumulativamente in capo al consorzio ancorché posseduti dalle singole imprese consorziate”.”

Inoltre, la stessa Adunanza plenaria a precisare, ai punti 8.3 e 9, che:

“Siffatto peculiare meccanismo (si ribadisce, esteso all’epoca dei fatti di causa anche ai requisiti di qualificazione, ma oggi limitato ad attrezzature, mezzi d’opera e organico medio annuo) ha radici nella natura del consorzio stabile e si giustifica in ragione: a) del patto consortile, comunque caratterizzato dalla causa mutualistica; b) del rapporto duraturo ed improntato a stretta collaborazione tra le consorziate avente come fine “una comune struttura di impresa […]

Quanto sopra, se è vero in via generale in relazione al cumulo di alcuni requisiti necessari alla partecipazione, necessita invece di un distinguo, ai diversi fini dei legami che si instaurano nell’ambito della gara, tra consorzio stabile e consorziate, a seconda se queste ultime siano o meno designate per l’esecuzione dei lavori.”

Come noto, il criterio del “cumulo alla rinfusa” consente al Consorzio stabile di sommare, ai fini della qualificazione, tutti i requisiti dei consorziati e a questi ultimi di utilizzare tale somma per eseguire gli appalti affidati al Consorzio, indipendentemente dalla qualifica posseduta.

Dalla lettura dei suddetti paragrafi sorge il dubbio che la sentenza in esame evidenzi un punto di rottura nella riformulazione del 2019, nel senso di aver limitato il “cumulo alla rinfusa” dei requisiti delle consorziate, perimetrandolo ai soli aspetti relativi alla “disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo”.

Tale dubbio ricade anzitutto sulla possibilità del Consorzio di utilizzare in gara i requisiti di fatturato e i lavori analoghi delle consorziate, previsti dall’art. 84, comma 7 del Codice per gli appalti di lavori rispettivamente di importo superiore a 20 mln di euro e 100 mln di euro.

Infatti, la somma dei fatturati delle consorziate: (i) non rientra nel cumulo di attrezzature, mezzi d’opera e organico medio annuo, previsti all’art. 37, comma 1 del Codice; (ii) non è più previsto nella nuova formulazione del successivo comma 2 (almeno per i lavori); (iii) non trova giustificazione nel DPR 207/2010 (transitoriamente vigente), che nel far salvo il comma 7 dell’art. 36 d.lgs. 163/2006, non richiama il precedente comma 6 dello stesso articolo, ove è prevista la somma (con premio) dei fatturati, ne potrebbe escludere la sopravvivenza, secondo il generale principio secondo cui “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”.

Per le stesse ragioni, rimane altresì dubbia la sopravvivenza del “cumulo alla rinfusa” dei lavori analoghi eseguiti dai consorziati.

Per completezza va, tuttavia, rilevato che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale (richiamato nella sentenza in esame), il consorzio stabile è un soggetto giuridico autonomo, costituito in forma collettiva e con causa mutualistica, che opera in base a uno stabile rapporto organico con le imprese associate (cfr. Cons. Stato, V, 2 febbraio 2021, n. 964). Proprio il carattere mutualistico del patto consortile ha giustificato in passato il “cumulo alla rinfusa” dei requisiti dei consorziati, senza un necessario rinvio ad una specifica norma (in questo senso, cfr. Cons. Stato, Sez. V, 16 gennaio 2019, n. 403 e specificatamente sulla possibilità di utilizzare il fatturato delle consorziate, cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 13 ottobre 2020, n. 6165).

Tuttavia, ciò non supera i dubbi sulla portata della riformulazione dell’art. 47 del codice, che secondo una lettura piana del testo del primo comma, potrebbe aver limitato proprio il più volte richiamato principio del “cumulo alla rinfusa”.

Peraltro, erano stati già evidenziati in giurisprudenza possibili problemi di tenuta del criterio del “cumulo alla rinfusa” (sul fronte imprese), laddove era stata stabilita l’impossibilità del consorziato non specificatamente attestato di eseguire interventi su beni tutelati (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. V, 11 dicembre 2020 n.7943) o sancito l’obbligo di verificare i requisiti degli esecutori di servizi e forniture (cfr. TAR Lazio, Sez. I bis, del 7 dicembre 2020, n.13049). In quest’ultimo caso, il punto di partenza è stato proprio la riformulazione del 2019 che ha introdotto il nuovo comma 2-bis dell’art. 47 (dedicato ai servizi e alle forniture, non ai lavori), in cui si esplicita che i requisiti devono essere valutati “in capo ai singoli consorziati”.

Un ulteriore dubbio riguarda l’eventuale impatto di quanto osservato dall’Adunanza plenaria sul sintema di qualificazione SOA del Consorzio stabile, laddove al comma 1 chiarisce che i requisiti speciali del Consorzio (fatti salvi i requisiti di attrezzature e personale) “devono essere posseduti e comprovati dagli stessi con le modalità previste dal presente codice”.

Ebbene, per i lavori, proprio il Codice all’art. 84 stabilisce che “i soggetti esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici di importo pari o superiore a 150.000 euro, provano il possesso dei requisiti di qualificazione di cui all’articolo 83, mediante attestazione” SOA (cfr. TAR Campania, Sez. I, sent. del 26/01/2021, n. 1157).

Ne consegue che, lo stesso comma 1 dell’art. 47 fa salvo il sistema di qualificazione SOA dei Consorzi stabili, che come noto prevede le seguenti due alternative di attestazione:

 con i propri requisiti, previsto all’art. 79, comma 13 del DPR 207/2010 (transitoriamente vigente fino all’entrata in vigore del regolamento richiamato nell’art. 83 del Codice), laddove peraltro prevede che i Consorzi stabili possono qualificarsi utilizzando anche l’attrezzatura e il costo del personale dipendente dei soggetti consorziati;

 con la somma degli attestati SOA dei consorziati ai sensi dell’art. 81 del DPR 207/2010, il quale – attraverso il richiamo (mobile) all’art. 36, comma 7, del vecchio d.lgs. 163/2006 – tiene transitoriamente in vigore tale sistema di qualificazione.

Tornando alla sentenza in esame, premesso che la sentenza si basa sulla previgente normativa, l’Adunanza Plenaria si esprime sull’eventuale responsabilità solidale nei confronti della Stazione appaltante (derivante dall’esclusione dalla gara) dell’“ausiliaria/consorziata”, che, avendo perso la qualificazione nella OS35, aveva provocato la perdita dei requisiti di qualificazione del Consorzio.

Sotto tale profilo, la sentenza nega l’applicabilità della responsabilità solidale prevista per l’ausiliaria alla suddetta consorziata, perché l’avvalimento richiamato nella norma (vigente al momento della gara) deve essere ricondotto al meccanismo del “cumulo alla rinfusa” che connota il rapporto consortile “stabile” da cui discende la qualificazione del Consorzio.

Il rapporto tra consorziato e Consorzio stabile piò quindi definirsi, ad avviso dell’Adunanza plenaria, <<una forma di avvalimento attenuata dall’assenza di responsabilità dunque […]>> che tuttavia deve ritenersi <<di per sé sufficiente a giustificare l’applicazione alla fattispecie in esame dell’art. 89 comma 3 del codice dei contratti >>.

La conclusione è quindi che se è possibile, in via eccezionale, sostituire il soggetto legato da un rapporto di avvalimento, a fortiori dev’essere possibile sostituire il consorziato nei confronti del quale sussiste un vincolo meno intenso rispetto all’avvalimento.

Da notare che l’Adunanza Plenaria giunge a tale conclusione non tanto per il rinvio all’avvalimento del previgente testo del Codice sui consorzi stabili, ma attraverso il richiamo all’art. 63 della direttiva 24/2014/Ue (che consente di “fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi”) e dell’art. 89 co. 3 del d.lgs. n. 50/2016.

Per cui potrebbe ritenersi ancora attuale, nel quadro normativo vigente, quanto espresso nella sentenza in esame secondo cui:

– non sussiste la responsabilità solidale della consorziata non esecutrice;

– la consorziata non designata ai fini dell’esecuzione dei lavori, laddove contribuisca al requisito utilizzato in gara, è comunque equiparabile ad una impresa ausiliaria e, pertanto, la stazione appaltante deve ordinare la sostituzione di quest’ultima nel caso in cui sia venuto meno un criterio selezione o requisito generale.

In allegato:

Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, sentenza del 18 marzo 2021, n. 5

 

 


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